mercoledì 20 luglio 2022

#Pensieri: Un altro mare

Ormai la domenica per me vuol dire mettermi a scrivere un Pensieri quasi senza pensare al periodo più giusto per pubblicarlo. Nella mia mente sono pezzi di diario pubblici volti ad aiutarmi e aiutare quante più persone possibili, per questo il tempo impegnato a scriverli è un rituale sacro, come se fosse una seduta di psicoanalisi con me stessa. Ho il telefono in modalità aereo, le cuffie alle orecchie, la porta della mia stanza chiusa a chiave e un incenso che brucia, il rituale perfetto per darmi l’illusione di una purificazione totale.

In questi giorni sto leggendo la biografia dell’Imperatrice Sissi, personaggio storico con cui entro facilmente in empatia, capendola perfettamente: lei percepiva le attenzioni su di sé come una violenza fisica e io non sono da meno. Se parlo e gli altri mi guardano, avverto aggressività. Se gli altri provano ad avvicinarsi, mi chiudo a riccio perché credo che vogliano entrare nella mia sfera privata di prepotenza. Non riesco a capire quanto la mia presenza possa far star bene chi ho davanti, nonostante in molti me lo ripetano.
Come sempre, quando non capisco o ho paura di qualcosa, reagisco facendo il più possibile. Nell’ultimo periodo ho provato a essere più egocentrica, più espansiva, a dire quello che pensavo, esprimere le mie emozioni il più possibile. Ho creduto alle parole degli altri, soprattutto se erano positive nei miei confronti. Il risultato? Ho comunque avvertito la voglia di chiudermi.  

 “Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci.”

-Vangelo di Giovanni, capitolo 21 5-7

Nella categoria Divina Commedia commentiamo l’opera di Dante dal punto di vista esoterico. La associamo al nostro cammino interiore, dove l’Inferno è la scoperta di tutti i nostri lati che non portiamo alla luce. Ancora non siamo arrivati al Purgatorio, ma ogni tanto vi accenniamo quanto sia facile, anche dopo l’uscita dall’Inferno, ripiombare nelle vecchie abitudini.
Tra le più grandi zone d’ombra del mio personale Inferno c’è sempre stata la difficoltà nell’esprimere i miei sentimenti.

“Una notte di sudore
sulla barca in mezzo al mare
e mentre il cielo si imbianca già
tu guardi le tue reti vuote.

Ma la voce che ti chiama
un altro mare ti mostrerà
e sulle rive di ogni cuore
le tue reti getterà.”

Al solito, non voglio spiegarvi la Bibbia da credente perché mi interessa poco o niente il legame religioso, ciò che mi preme sono gli esempi visivi. Nel capitolo di Giovanni, Gesù è già morto e risorto. I discepoli, però, sono tornati alla loro vita di sempre. Non hanno abbandonato le vecchie abitudini, è come se i tre anni con il loro Maestro fossero stati una semplice vacanza. Insomma, “Nun c’hanno capito un c…” per citare un prete che conosciamo. Gesù deve manifestarsi un’altra volta e ricordare loro di gettare le reti a destra, di fare tutt’altro e allora sì che troveranno una pesca grandiosa.

Nel mio passato ho subito bullismo e cyber-bullismo non per il mio fisico, per la mia persona, ma per qualcosa per me molto più doloroso: per le mie relazioni. Sono stata additata come quella che rovinava le coppie, che entrava in gruppo per mettere zizzania, che voleva controllare le persone, con tanto di lavaggi del cervello. Mi hanno descritta come una manipolatrice eccezionale, che si divertiva a distruggere gli altri... anche se effettivamente all’epoca tutto volevo fare, tranne che uscire con la gente, figuriamoci creare flame.
Oggi accetto il fatto che forse potevo dare quella impressione, ma mi sfugge ancora il perché. Ho notato che riesco a capire i punti chiave di qualcuno, vedo la luce nelle persone, so quando questa luce brilla di più o è oscurata. Per questo sprono come una cheerleader o metto in guardia come una mamma chioccia. Ma il perché io venga vista come una minaccia – soprattutto dalle altre donne – mi è sul serio incomprensibile. Al momento sto ridendo, perché mi chiedo: “Ma minaccia de che?” 

È vero: amo l’amore. Lo amo come lo amava Lucrezia Borgia: non mi interessa se è ricambiato o se è vissuto, amo la sua idea. Amo così tanto che passo le ore a parlare persino con gli insetti o le piante. Sono la classica pazza del quartiere che si mette a piangere se per caso calpesta una formica.
Di indole, però, tendo a sparire. Silvia una volta ci ha detto che nessuno deve conquistare nessuno, ed è una frase verissima. L’ho sempre pensato: io non devo conquistare nessuno, non devo mostrarmi come non sono solo per fare in modo che gli altri ci siano o restino. Non sono una che combatte per prendersi il potere su qualcuno, anche perché credo che gli esseri umani siano anime libere che non devono appartenere a nessuno se non a loro stessi.
Non mi piace creare problemi per gelosia, tanto che non tollero tale sentimento nella mia vita, così appena riconosco certe dinamiche, tendo a bloccare ogni contatto e sparire. Lascio ad altre persone l’illusione di una vittoria, di una conquista, appunto. Se altre hanno o vogliono armi, sono ben consapevoli che io non le depongo neanche, dato che non  ne ho perché non mi servono. Vivo ogni tipo di relazione (amore o amicizia non mi fa differenza) totalmente disarmata, senza alcuna barriera.     
Ed è un po’ ciò che ho provato a esprimere nella mia fan-fiction Penny Lane.

“Per non negarsi quell'amore, per non toccare mai il fondo della mediocrità. Con loro non c'è senso del dovere, vergogna o alcun impedimento. Con loro è sempre stata libera ed è questo concetto di libertà che le fa provare un amore così intenso che non ha bisogno di parole. In quella stanza, anche adesso, ci sono solo tre anime che sanno perfettamente ciò che stanno facendo. Tre anime che hanno interrotto il cammino dello spazio-tempo. Tre anime che amandosi si fondono, si riconoscono nell’altro. Tre anime che non hanno mai avuto bisogno di parlare per descrivere ciò che sono.”

- Penny Lane, capitolo All you need is love

Il pezzo sopra è tra i preferiti di Gianluca. Me lo ha commentato con: “Nessuno descrive l’amore come fai tu”. Eppure per me è difficile esprimermi come vorrei – tanto che trovo ciò che ho scritto completamente banale e sciocco – proprio per il mio passato.
So che la mia impulsività tende a darmi una comunicazione aggressiva e che questo può spaventare. Sono sempre schietta, diretta, con pochi filtri. L’ho già scritto in “Cercami” (link quando verrà pubblicato): “Sono così, prendere o lasciare”. Non mi piacciono le vie di mezzo e a chi è davvero mio amico consiglio sempre di amare prima i miei difetti, poi il resto, perché tendo io per prima a portare alla luce proprio loro. Così come nel fisico: risalto le occhiaie, metto in mostra i fianchi, vado in giro con i peli se non mi va di farmeli… anche nel mio carattere metto in rilievo le parti ombra, in modo tale che solo chi vuole rimanere si può godere la luce.

Tutto molto bello e forse un bel po’ tossico, ma perché ho sentito il bisogno di scrivere questo articolo? Beh, perché riconosco da subito le persone. So esattamente cosa passa per la loro testa, tanto che non scherzo quando dico che io e Aida parliamo telepaticamente. I nostri discorsi sono per lo più silenziosi, e ormai sono la sua traduttrice di fiducia.
Così so riconoscere cosa nascondono gli sguardi di chiunque, sconosciuti compresi, e proprio per la mia indole descritta sopra, quando noto aggressività vorrei solo sparire, sento tornare la paura che avevo anni fa, quando ero terrorizzata al solo pensiero di accendere il telefono.
In questa parte dello sfogo arriva la mia autocelebrazione perché nonostante io abbia una grandissima voglia di tornare a chiudermi a riccio, non lo sto facendo.

“Lascia la porta spalancata alla vita
anche se l’hanno umiliata, brutalizzata
c’è ancora qualche cosa di me
in ogni latitudine c’è
qualcosa per cui ritornerei da te.”

-Ancora qui, Renato Zero

Negli ultimi giorni (non dirò perché e per come) ho avuto questa canzone in testa. È bastato un pomeriggio per riportarmi nelle stesse dinamiche del passato: ho percepito la violenza da uno sguardo e sono andata, di nuovo, in crisi. Mi sono autoflagellata per giorni, pur non avendo – come sempre, in questi casi – alcuna colpa.

Le altre, che già mi hanno fatto da scudo nell’ormai lontano 2013, hanno saputo affrontare i miei sensi di colpa dandomi così tanto amore da farmi attivare il coraggio di andare avanti, non voltarmi indietro e non bloccare niente e nessuno. Mi hanno aiutata a non cadere nella trappola della chiusura e della freddezza, sebbene il mio inconscio mi stia regalando sogni dove tratto malissimo la gente!
Ma se da loro mi aspetto questa vicinanza (è tipo il minimo, regà) questo articolo nasce in realtà da una frase di Bernardino:

“Quando la mente è abituata ad un certo modo di pensare e poi si cambia, si hanno dei momenti di ritorno al passato.” 

E sapete perché questa frase ha fatto molto, tanto da essere tra i messaggi importanti di Whatsapp? Perché non tutti mi hanno mai davvero capita da subito.
Aida, Manu e Silvia possono confermarvi quanto anche loro, all’inizio della nostra amicizia, hanno visto i miei “sbroccamenti” come minacce o arroganza. Loro sanno e forse non ricordano più quante volte ho terminato il rapporto, scappando.
Io non so se ho davvero cambiato modo di esprimermi, se effettivamente il genere maschile comprende maggiormente la linea diretta rispetto a quello femminile o se è solo una frase detta tanto per… ciò che conta è che grazie a queste parole, alla sua reazione nei miei confronti, se sto vincendo contro la voglia di fuggire.

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