Giornalista: “Nonostante una corsa disperata al Roosvelt Hospital, John Lennon è deceduto alle 23:07. La folla accorsa sotto al Dakota Building, dove il cantante e la moglie Yoko Ono vivevano assieme al figlio di cinque anni Sean, è ancora incredula…”
Paul spegne il televisore. Non vuole sapere altro.
L’adolescenza colma le ore con i sogni per il futuro, vivendo il presente credendolo come l’unico ed eterno.
I vent’anni sono necessari per formare il proprio essere, scoprirlo fino in fondo, anche a costo di lottare contro una società tutta da cambiare.
I trenta arrivano e ci si divide in due categorie: chi si è arreso alla società e chi vuole ancora cambiarla, con una forza quasi disumana che però li rende simili al divino.
I quaranta…
Paul beve l’ennesimo bicchiere di brandy, o di quello che è. La vista è offuscata dal pianto, dalle ore passato sveglio, dal fumo di sigaretta che riempie la stanza oltre il grande posacenere accanto a lui.
La mente gli ripropone spezzoni di vita, come se stesse rivedendo un filmino delle vacanze montato a caso, pezzi di pellicole presi alla rinfusa e piazzati solo per fargli male: l’incontro con John, i locali di Liverpool pieni zeppi di gente quando si esibivano, l’idea di andare ad Amburgo, il primo bacio, la prima volta…
I ricordi tornano nel vorticare dei loro spezzoni: i concerti con le fan che svenivano dalle prime note, le ore chiusi negli studi di registrazione, le serate al pub subito dopo, le fughe a Parigi quando tutto diveniva troppo, la rottura…
Le lacrime sgorgano per la prima volta dalla notizia, ma in quella stanza buia e silenziosa lascia che se ne vadano libere di esplorare l’intero viso.
Quanti litigi inutili, ora comincia a vederli. Sarebbe bastato fare un passo indietro per non mandare tutto in frantumi, sarebbe bastato dare più fiducia, invece che esercitare il controllo perenne.
Ride amaramente pulendosi la bocca con il palmo della mano dello stesso amaro dato dall’alcol. Il controllo. Che stupido. Davvero si sentiva tanto superiore al destino, a Dio, alla vita stessa? Ora si vedeva: un arrogante totale, con le sue manie di grandezza e perfezione.
Si sdraia sul pavimento, senza chiudere gli occhi, lo sguardo fisso su un soffitto che gli sembra un tutt’uno con l’intera stanza.
Ha i brividi pensando che lì fuori chiunque sta parlando dell’improvvisa morte di John Lennon, ucciso da…
Lancia la bottiglia dall’altra parte della stanza. Cazzo. Di tutti i modi possibili…
Ora singhiozza, alternando grida disperate a imprecazioni.
Tornano i ricordi: il sorriso di John, gli occhi comprensivi che
ascoltavano e vedevano più di chiunque altro, il suo umorismo sottile,
la voglia che aveva di fare sempre qualcosa per gli altri…
E
ora, cosa resta?
Si addormenta così, con una domanda in sospeso e la
certezza che da adesso in poi l’illusione del controllo lo ha
definitivamente abbandonato. Quella cara amica a cui si appigliava quando i fantasmi lo attraversavano con le loro turbolenze demoniache ormai non c’è più e lui è veramente solo.
Nessun commento:
Posta un commento