Il vincitore degli Oscar 2023 è Everything Everywhere All at Once, prodotto dai fratelli Russo e diretto dai Daniels. Sette sono state le statuette che questa pellicola si è portata a casa, tra migliori attori protagonisti e non. Tante sono le tematiche affrontate in una sceneggiatura cacofonica e piena di stimoli. Questo è un film che stimola e inebria i sensi del proprio pubblico riuscendo a parlare di argomenti intrinsecamente legati tra di loro.
Al centro delle vicende troviamo Evelyne Quan Wang (Michelle Yeoh), un’immigrata cinese intenta a cercare di salvare la propria lavanderia a gettoni dalle tasse americane. La tensione familiare è tagliabile con un coltello: il rapporto tra marito Waymond (Ke Huy Quan) e moglie è appeso ad un filo, lui vorrebbe chiederle il divorzio; allo stesso modo anche la relazione tra madre e figlia Joy (Stephanie Hsu) risente del tradizionalismo culturale e, di conseguenza, di una mancata accettazione. La situazione si complica quando Evelyne viene a conoscenza del “multiverso”: Waymond, infatti, inizia a cambiare personalità e dal gentile bonaccione diviene una sorta di agente segreto dalle molteplici abilità combattive. Il cambio di personalità avviene perché il corpo di Waymond viene usato come un portale per un altro universo e la coscienza di un’altra versione dell’uomo viene “scaricata”. Evelyne, di conseguenza, ha dei contatti con Alpha Waymond che la mette in guardia sulla minaccia che incombe su di lei e su tutto il multiverso. Jobu Tupaki vorrebbe eliminare ogni singola Evelyne che intralcia il suo cammino, cancellando l’equilibrio che regna nel multiverso.
Non diciamo altro su quella che è la trama, anzi ci sono già stati fin troppi dettagli che potrebbero rovinare la visione di questa pellicola. Perché, come dicevamo, questa è una storia fatta di sovrapposizioni. I multiversi collimano tra di loro e si fondono creando un’armonia surreale che riesce ad affrontare la tematica familiare in maniera del tutto unica. Al cuore di tutto c’è la famiglia, la sua composizione, le sue relazioni e il modo con cui queste reciprocamente ci influenzano. Le scelte compiute da ognuno di noi creano delle curve nel nostro destino, ed è da quelle che prendono vita le altre versioni di noi.
Il film è diviso in tre atti: l’Everything, l’Everywhere e il All at Once. Il titolo, quindi, preannuncia un po’ quello che concettualmente è stato pensato in fase di scrittura, suddividendo il tutto in diversi momenti ben precisi nei quali possiamo individuare i punti di crescita dei personaggi. Crescita che avviene in contemporanea all’esplorazione del mondo narrativo che è stato creato. La sua “mitologia”, in questo modo, si dispiega sotto gli occhi del pubblico senza dover accedere ai classici “spiegoni”. Il tutto si riversa in una lettura un po’ più complicata da cogliere proprio perché abbiamo definito questo film col termine: cacofonico. Ogni singolo atto, in questo modo, diviene un nuovo capitolo che viene aggiunto a questa storia. Un vero e proprio approfondimento necessario per poter arrivare al “tutto in una volta”.
Non ti è mai capitato di chiederti o di dirti: “In un altro universo parallelo avrei fatto questa cosa in maniera diversa”? bene… il concetto alla base qui è lo stesso. Le scelte creano nuovi nodi e nuove diramazioni del nostro percorso di vita. Le persone che, di conseguenza, ci circondano formano il nostro presente e il nostro futuro. Chi siamo viene definito da tutte le scelte compiute nella nostra esistenza.
Scavando più a fondo, e questo potrebbe essere considerato un vero e proprio spoiler, quindi non leggere, si arriva al nodo centrale: il rapporto madre-figlia. Jobu Tupaki, infatti, altro non è che Joy, ovvero la figlia di Evelyne e Waymond. Proveniente dall’universo Alpha, sua madre l’ha spinta oltre ogni limite tanto da poter vivere l’Everything e l’Everywhere senza alcun tipo di difficoltà. Provare tutte le emozioni contemporaneamente e non riuscire a gestirle, tanto da provare a rinchiuderle all’interno di un bagel gigante. Questo riporta alla mente una particolare fase della vita di ognuno di noi, ovvero quel momento in cui l’adolescenza sta per terminare e il confronto con la vita adulta può essere sconfortante. È il momento in cui si inizia a entrare nei panni dei nostri genitori, tanto da poter comprendere le difficoltà che precedentemente passavano in sordina. Cercarsi un lavoro, comprendere la propria identità, dominare le proprie emozioni e pensare che a volte sarebbe molto più semplice lasciarsi semplicemente andare. Chiudere tutto il mondo fuori e isolarsi completamente. Con Joy, nome emblematico per la caratterizzazione di questo personaggio, affrontiamo in maniera sottile la tematica della depressione e della gestione emotiva. Allo stesso modo, la sua ricerca di identità nasce dallo scontro generazionale con sua madre. Sarà proprio Evelyn a sottolineare che non solo non la lascerà mai andare, ma che in realtà le due si somigliano più di quanto vogliano ammettere reciprocamente. Testarde e disilluse, però, possono apprendere la gentilezza e la voglia di vivere dalle persona che stanno loro accanto.
Quindi, in fin dei conti, le scelte che si prendono non hanno realmente importanza, tutto sta a come affrontiamo quelle stesse scelte.
Non sappiamo ancora dire se Everything Everywhere All at Once meritasse sul serio l’Oscar del 2023, forse siamo anche condizionate da amori personali, ma non possiamo non dire che troviamo corrette le statuette che gli sono state assegnate. È un film folle, geniale e grammaticalmente corretto in ogni suo più piccolo aspetto. Un piccolo capolavoro che va decisamente recuperato.
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