Ansia. Panico. Fretta di arrivare alla fine del mese, ai quaranta con due figli, un lavoro e senza mai divorziare. Arrivare. A tappe. Diplomati, laureati, fidanzati, trova un lavoro, sposati, diventa genitore, ricevi una promozione e un’altra, compra una casa, un’altra promozione, la scuola dei tuoi figli, gli sport, un’altra promozione, pensa alla loro vita, alle loro vacanze, tieniti questa fottuta promozione, sorridi di prima mattina così non divorzi, non uscire dai binari, la promozione, la pensione, i nipotini, la morte.
Tiziana, Marco, Anna, Pietro… tutte anime in un corpo a vivere una vita
da fabbrica. Ognuno ha il suo posto, ognuno il suo gesto ripetuto per
anni. Il modo di pensare è unico e guai a cambiarlo, guai ad andare fuori pista.
Il caso, questo susseguirsi di eventi che viene visto come una palla da bowling dove l’unica responsabilità degli esseri umani è quella di infilare le dita e dare forza. E poi? Eh, poi si punta allo strike dei birilli ma a volte la palla viene accolta dai binari che di conseguenza annullano il tutto. Falliti.
E allora capita che si fa strike, ma capita anche che poi la vita prenda un’altra strada, e sul tabellone ci ritroviamo a valere zero. E non importa quante frasi positive sentiamo: ci identifichiamo in quello zero. Siamo zero.
Improvvisamente il bowling non è più così divertente. Le risate dei bambini scemano, lasciando il posto alla polvere di punti mai raggiunti dall’essere umano, respiriamo l’odore dei disinfettanti scaduti da anni, delle scarpe indossate più e più volte, in continui cicli di chi arriva e vuole compiere la partita perfetta, quella che abbiamo visto fare da Jim Belushi. Il bowling è mai stato sul serio divertente?
Le dita si arrossano per l’ennesimo lancio, la mano è stanca e vorrebbe solo riposarsi davanti a del vero cibo e non a quello che vendono in questo posto. Ma no, di nuovo nel canale, allora si ricomincia. Perché magari il prossimo tiro sarà perfetto, e così quello dopo ancora, fino ad arrivare al punteggio perfetto.
Gli occhi si chiudono, lacrimano per le luci a intermittenza di una qualche lampadina che nessuno dei dipendenti vuole cambiare, perché, dopotutto, chi va ancora al bowling nel 2023?
Odore di detersivo misto a birra, qualcuno deve aver rovesciato per sbaglio la sua bibita a terra, non fa niente, serve concentrazione, più per capire perché lo si fa?
Per una carriera, per amore, per la dignità personale? Se i batteri di quella palla potessero parlare quanto ci prenderebbero in giro? Odore di chiuso, nessuno può aprire le finestre in un luogo che non ha le finestre.
Un nuovo cliente, un nuovo giocatore di questo gioco infinito che crea solo dipendenza, e no, non è affatto divertente.
Bacia la palla per scaramanzia, poco importa se poi si ritroverà in un letto d’ospedale a lottare tra la vita e la morte.
“Lo faccio per la vita”.
La palla rotola lenta, poi acquista velocità, sbandando un po’ verso destra ma centrandosi nuovamente. È strike. Il rumore dei birilli che cadono, legno contro legno, lo esalta. Poi la luce diviene stabile, si illumina sempre più, imbiancando come un lampo ogni dettaglio accanto a sé.
Si sveglia.
La mano stringe quella della madre.
«Sei sveglio.» gli sorride. Quanto sono belle le madri? «Bevi un po’ d’acqua, ti va?»
La madre è veloce nei suoi movimenti, ha forse paura che lui le sfugga di nuovo.
Le labbra toccano la plastica della cannuccia, l’acqua fresca gli scivola in gola dandogli sollievo e dolore allo stesso tempo.
Vorrebbe chiederle cosa è successo, perché si trova in ospedale, ma poi ricorda il sogno e non gli ci vuole molto a fare uno più uno.
«Sono morto?»
La madre si porta la mano destra alla bocca, fallendo nel ricacciare le lacrime. «Sei stato in coma per qualche giorno. Ricordi qualcosa?»
Scuote la testa. «So solo che sono andato all’inferno». È giunta l’ora di cambiare vita, ma questo lo tiene solo per sé.
Il caso, questo susseguirsi di eventi che viene visto come una palla da bowling dove l’unica responsabilità degli esseri umani è quella di infilare le dita e dare forza. E poi? Eh, poi si punta allo strike dei birilli ma a volte la palla viene accolta dai binari che di conseguenza annullano il tutto. Falliti.
E allora capita che si fa strike, ma capita anche che poi la vita prenda un’altra strada, e sul tabellone ci ritroviamo a valere zero. E non importa quante frasi positive sentiamo: ci identifichiamo in quello zero. Siamo zero.
Improvvisamente il bowling non è più così divertente. Le risate dei bambini scemano, lasciando il posto alla polvere di punti mai raggiunti dall’essere umano, respiriamo l’odore dei disinfettanti scaduti da anni, delle scarpe indossate più e più volte, in continui cicli di chi arriva e vuole compiere la partita perfetta, quella che abbiamo visto fare da Jim Belushi. Il bowling è mai stato sul serio divertente?
Le dita si arrossano per l’ennesimo lancio, la mano è stanca e vorrebbe solo riposarsi davanti a del vero cibo e non a quello che vendono in questo posto. Ma no, di nuovo nel canale, allora si ricomincia. Perché magari il prossimo tiro sarà perfetto, e così quello dopo ancora, fino ad arrivare al punteggio perfetto.
Gli occhi si chiudono, lacrimano per le luci a intermittenza di una qualche lampadina che nessuno dei dipendenti vuole cambiare, perché, dopotutto, chi va ancora al bowling nel 2023?
Odore di detersivo misto a birra, qualcuno deve aver rovesciato per sbaglio la sua bibita a terra, non fa niente, serve concentrazione, più per capire perché lo si fa?
Per una carriera, per amore, per la dignità personale? Se i batteri di quella palla potessero parlare quanto ci prenderebbero in giro? Odore di chiuso, nessuno può aprire le finestre in un luogo che non ha le finestre.
Un nuovo cliente, un nuovo giocatore di questo gioco infinito che crea solo dipendenza, e no, non è affatto divertente.
Bacia la palla per scaramanzia, poco importa se poi si ritroverà in un letto d’ospedale a lottare tra la vita e la morte.
“Lo faccio per la vita”.
La palla rotola lenta, poi acquista velocità, sbandando un po’ verso destra ma centrandosi nuovamente. È strike. Il rumore dei birilli che cadono, legno contro legno, lo esalta. Poi la luce diviene stabile, si illumina sempre più, imbiancando come un lampo ogni dettaglio accanto a sé.
Si sveglia.
La mano stringe quella della madre.
«Sei sveglio.» gli sorride. Quanto sono belle le madri? «Bevi un po’ d’acqua, ti va?»
La madre è veloce nei suoi movimenti, ha forse paura che lui le sfugga di nuovo.
Le labbra toccano la plastica della cannuccia, l’acqua fresca gli scivola in gola dandogli sollievo e dolore allo stesso tempo.
Vorrebbe chiederle cosa è successo, perché si trova in ospedale, ma poi ricorda il sogno e non gli ci vuole molto a fare uno più uno.
«Sono morto?»
La madre si porta la mano destra alla bocca, fallendo nel ricacciare le lacrime. «Sei stato in coma per qualche giorno. Ricordi qualcosa?»
Scuote la testa. «So solo che sono andato all’inferno». È giunta l’ora di cambiare vita, ma questo lo tiene solo per sé.
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