La serie di Ficarra e Picone, con la sua prima stagione, aveva segnato un successo degno di nota per la piattaforma di Netflix. Il 2 marzo è arrivata la sua seconda e ultima stagione e i temi trattati sono più attuali che mai.
Sappiamo bene che i due comici siciliani, fin dall’inizio della loro carriera cinematografica, hanno affrontato la tematica della mafia sotto diversi punti di vista. Uno sguardo particolare e attento diversificato secondo i diversi aspetti con cui questa si presenta. Il territorio siciliano, nonostante gli anni di dura lotta, ne mostra ancora lo scotto e il ricordo delle stragi va tenuto vivo, proprio per non edulcorare la pillola alle più giovani generazioni. L’arresto di Matteo Messina Denaro, del resto, entra a gamba tesa all’interno della narrazione seriale dei due comici, una tematica che si fa intrinsecamente eroica e possiamo ritrovare con la conclusione delle avventure che hanno visti protagonisti i due antennisti.
Gli incastrati, dunque, tornano a essere nuovamente coinvolti nelle vicende di Padre Santissimo. Spettatori particolareggiati, tirati in ballo in qualcosa di più grande di loro, ma finalmente verremo a conoscenza del movente del loro coinvolgimento. Salvo e Valentino, ancora una volta, si trovano a vivere all’interno di un poliziottesco e, nel tentativo di fare la cosa giusta, prendono sempre la scelta più sbagliata. I nuovi sei episodi fungono da epilogo alle loro disavventure, girate tra Palermo e le campagne di Sciarra, e nella sottotrama vengono inseriti numerosi colpi di frustra a un sistema sempre più corrotto. Perché ci si deve spaventare quando gli eventi sono meno eclatanti e quando la mafia è più silente, dato che il fatto che sia meno palese, la rende più pericolosa.
Incastrati 2 si mostra allo spettatore con un certo senso di rivalsa, la giustizia fa il suo corso e la sensazione di libertà che si respira non può fare a meno di commuovere. Si sa che la realtà è un’altra, ma almeno per una racconto semi-fittizio si può assaporare un po’ di speranza perché, del resto, morto un papa se ne fa un altro. Raccontare una realtà che poi verrà vista in oltre 190 paesi non è affatto semplice, soprattutto se questa è già pre-costruita all’interno dell’immaginario collettivo. Per molti, infatti, i mafiosi sono quelli della testa di cavallo nel letto, il loro modo di fare è stato reso quasi un simbolo dei meridionali all’estero. Tutti elementi che rendono necessaria una sorta di redenzione per una terra che deve e vuole ricordare.
All’interno della serie sono stati inseriti in scenografia alcuni elementi che, se ben notati, fungono proprio da monito a stragi come quelle degli attentati a Falcone e Borsellino. È presente proprio la loro auto e l’aiuto delle forze dell’ordine è stato necessario per poter riuscire a portare a compimento alcune delle scene. Le strade di Palermo si sono tinte di bianco e il senso di rivincita è perfettamente conciliante col dramma e l’ilarità tipici della comicità di Ficarra e Picone. Le battute sono taglienti, alcuni monologhi hanno la forza di scuotere e far riflettere, proprio perché si nota l’intento di voler ricordare.
Avevamo avuto modo di esser già scossi dalle parole di Padre Santissimo al termine della prima stagione e, ancora una volta, siamo portati a riflettere sulla necessità di un sistema corrotto.
“È mai possibile che in Italia, non appena pensi di fare un reato, lo stato ti anticipa?”
Una battuta detta da Ficarra che, unita a tutto il contesto, fa intendere quanto realmente sia complicato riuscire a sradicare questo morbo. Perché il cittadino ha avuto la necessità di rivolgersi a chi deteneva il potere, quando lo Stato era manchevole di tutela. Il tutto evidenzia il paradosso che impregna una serie come Incastrati. Da una parte il crimine, dall’altra la giustizia; ma allo stesso tempo, due facce della stessa medaglia: da una parte l’eroe e dall’altra la nemesi. Da una parte la realtà che vivono i nostri protagonisti e dall’altra la serie. Perché sì, se non ci si deve prendere sul serio, non lo si fa affatto.
Se ci si prende gioco di una tematica così seria e così attuale, ci si prende gioco anche delle modalità con cui la si sta narrando quella verità. Come ha dichiarato lo stesso Ficarra: “In Incastrati prendiamo in giro la serie tv per come è strutturata, ha una scrittura diversa. Il cliffangher è una cosa divertentissima, ci fa ridere tantissimo poi il prequel perchè nei prequel viene ringiovanito il personaggio come Better Call Saul. I momenti più belli sul set sono stati proprio fare la serie finta The Touch of the Killer e The Look of the Killer”. Non vi anticipiamo nulla, ma va tenuta d’occhio la fine di questa serie proprio per il modo con cui è stata concepita e per l’inception che si viene a creare a un certo punto.
Un altro argomento, sempre attuale, che viene particolarmente preso di mira è il giornalismo. Sergione (Sergio Friscia) aveva già portato in scena un aspetto molto interessante su questa tematica. La spettacolarizzazione della cronaca è ormai cosa nota e, in questa seconda stagione, ciò viene evidenziato. La cronaca, specie quella nera, vive di dramma. Abbiamo avuto modo di vedere come negli ultimi anni siano state trattate alcuni eventi, tra cui la pandemia. Sergio Friscia, con le battute che si susseguono, evidenzia il ruolo di intrattenitore che il giornalista sta assumendo. Il crimine suscita un fascino morboso che qui viene dissacrato dalla speranza di nuovi omicidi.
Incastrati è un progetto che poteva essere inquadrato solo sotto un punto di vista seriale. La sua narrazione è perfetta per questo concept e la scrittura lascia sospesi puntata dopo puntata. Il progetto è rimasto coerente, simbolo di quanto fosse ben pensato sulla struttura delle due stagioni. Un arco narrativo ben definito e ben congeniato. E forse, dovremmo ricordare tutti di essere un po' più “teste di minchia”.
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