Gli Oscar chiudono e aprono le stagioni dei premi e noi stiamo scrivendo questo articolo prima che vengano ufficializzati i vincitori. Il motivo? Beh è semplice, comunque vada noi abbiamo già il nostro vincitore come miglior attore.
Brendan Fraser concorre per il posto di miglior attore insieme ai suoi colleghi:
- Austin Butler per Elvis (Vincitore ai Golden Globe per la categoria “Miglior attore in un film drammatico”)
- Colin Farrell per Gli spiriti dell’isola (già vincitore a Venezia della Coppa Volpi e ai Golden Globe come “Miglior attore in un film commedia o musicale”)
- Bill Nighy per Living
- Paul Mescal per Aftersun
E mentre il popolo del web, più o meno attivista, continua la sua poco attenta analisi sul film che lo vede come protagonista, noi siamo qui per perorare la causa Fraser. Non ci dilungheremo molto oltre riguardo l’uso della fat suit, magari dedicheremo un articolo intero al trucco prostetico e al fatto che il cinema debba creare sogni non solide realtà, ma ci vogliamo concentrare sulla carriera dell’attore nato il 3 dicembre 1968 a Indianapolis.
Di origini canadesi, naturalizzato poi come americano, l’attore possiede la doppia cittadinanza. Figlio di una consulente alle vendite e di un ex-giornalista, l’uomo ha iniziato ad appassionarsi alla recitazione durante una vacanza a Londra. Si è laureato al Cornish College of the Arts di Seattle nel 1990 e ha iniziato a recitare già nei piccoli teatri universitari, ma una volta arrivato a Hollywood iniziò immediatamente a lavorare per il mondo cinematografico. Il suo debutto, infatti, venne segnato appena un anno dopo la sua laurea col film “Dogfight – Una storia d’amore”, nel quale vestiva i panni di un marinaio diretto nel Vietnam.
Nel 1992 ottenne immediatamente il primo ruolo da protagonista per la commedia “Il mio amico Scongelato” e nello stesso anno recitò anche al fianco di Matt Damon e di Chris O’Donnell in “Scuola d’onore”.
Il 1994 è segnato dall’uscita di film come “Un colpo da Campione” e “110 e lode”. Inoltre recita anche al fianco di Adam Sandler e di Steve Buscemi in “Airheads – Una band da lanciare”.
Dal 1997 inizia ad affermarsi, anche grazie alla sua prestanza fisica, come ciò che Hollywood desidera. Questo fu l’anno di uscita di “George il re della giungla…?” basato sulla serie animata “George della giungla”. Il suo bell’aspetto e i suoi occhioni chiari erano perfetti per la performance umoristica che riguardava la catastrofiche e parodistiche avventure di George.
La sua ascesa venne firmata dal 1998 in poi. La critica iniziò a notarlo grazie alla performance in “Demoni e Dei”, in cui recita al fianco di Ian McKellen. L’anno seguente è il tempo de “La Mummia”. Rick O’Connell fu la fortuna sia per l’Universal che per lo stesso Fraser. Il colossal gli fece acquistare all’attore un successo internazionale.
Nel 2001 esce il sequel de “La Mummia” e nello stesso anno Brendan è il protagonista del film d’animazione “Monkeybone”. I primi del 2000 sono anni particolari per le produzioni cinematografiche in quanto le nuove tecnologie permettevano un alto livello di sperimentazione. La Warner, infatti, iniziò a intersecare gli attori in carne ossa e l’animazione sempre più dando vita a pellicole come “Looney Toons: Back in Action” nel 2003. Questo fu anche un anno decisivo per la vita privata di Brendan.
I ruoli che accettò furono sempre meno ed era sempre più deciso a ritirarsi dalla carriera cinematografica. Si seppero solo in seguito, nel 2018, le ragioni di tale scelta. Seguendo, infatti, le denunce che iniziarono a a susseguirsi col movimento “Me too”, l’attore riuscì a denunciare l’ex presidente della Hollywood Foreign Press Association, Philip Berk, di molestie sessuali.
La sua vita venne profondamente segnata da questo evento, tanto che iniziò nuovamente a recitare proprio durante l’anno della denuncia. Accettò, infatti, il ruolo di Clifford Steele / Robotman nella serie televisiva Titans, e nel 2019 riprese il ruolo per lo spin-off Doom Patrol, ma tutt’ora deve avere a che fare con il continuo giudizio da parte dell’audience. Il suo declino, infatti, non venne segnato solo dal fatto che iniziò a rifiutare dei ruoli, ma soprattutto per il suo cambiamento fisico. Non era più il belloccio di cui Hollywood poteva fare quello che desiderava, perché il dolore per l’abuso si era riversato anche su altri aspetti della sua vita.
Le sue prime riapparizioni pubbliche vedevano al centro dell’attenzione la sua fisicità profondamente diversa rispetto a quella mostrata fino al terzo sequel de La Mummia arrivato nelle sale nel 2008. Le problematiche fisiche, va sottolineato, non furono frutto della depressione, ma anche di alcuni traumi fisici che lui riscontrò a seguito delle riprese de “La Mummia e la tomba dell’imperatore dragone”. L’uomo, infatti, eseguiva da solo tutte le riprese in stunt.
Dai traumi fisici, a quelli psicologici e anche la propria situazione sentimentale in declino, non ci appare difficile comprendere da dove Brendan abbia preso le emozioni per interpretare il suo Charlie in The Whale. Il 2022 si sta rivelando come l’anno della sua rinascita, dato il cospicuo riscontro da parte del pubblico. A Venezia si è commosso davanti a un’ovazione durata sei minuti, sul red carpet ha salutato commosso tutti i fan che urlavano il suo nome. Durante i Golden Globe di quest’anno si è preso la propria morale rivincita non presenziando alla cerimonia di cui era stato presidente il suo molestatore. Insomma, quando si parla di ciò che vi è dietro le scelte di un regista e quindi anche quando vengono scelti attori, bisognerebbe fermarsi a guardare un po’ ciò che l’interprete può fare al suo personaggio.
Va, inoltre, aggiunto che l’attore si è preparato cercando di comprendere e di sentire chi è che vive ogni giorno sulla propria pelle una mole di peso così alta. È vero, lui è ingrassato nel corso del tempo, ma non ha raggiunto la mole che costringe Charlie a non riuscire ad alzarsi dal divano. La fat suit era necessaria per poter schiacciare ulteriormente su sé stesso un personaggio che aveva fatto scudo al proprio dolore con i propri chili. Fraser è l’interprete perfetto per una storia come questa e sicuramente gli servirà anche per poter avere ciò che merita da Hollywood stessa. Del resto, la fabbrica dei sogni ti mastica, ti usa, ti consuma e ti getta via quando non corrispondi più a ciò che ti viene richiesto.
Attendiamo gli esiti delle premiazioni per capire come si vorrà muovere Hollywood in tal senso. E qualora non lo abbiate mai visto, vi consigliamo di recuperare il film "Indiavolato" del 2000.
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