Riuscire a scrivere la recensione di questo film è dannatamente difficile. The Whale colpisce dritto alla bocca dello stomaco, la stringe e vi lascia con un vuoto incolmabile. Tutti gli spettatori, all’interno della Palabiennale di Venezia, sono usciti stravolti tra le lacrime; in totale silenzio. Una storia, forse semplice, ma potente nella sua immobilità. Chi sta scrivendo questo articolo si è trovato faccia a faccia con uno specchio ancora difficile da elaborare, tanto che questo articolo poteva essere un pensieri.
Brendan Fraser torna sul grande schermo. Per chi non conoscesse gli eventi che hanno colpito la vita di questo attore, vi consigliamo di andare a spulciare in giro. Veste i panni mastodontici di un uomo che ha raggiunto un peso talmente tanto eccessivo da essere debilitante per la vita quotidiana. Ciò che colpisce immediatamente non è solo la sua morte, ma soprattutto il suo dolore.
Charlie non ha saputo superare la perdita del compagno e per tale ragione si è rifugiato in qualcosa che, all’apparenza, non ti uccide: il cibo. Il rapporto con esso è quanto di più complesso un individuo può vivere: abbiamo bisogno di nutrimento per poterci sostentare, ma allo stesso tempo esso diventa un piacere e tal volta diventa una consolazione. Nella vita di Charlie tutto è andato male. Tutte le sue scelte sono da lui stesso considerate errate, ma perché ha permesso alla paura di prendere il comando della sua vita. A causa di un nuovo e ritrovato amore ha divorziato dalla moglie ed è stato costretto a non avere alcun tipo di rapporto con la figlia. Immediatamente, da questo quadro, possiamo individuare la complessità della storia che Darren Aronofsky ha deciso di dirigere.
Il titolo del film non è causale, al contrario è una chiave di lettura per l’intero svolgimento narrativo. Se, infatti, in un primo momento è facile paragonare la balena alla mole di peso del protagonista; una più attenta visione porta immediatamente in luce il suo paragone con Moby Dick. Charlie per sostenersi fa il professore in alcuni corsi online, una vita sedentaria che per lo più è quasi un invito a cercare di essere originali. Invita, infatti, costantemente i suoi studenti a cercare di mettere quante più considerazioni possibili all’interno dei loro scritti, perché le parole hanno un peso. Lo scritto mette in luce i pregi e i difetti delle persone, in una tesina si possono sostenere ideologie più o meno sensate, ma di certo mettono a nudo gli scrittori. Ed è li che Charlie si rifugia, nell’unico legame che gli è rimasto con la figlia che non vede da quasi dieci anni.
Un tema scritto proprio sull’analisi di Moby Dick e su quanto la balena bianca sia il simbolo della frustrazione umana. Un mito irraggiungibile, uno scopo che Achab sogna nei suoi più irrequieti incubi, che funge da perfetto parallelo alla vita di Charlie stesso. Un dolore che non si è in grado di affrontare e dal quale si scappa pizza dopo pizza.
Nel momento in cui Charlie stesso chiede se è disgustoso, non si può fare a meno di guardarlo in faccia e di sentire lo stesso moto di rabbia e di disperazione che accompagnano quelle parole. In tale senso, Brendan Fraser è da Oscar perché riesce a dare al pubblico le giuste emozioni rendendo impossibile lo stacco emotivo dal suo personaggio. Lui non è solo grosso, ma è proprio mastodontico, grazie anche al trucco prostetico che gli hanno applicato. Una mole che fa avvertire tutto il senso di affanno e di restringimento che prova lui quando deve respirare successivamente a uno sforzo fisico.
Ma la balena di Charlie non è il proprio dolore, quella è solo una barriera che lui ha messo nei riguardi del mondo. Il suo scopo è la figlia. Una ragazzina, i cui panni sono vestiti da Sadie Sink, che col suo carattere scontroso rischia di ferirlo più di chiunque altro. La verità è che, però, nelle sue parole e nei suoi modi di fare vi è quello stesso dolore che Charlie non è riuscito ad elaborare. E se nel loro rapporto si può cercare di intravedere una speranza, la verità è tutt’altra: ormai è troppo tardi. Così, entrambi, diventano il simbolo dell’impossibilità. Nessuno può salvare nessuno, e nessuno si salva da solo. La salvezza e l’aiuto, devono essere reciproci e volontari.
Charlie spezza l’animo dello spettatore esattamente com’è spezzato il suo. Uno specchio, dicevamo, per chi conosce bene quell’incapacità di affrontare ciò che la vita ci mette davanti. Una scappatoia che finisce con lo schiacciare chi la vive.
Darren Aronofsky, in tal senso, è un maestro nel raccontare questa storia. Delicatamente si introduce nella vita di Charlie e ci mostra i suoi sentimenti scena dopo scena. L’abile uso della camera, le posizioni angolari che molto spesso assume, riescono a far diventare ancor più piccolo l’ambiente intorno al protagonista. Piove sempre, manifestando l’animo irrequieto dei suoi personaggi. Nonostante il film si svolga in una sola location, elemento che riprende dall’opera teatrale da cui è tratto, il tutto ha la giusta misura. Ogni singolo elemento è inserito per poter cercare di dare a Charlie l’assoluzione che lui stesso non era stato in grado di darsi, così da poter trovare quella leggerezza che il suo corpo non può più dargli.
The Whale è un piccolo capolavoro che tratta delicatamente il dolore umano e lo scandaglia sotto gli occhi silenti ed emotivi del pubblico.
Nessun commento:
Posta un commento