giovedì 30 marzo 2023

#Mitologia: Amore universale

Nel corso del nostro viaggio nella mitologia e nella scoperta di come i popoli antichi andavano a spiegare certi impulsi o pensieri prima dell’avvento della psicologia o della teologia, abbiamo parlato più volte di Ierogamia: l’unione sacra tra maschile e femminile. La prima volta è stata nell’articolo “Misteri del femminile”, la seconda volta nell’articolo “Ierogamia”, appunto.

Se fino all’ultima volta abbiamo parlato di tale unione solo ed esclusivamente da un punto di vista più biologico, come unione finalizzata alla riproduzione, oggi ne parliamo da un punto di vista più emotivo/filosofico.

Attenzione: vi ricordiamo che parliamo di maschile e femminile non come genere sessuale, ma come parti di noi stessi dove la prima è più logica e razionale, la seconda più simbolica e intuitiva.

Amore

È capitato a tutti, o comunque capiterà a tutti. Non vogliamo vedere l’innamoramento solo vincolato alla coppia felice e contenta, ma ne parliamo su tutti i suoi livelli, dall’amicizia ai legami famigliari.
“Nessun uomo è un’isola”, ci ricorda John Donne e di conseguenza nessun essere umano trascorre la propria vita in completa solitudine.
Quel che vogliamo analizzare oggi, però, non riguarda tanto le relazioni esterne, quanto – come sempre in questa categoria – quelle interne.
Fare in modo che la nostra parte maschile e femminile si uniscano in un’unica forza, vuol dire accettarsi e innamorarsi di noi stessi, mantenendo il nostro interno in un perfetto equilibrio energetico.

Si sa, nella nostra parte occidentale del cosmo cominciamo a pensare all’amore e di conseguenza alla ricerca del partner perfetto, fin dalla più tenera età.
Film, libri, persino i videogiochi, ci mettono in testa che per essere completi dobbiamo cercare l’altra metà di noi stessi ed è per questo che quando la troviamo – o pensiamo di averlo fatto – ci sentiamo invincibili, un tutt’uno con l’Universo, come se stessimo volando a un metro da terra. Ma quando l’effetto della serotonina finisce, proprio come ogni droga in questo mondo, ci gettiamo nello sconforto più totale.

Eppure l’amore è una forza inarrestabile, perché relazione dopo relazione, ci rendiamo conto che i momenti di pausa diventano sempre meno e siamo pronti a volerci innamorare di nuovo.

Perché, però, continuiamo a cercare all’esterno quello che abbiamo all’interno? Perché ostinarci a rincorrere una persona per darle il ruolo di nostra seconda parte? Non fraintendeteci, non stiamo dicendo che è inutile innamorarsi, solo che non potremmo mai farlo se non uniamo prima le nostre due parti opposte.
Quando, quindi, faremo in modo che il nostro interno sia unito, l’amore vivrà per sempre dentro di noi, indipendentemente dalla persona che avremo accanto.

Sleipnir

Negli articoli sul dolore e “Viaggio verso la salvezza” vi abbiamo parlato dei Nove Mondi e di come essi rappresentino il nostro inconscio, che di conseguenza proietta la nostra realtà.
Capendo il vero amore, quello per e verso noi stessi, ci rendiamo conto che siamo noi ad avere il controllo sulle nostre emozioni e possiamo quindi decidere in che direzione muoverci.

Nella metafora della carrozza alchemica, di Gurdjeff, i cavalli rappresentano proprio le emozioni che il cocchiere/mente deve riuscire a tenere a bada sotto il comando dell’anima/passeggero.

Nella mitologia norrena Sleipnir è il cavallo di Odino ed è l’unico in grado di viaggiare attraverso i Nove Mondi. L’animale è dotato di otto zampe e l’etimologia del suo nome significa: “colui che scivola rapidamente”, infatti si dice essere il cavallo più veloce e forte che sia mai esistito al mondo.

La storia della nascita di Sleipnir è molto curiosa e ci aiuta a comprendere meglio la potenza delle nostre emozioni.

Nel periodo della guerra con i giganti, gli dèi strinsero un patto con il costruttore più bravo del regno: quest’ultimo avrebbe dovuto erigere un muro in grado di difendere il Regno dai nemici entro l’estate. In cambio, però, l’umano voleva in dono Freyja. Loki consigliò agli dèi di accettare, convinto che un umano non sarebbe mai stato capace di finire il lavoro in così poco tempo.
Quello che non sapevano, però, era che il costruttore si stava facendo aiutare dal suo possente cavallo e a tre giorni dal solstizio d’Estate, il lavoro era praticamente finito.
Gli dèi, che non volevano di certo perdere Freyja, costrinsero Loki a trovare una soluzione, così quest’ultimo si trasformò in una giumenta, proprio per sedurre il cavallo che cascò nel tranello. Negli ultimi tre giorni e notti, l’animale interruppe il lavoro per inseguire l’amata e quando il costruttore si rese conto che non avrebbe mai finito in tempo, per l’ira ammise che era lui stesso un gigante, mettendo fine al suo piano stile cavallo di Troia.
Thor, a tale rivelazione, non si perse d’animo e gli ruppe il cranio con il suo martello.
Qualche tempo dopo Loki partorì un puledro a otto zampe, Sleipnir, appunto. Quando crebbe Odino si accorse che era molto più possente e agile degli altri cavalli visti prima e lo chiese in dono.

Le emozioni, se ben controllate dalla nostra anima, sono aiuti sempre disponibili e pronte per noi. Quando, però, le reputiamo distaccate da noi diventano imprevedibili e invece di aiutarci possono boicottarci, perché guidate dagli impulsi esterni, proprio come abbiamo osservato nella storia della nascita di Sleipnir.

Pegaso

La mitologia norrena non è certamente l’unica a considerare il cavallo come simbolo metafisico di viaggio interiore, lo ritroviamo infatti anche nella cultura classica con il cavallo Pegaso, figlio di Poseidone e della gorgone Medusa.
Nella storia dell’animale alato, Pegaso viene utilizzato da diversi déi, da Zeus ad Atena per i loro scopi. Anche gli eroi, come Bellerofonte riescono ad addomesticarlo e farsi aiutare nelle imprese, almeno fino a quando Pegaso stesso decide di prendere il volo verso il cielo trasformandosi nella costellazione che ancora oggi chiamiamo con il suo nome.

Cavalli e carro

Certamente è chiara a tutti l’immagine classica dove il dio greco del sole, Apollo, si alza in cielo con il suo carro trainato da quattro cavalli bianchi.
Al solito, i greci non erano gli unici ad avere un’immagine del genere, che è ben presente anche nella Bibbia, quando il profeta Elia viene portato in cielo trainato da quattro cavalli d’oro; così come è ben presente anche nella cultura nordica, dove la dea Sol guida il carro del sole, trainato da due cavalli: Alswidr (dal significato di: “colui che corre veloce”) e Arwakr (“colui che si sveglia presto”).

Il mito dell’auriga

Prima abbiamo accennato alla carrozza alchemica, e di certo a chi ha affrontato gli studi classici può essere tornato in mente il mito di Platone, preso dal Fedro.

“Si raffiguri l’anima come la potenza d’insieme di una pariglia alata e di un auriga. Ora tutti i corsieri degli dèi e i loro aurighi sono buoni e di buona razza, ma quelli degli altri esseri sono un po’ sì e un po’ no. Innanzitutto, per noi uomini, l’auriga conduce la pariglia; poi dei due corsieri uno è nobile e buono, e di buona razza, mentre l’altro è tutto il contrario ed è di razza opposta. Di qui consegue che, nel nostro caso, il compito di tal guida è davvero difficile e penoso.”

- Platone, Fedro, 246 a-b)

Nel mito di Platone l’anima è la biga che è trainata da due cavalli: uno bianco e uno nero. Quello bianco rappresenta la parte dell’anima con i pensieri più alti e intellettivi; quello nero rappresenta gli istinti più bassi ed egoici. L’auriga è la ragione e il suo compito è quello di riuscire a trasportare la biga verso l’Iperuranio, o “mondo delle Idee”.
L’obiettivo di ognuno di noi è quello di trascorrere più tempo possibile nell’Iperuranio, in modo che incarnazione dopo incarnazione la nostra anima possa evolversi a tal punto di rendersi del tutto immortale e di risiedere per l’eternità nel mondo delle Idee.
Non è, però, la ragione (quindi noi) ad avere il pieno controllo sulla biga, in quanto sono i due cavalli ad avere tale forza. Tutto ciò che possiamo fare è cercare di domarli stando bene attenti a cosa scegliere: se tendiamo a seguire maggiormente il cavallo nero, infatti, allora nella prossima incarnazione saremo persone rozze e ignoranti. Al contrario, se seguiamo quello bianco, allora saremo persone sagge e dedite alla filosofia.

Ancora prima del mito di Platone, però, più o meno nello stesso periodo dell’Antico Testamento, in India prendono piede i testi sacri delle Upanişad, dove troviamo:

“Riconosci il sé come il viaggiatore in un carro. Il corpo è il carro. L’intelletto è il cocchiere, la mente sono le redini. I sensi, così si dice, sono i cavalli; gli oggetti dei sensi sono il terreno; l’insieme di sé, mente e sensi i saggi chiamano ‘colui che prova piacere’. I sensi di colui che non comprende, la cui mente è instabile, sono controllati come cavalli bizzarri. Ma i sensi di colui che comprende, la cui mente è stabile, sono ben controllati come cavalli docili.”

Abbiamo visto, quindi, che il cavallo può essere la figura alata, stile unicorno, luminosa e quindi positiva, che può raggiungere le vette dei cieli, ma anche un animale indomito, istintivo, che non risponde alla nostra volontà e ci trascina verso l’oscurità delle nostre paure.

Come ultima chicca di questo paragrafo, vogliamo lasciarvi una curiosità: “nightmare” è la parola inglese per dire “incubo”. Ma conoscete la sua etimologia? Deriva dalle due parole germaniche “nacht” (poi “night”) che vuol dire “notte” e “mare” (invariato anche in inglese) che vuol dire “cavalla”.
Nel folklore britannico, infatti, gli incubi vengono portati proprio da demoni/cavalli.
Mantenere in equilibrio queste due parti inconsce, insomma, è un compito arduo e che probabilmente va compiuto in più vite, ma è l’unico possibile se vogliamo vivere in armonia in questo universo.

Tantra

La parola “tantra” deriva dal sanscrito “tantori” e significa “tessere”, “intrecciare”. Nell’antichità orientale, i tantra erano i testi sottoforma di dialogo tra le due divinità Shiva e Shakti, la prima incarnava il principio maschile, la seconda quello femminile.

Nel significato più semplicistico – per ragioni di spazio e per non annoiare il lettore – lo scopo di questa disciplina sta nell’accogliere ogni diversità per riconoscersi nella parte divina di noi stessi e dell’altro.
Siamo tutti Uno, e ogni rapporto sano andrebbe vissuto come un modo di migliorare noi stessi, prima di tutto.
Il Tantra vuole liberare ogni individuo da costrizioni e dolore, da preconcetti e condizionamenti. L’amore va inteso e vissuto come un atto tra persone libere e consenzienti, senza gelosie, invidie, vendette o imposizioni.

Il Tantra scioglie ogni schema inconscio che la società nel corso dei millenni ha costruito per impartire ordine e disciplina, ma se questo poteva andare bene in un contesto storico dove l’essere umano era più barbaro e violento, la nostra epoca è più vicina (o almeno lo speriamo) ad avere la consapevolezza necessaria per vivere in armonia con il prossimo senza alcuna idea di possesso, soprattutto sulle altre persone.

“Gelosia” deriva dall’antico “zeloso”, che a sua volta deriva dal greco “zelos”: “spirito di emulazione”.

Si è gelosi, quindi, quando si vuole uguagliare qualcun altro, dimenticandosi della propria unicità. Il Tantra ci insegna a ritrovare il senso di noi stessi, in modo da non voler diventare come gli altri, e allo stesso tempo amare noi stessi tanto e quanto il resto dell’umanità.

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