venerdì 13 gennaio 2023

#Mitologia: Misteri del femminile

La mitologia, si sa, ha provato a spiegare per anni, secoli e millenni i grandi misteri della vita senza poter essere supportata in campo scientifico. Per questo i racconti possono sembrare del tutto fantasiosi, ma se li andiamo ad analizzare nel profondo, se rapportiamo i comportamenti dei personaggi che incontriamo con quelli della nostra quotidianità, vediamo che non sono così distanti da ciò che accade anche oggi e molto probabilmente tutti noi possiamo identificarci con qualcuno in particolare.
Chi scrive, per esempio, essendo di natura molto vendicativa e superba, non esita a riconoscersi in Medea. Tranquilli, lei almeno non ha figli, né marito!

Ecco che oggi, dopo aver passato il tema della morte con la sua rinascita e il modo per evolversi nei vari mondi, possiamo passare a un argomento sicuramente interessante, ma più difficile da comprendere per la nostra mente logica: il mistero.

Perché nasciamo? Che senso ha raggiungere degli obiettivi? Perché poi si muore? E quando si muore, si perde tutto ciò che si è fatto qui?

Ognuno di noi, almeno una volta nella vita, si è posto queste domande. Indipendentemente dalle risposte date, solo i più egocentrici o narcisisti possono davvero pensare che siano assolute, fonte di verità certe e tangibili. In realtà – e questo potrebbe spaventare il grande Ego – nessuno può dare una vera e propria risposta, perché il tutto è avvolto, appunto, nel più grande dei misteri.

Oggi ve ne parliamo dal punto di vista della mitologia, supportati dal nostro cammino spirituale che tanto amiamo condividere. Vi ricordiamo, come Dante stesso ci ricorda più volte, di lasciare fuori da questo contesto ogni logica e intelletto. La spiritualità non è per la mente, o almeno non per la sua comprensione. 

 “Più metti un grande mistero alla luce del sole, e più lo terrai avvolto nel segreto.”

Ierogamia
Rispolveriamo quelle pochissime nozioni di greco che abbiamo – nessuno di noi ha frequentato il liceo classico, quindi se ci sono errori sentitevi liberi di commentare –: ierogamia deriva dal greco hieròs gámos che vuol dire “matrimonio sacro”.
Questo non è da intendere con il sacramento cristiano, o con un contratto redatto dal Comune di appartenza, ma quanto dall’unione sessuale, ma anche mentale, tra un dio e una dea, o, parlando ai nostri tempi: tra la nostra parte maschile e quella femminile.
A seconda delle diverse culture questa unione può essere immaginata come l’impulso più carnale, come accade per le culture classiche, o come un punto di vista più divino, come avvenuto dall’ebraismo in poi, quando Dio viene a dimorare (Shekhinah) sia in un luogo (tabernacolo o nel Tempio di Gerusalemme) che in una persona.
Anche nel Nuovo Testamento troviamo questo significato, perché lo Spirito del Signore dimora assieme a noi in ogni istante. L’Islam non è esente da questo concetto, che riconosce con la parola Sakīnah.
Come abbiamo scritto prima, la parte razionale non può davvero comprendere cosa sia la spiritualità e possiamo descrivere così le due parti: la maschile si affida al tangibile, vede ciò che la circonda, dà un senso a tutto con le parole, e tramite l’esperienza acquisita con i cinque sensi nei primi anni di vita, fa in modo, per esempio, che non le serva toccare il fuoco per capire che esso brucia.
La parte femminile, invece, è quella che agisce per allegorie, sentimenti, emozioni, ed è quella che senza un valido motivo tendiamo a ignorare. La releghiamo nel contesto “favolette”, in un cassetto dedicato alla nostra infanzia, come se non fosse così importante. Permetteteci una domanda un po’ polemica: ma se è presente in noi, esattamente come l’altra parte, come può non essere importante?
Arriva per tutti, prima o poi, il momento in cui non riusciamo a trovare una risposta sensata alla domanda e allora cominciamo a vedere in altro modo la parte femminile. Ci riscopriamo bambini e consideriamo che forse un fiore non è solo un fiore. Forse c’è un significato più profondo dietro ogni apparenza e siamo invogliati a trovarlo.

Viaggio del femminile

Negli articoli precedenti abbiamo affrontato il viaggio dal punto di vista maschile: notiamo che abbiamo il dolore, fa così male che non siamo in grado di affrontarlo e allora decidiamo di metterci in cammino per arrivare alla fonte delle nostre sofferenze.
Anche per Dante l’Inferno, il punto di partenza, è totalmente maschile (questo non vuol dire che non siano presenti donne, ovviamente. Parliamo di parti di noi, non di organi sessuali) ricco di impulsi e di azioni intraprese solo ed esclusivamente per accrescere il proprio Ego.
Se ben conosciamo il viaggio dell’eroe: presa di coscienza, combattere qualcosa o qualcuno, salvare la fanciulla, prendere il tesoro e divenire re... quello dell’eroina è ai più sconosciuto.
Pur partendo molto simili – anche per l’eroina il fine è di accrescimento personale per sé o per il proprio popolo – per lei, però, le sfide appaiono del tutto simboliche. L’eroina deve procedere per strade che sono impensabili, mai intraprese prima. Pensiamo a Oceania, Over The Moon, Belle che è l’unica ad accettare di farsi imprigionare dalla Bestia.
Il femminile ha la sua strada che il maschile non potrà mai e poi mai comprendere, almeno fino a quando i due si fondono nell’accettazione più totale. Lì possono procedere sicuri, in quella Sacra Unione di cui abbiamo scritto prima e che può finalmente rispondere ai veri Misteri della Vita.

Euridice e Orfeo
Ovviamente, quando parliamo di viaggio dell’eroina non intendiamo che ad affrontarlo siano solo le donne.
Prendiamo, per esempio, il mito di Orfeo ed Euridice: Euridice muore a seguito del morso di un serpente. Suo marito Orfeo comincia a cantare per la disperazione. I suoi motivi risultavano così tristi che le ninfee e gli dèi piangono assieme a lui. Commossi, gli propongono di intraprendere il viaggio nel regno dei morti. Lui accetta (ecco il perché della parte femminile, la maschile avrebbe risposto: “Regno de che? No, no, meglio sconfiggere quel drago che tiene imprigionata la Fanciulla, mi risposerò. È molto più logico.”) e riesce a convincere Ade e Persefone a farlo andare dalla moglie, a una sola condizione: Orfeo dovrà camminare sempre davanti a lei e non potrà guardarla fino al ritorno nel Regno dei vivi.
Orfeo è perennemente tentato dal voltarsi, ma resiste, finché non vede la luce e, sicuro di averla portata in vita, si volta. Euridice, però, era ancora nel regno dei morti e per questo scompare in una nube.
Orfeo, alla fine, ha fatto vincere la parte maschile, quella che vedendo il sole ha peccato nel classico uno più uno, senza considerare che la moglie stava dietro di lui e quindi le mancavano pochi passi per la salvezza. È la parte avventata e impulsiva, che non riesce a riflettere.
Un po’ come Abu che in Aladdin vede il diamante rosso e lo afferra all’istante, senza ricordare che era l’unico gioiello a non dover essere mai toccato.

Iside e Osiride
Per gli Egizi Iside, Osiride, Set e Nefti erano fratelli dell’ultima generazione degli Enneadi, nati dal dio della terra Geb e la dea del cielo Nut (“Come in cielo, così in terra”,anche qui con la terra maschile e il cielo, il divino femminile).
 
Osiride è destinato a prendere il comando e diventare re, sposandosi con sua sorella Iside, che diventa regina. Set, però, invidioso del ruolo del fratello, lo uccide e smembra il suo corpo in quattordici pezzi. Iside, disperata ma non per questo timorosa del fratello Set, decide di cercarli aiutata e supportata dalla sorella Nefti. Quando li ritrovano, Iside riesce a ricomporli e il dolore per la sua perdita, assieme a degli incantesimi da lei pronunciati, riescono a riportare in vita Osiride, pur rimanendo nell’aldilà.
 
I due concepiscono un figlio, Horus, che può vivere nel regno dei vivi e vuole vendicare quindi il padre.
Iside comincia a lavorare per il regno dei morti, ricomponendo altre anime bisognose.

Iside è la rappresentazione del femminile che rimette tutto in ordine, anche quando sembra che non ci sia più nulla da fare. È la classica intuizione che ci fa trovare la svolta, un altro punto di vista, forse impensabile ma è l’unico a darci una vera e propria soluzione.

La dea Frigga
Frigga, secondo le culture celtiche, era la moglie di Odino e per questo spesso è chiamata con l’appellativo di “signora del cielo”.
Il nome Frigga (o Frigg) sembra derivare dal sanscrito “prīyā” che vuol dire “moglie”.     
Ancora oggi, nelle lingue nordiche, ci sono parole che ricordano la dea, come: “fria” che in svedese vuol dire “candidata al matrimonio”, “frjáche” in islandese vuol dire “amare” e l’ormai comune “friday” che in inglese vuol dire “venerdì”.
Proprio come la nostra Venere, infatti, alla dea Frigga veniva dedicato quel giorno della settimana molto propizio per matrimoni e concepimenti. Per il popolo la dea aveva il compito di assistere le coppie in ogni passo di vita insieme e a lei si affidavano le donne sterili o quelle preoccupate per la sorte dei propri figli, grazie al dono di chiaroveggenza della dea e della sua indole a proteggere la prole.
In un mito, infatti, suo figlio Balder sogna di essere ucciso e la madre fa di tutto per impedire il realizzarsi di tale evento, fino a parlare con Aria, Fuoco, Acqua e Terra, e con tutti gli animali e piante affinché potessero dare all’amato figlio la protezione necessaria.

Simbolismo femminile
Prima delle grandi religioni monoteiste, il senso del divino era strettamente legato alla figura femminile. La donna partoriva, allattava il bambino e per questo era l’unica in grado di dargli assistenza (in una società dove, ovviamente, non esistevano supermercati e latte in polvere).
Per gli uomini tutto questo era un grandissimo mistero, ecco perché nell’immaginazione collettiva la donna era associata alla Creazione e a tutti i suoi misteri.
La Grande Dea era considerata “partenogenica”, capace cioè di partorire da sé e questo si riscontra anche nella religione Cristiana, dove Maria partorisce un figlio pur rimanendo vergine.
Ma siamo sicuri che questo femminile divino sia rimasto relegato solo nei Miti e nelle Sacre Scritture? Ebbene, no. È insito in noi, è presente anche in ogni favola, con i suoi simbolismi.

Cervo e orsa
Il simbolismo è abbastanza chiaro: il cervo è un animale di morte e rinascita, ogni anno rigenera le sue corna simbolo di abbondanza e potenza. Può sembrare che perda tutto ciò a ogni primavera, eppure rispuntano ad aprile, fino a ritornare superbe a metà estate.
Hera e Artemide, la prima dea del matrimonio e la seconda sia della foresta ma anche della verginità e pudicizia, sono entrambe rappresentata come cerve.
Magari un giorno faremo un articolo di metafisica su Bambi, quindi per ora ci fermeremo qui.
Sappiamo tutti che l’orso va in letargo a inizio inverno, per poi uscire in primavera. Ai tempi antichi, però, questo grande mistero era suggellato anche dal fatto che quando l’orsa usciva lo faceva sempre insieme a nuovi cuccioli. L’orsa, quindi, viene attribuita a ogni Dea che si occupa delle partorienti e delle neo mamme.
Ancora oggi pensiamo a determinate donne premurose, docili e amanti delle coccole (non per forza con dei figli, ma anche con amici e/o fratelli) come la classica “mamma orsa”.

Luoghi
Nei diversi luoghi associati al femminile troviamo:

- la caverna: in quasi tutte le storie la caverna è un luogo al riparo, anche se buio, umido e oscuro. Ci riporta al mistero del grembo materno, dove il bambino cresce e si sviluppa proprio in queste condizioni. Nella caverna, che possiamo anche associare a una mangiatoia o al ventre di una balena, il protagonista della storia trova protezione, magari spesso riprende fiato, si rigenera, pronto ad affrontare le sfide che lo dovranno portare alla conquista di qualcosa.
A volte la caverna è un portale, un collegamento tra il mondo dei vivi e quello dei morti, un cammino segreto e oscuro che, come in una galleria, ci avvicina alla luce di una nuova consapevolezza.

- la montagna: ora sappiamo che anche le montagne si modificano con il corso del tempo, ma per gli antichi erano totalmente immutabili, quindi le hanno sempre associate al divino. Da dimora degli dèi a luogo dove poter parlare direttamente a Dio, la montagna è ricca di vegetazione, abbondanza materiale e spirituale. A lei si affidano i grandi profeti, e persino Gesù si ritira in montagna a pregare tutta la notte.
A livello ancestrale è un portale che favorisce la meditazione, la preghiera, il dialogo diretto con il divino. La sua calma fa in modo che l’uomo (inteso al neutro) si senta protetto nella sua libertà.

- la foresta: se i primi due luoghi sono più introspettivi, la foresta è un vero e proprio luogo iniziatico. Pensiamo a una foresta totalmente selvaggia, con alberi così alti e rigogliosi da non far passare la luce del sole. Nella foresta convivono creature pacifiche, ma anche pericolose e velenose.
Tanti protagonisti attraversano la foresta, alcuni si imbattono in tranelli, come Cappuccetto rosso o Hansel e Gretel; altri trovano aiuto nel rifugio, come nel caso di Biancaneve o di Aurora ne “La bella addormentata nel bosco”.
La foresta è totalmente neutra, è la mamma che ci ha cresciuto ed è pronta a lasciarci andare nel mondo. Può essere difficoltoso e a volte possiamo sbagliare, ma sappiamo che possiamo sempre tornare a lei. 

Calderone
Per quanto riguarda gli oggetti, il calderone è ovviamente la rappresentazione del femminile e anch’esso ci riporta all’utero materno.
Nel calderone la sacerdotessa – divenuta poi una strega dalla società misogina – mescola varie componenti animali e vegetali per unire il tutto in pozioni o bevande benefiche.
Erano le donne a custodire tali ricette, gli uomini potevano solo guardare e rimanere affascinati dai misteri che celavano. In un certo senso è quello che accade dentro ognuno di noi: la nostra parte femminile sa già dove andremo, cosa faremo, e perché siamo qui; la parte maschile può solo vivere nel materiale e usare la logica per i suoi fini.
Così nella leggenda di Artù, lui va alla ricerca del Calderone magico (il Graal) pur non sapendo con certezza a cosa serva e perché sia così fondamentale averlo.

Archetipo dell’iniziazione
Ogni volta che lasciamo andare una parte di noi a favore di una crescita spirituale o personale, stiamo compiendo un atto di iniziazione. Non ha nulla a che vedere con qualcosa di mistico o pericoloso, dunque.
La donna incinta si prepara alla sua iniziazione come madre, una persona che studia i propri talenti è nel processo di iniziazione per il lavoro che vorrà compiere nel mondo, il bambino giocando si inizia all’adulto che sarà…
Lo compiamo in ogni momento della nostra vita, ma farlo con consapevolezza è tutt’altra storia.
Per vivere davvero questo processo bisogna rimanere saldi nel momento presente, sapendo che ogni frammento della realtà è lì per farci evolvere. Tutto è al suo giusto posto, sempre. Non esiste qualcosa che sia sbagliato, nulla è contro di noi.

Misteri del femminile
Arriviamo così alla più profonda comprensione di questo articolo.
La parola “mistero” ha la radice indoeroupea “mu-” che sembra fosse più un suono onomatopeico di quando si tiene la bocca chiusa, mugugnando. La stessa radice, infatti, la troviamo nella parola “muto”. Da qui sono derivate poi le parole greche: “myo” (iniziare ai misteri), “myesis” (iniziazione) e “mystès” (iniziato).
In ogni rito iniziatico sono presenti componenti strettamente femminili volti alla purificazione, alla salvezza, alla scoperta e alla liberazione di un nuovo Sé.
In un esempio più moderno e vicino a noi dal punto di vista culturale, per esempio, non è un caso che la Pasqua sia preceduta da un periodo di Quaresima dove solitamente ci si priva della carne o di tutti i cibi non necessari al nostro fabbisogno giornaliero.
È proprio il ricordo più ancestrale di una donna sul finire della gravidanza che si priva di un sonno, o di un lavoro – dobbiamo pensare alle società antiche, non quelle attuali – perché impossibilitata dal peso del grembo, o perché deve mantenere le forze in vista di un parto totalmente naturale, senza supporto di medicine, ospedali e personale qualificato. La rinuncia di qualche giorno, però, porta a un livello di gioia eterna che vale ogni cessione si sia fatta.

I più fortunati di noi hanno così tanta parte femminile che avvertono come una specie di chiamata, di vocazione, nel fare qualcosa che il resto della società considera inutile o superfluo.

La parte logica degli altri è piena di domande: “Perché dovresti fare questo? Ma poi come farai? Ma non è meglio rimanere tranquilli?” è inutile rispondere, ve lo assicuriamo.

Chi sa, fa. Chi non sa rimane affascinato o stranito dal mistero della vita.

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