Leggendo il romanzo siamo stati così colpiti dalla scrittura e dal modo di pensare della Taubes che abbiamo fatto una breve ricerca sulla vita dell’autrice e abbiamo fin da subito notato come il suo unico romanzo pubblicato sia una specie di autobiografia e un vero e proprio disperato grido di aiuto.
Partiamo dalla trama, senza fare spoiler.
Sophie Blind muore
investita da una macchina mentre cammina per le strade della sua amata
Parigi. E no, non è uno spoiler: il libro inizia così. Dall’altra parte
della realtà cosciente, fa salti temporali in quella che è stata la sua
vita, dall’età infantile a quella adulta.
La sua vita è stata
all’insegna dell’immateriale: cresciuta in Bulgaria, nella sua famiglia
troviamo il nonno (famoso rabbino conservatore) e il padre psicanalista
freudiano. Sophie, sebbene crescendo prende le distanze sia da Dio che
dalla psicanalisi, si innamora di un filosofo, che accetta di sposare
quasi impulsivamente.
Cresciuta per lo più col padre, la
vita di Sophie è un continuo viaggiare tra l’Europa e l’America con la
costante sensazione che per lei abbiano deciso sempre e solo gli uomini.
Arrivata, più o meno, a questa consapevolezza, decide di divorziare dal
marito che non le renderà le cose facili, optando, anzi, costringendola a un matrimonio
aperto. Sophie non demorde: vuole liberarsi del marito, prendere in mano
la vita e scrivere il romanzo che ha tanto desiderato.
Ciò che può apparire una critica e un autoflagellarsi per gli errori commessi, in realtà è una presa di posizione, un vedere quali siano stati i propri limiti sulla vita appena compiuta, in attesa, perché no, di rinascere a una nuova. (Noi personalmente ci abbiamo letto anche questo, ma se voi vedete altro non esitate a farcelo sapere!).
Nell’introduzione abbiamo accennato a come il romanzo si ispiri in gran parte alla vita della stessa Susan Taubes, – anche suo nonno era un famoso rabbino, così come il padre era uno psicoanalista e il marito un filosofo – e ciò che ci ha maggiormente colpiti è che a poco tempo dall’uscita del romanzo, nel 1969, l’autrice si sia tolta la vita.
È come se ogni vicenda, ogni parola, fosse stata per lei una vera e propria analisi e avesse poi voluto seguire Sophie, forse con la speranza che anche per lei l’altra parte riservasse l’opportunità di dissipare certe questioni rimaste in sospeso.
Uno dei concetti espressi maggiormente nel romanzo è
mostrare quanto sia difficile per ogni persona di fede ebraica sentirsi
a proprio agio in un luogo, ecco perché la stessa Sophie ha sempre
pronte le valigie; oltre a questo, però, c’è la grande voglia di pensare
e andare al di là dei propri limiti, difatti sia Sophie che Susan si
rendono conto di come il mondo sia fatto a su misura d’uomo (stiamo circa alla seconda metà degli anni Sessanta) e di come per una
donna sia possibile elevarsi socialmente solo tramite matrimonio.
Possiamo davvero sostenere che oggigiorno la società sia cambiata? Che non sia più così e che i matrimoni sono tutti d’amore? Che la donna può pensare alla carriera?
Questo romanzo, quindi, andrebbe letto il più possibile per prendere piena coscienza che le donne sono esseri umani come gli uomini, con una loro propria volontà che spesso esula dalle aspettative della società ancora adesso patriarcale. E attenzione: non è prerogativa degli uomini essere misogini, perché se andiamo ad analizzare i social, la maggior parte dei commenti critici e contro le donne vengono inviati dalle donne!
Questo per noi è più che aberrante, ecco perché consigliamo caldamente “Divorzi” di Susan Taubes: per non fare in modo che la sua voce venga silenziata.
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