⚠️ VM.18
Questa è un'opera di fantasia. La storia che segue è frutto dell'immaginazione dell'autore e non è da considerarsi reale. È una fan fiction ispirata al testo della canzone "Penny Lane" dei Beatles, i quali detengono i diritti sul brano.
Ascoltando
il brano e traducendolo quando avevo tredici anni, mi è venuta in mente
questa storia, che è quindi soltanto una mia personale interpretazione
della quale detengo ogni diritto.
Se solo Philip non fosse stato così accondiscendente, se solo le avesse impedito di partire facendo la minima storia, se solo lei gli avesse mentito, parlando di un viaggio in solitudine, forse si sarebbe sentita meno in colpa. Invece era stata sincera: aveva ritrovato la voglia di vivere, ma ancora non era pronta a farlo sul serio. Voleva cambiare aria, non guardare i vestitini già comprati, non incontrare gli sguardi dei vicini pieni di compassione e dispiacere. Gli aveva chiesto ancora qualche giorno, una settimana, forse due, a Parigi. Con John e Paul. “Loro hanno un intero piano prenotato, ovviamente non staremo nella stessa stanza. Stanza, poi, sono praticamente appartamenti. In più devono lavorare a una nuova canzone, è importante. Forse non ci vedremo neanche tutti i giorni. Io ho solo bisogno di tornare a essere me stessa, non una madre mancata. Lì non dovrò rispondere alle domande di chi mi chiede come va, anzi, non dovrò neanche sentire l’inglese. Nuova lingua, nuova aria, nuovo tutto. Solo per due settimane, al massimo.” Philip si era chiuso in un silenzio di tre giorni, ma poi aveva acconsentito. Che gli uomini stessero davvero imparando ad ascoltare le donne? Se solo avesse pronunciato una cattiveria, o una parola di gelosia, però, lei ora si sarebbe sentita meno in colpa.Era stata sincera, pensava davvero a tutte quelle parole dette, pienamente convinta che non si sarebbero mai visti, che il lavoro per i due sarebbe venuto prima. Si figurava intere mattine passate per Parigi da sola, tra musei e bistrot, con pomeriggi di passeggiate, per tornare in albergo solo la sera all’ora di cena. Una cena che avrebbe consumato davanti alla televisione, perché i due sarebbero stati ancora immersi nel lavoro. In un certo senso i primi due giorni erano davvero andati così.
Poi uno, due, tre, quattro… bicchieri di vino, una leggerezza ritrovata, le chiacchierate sull’India che la affascinavano, che la facevano sentire importante, meritevole di sapere i segreti più occulti della mente umana, l’avevano fatta cedere. Era già chiaro dalla prima notte che nessuno dei tre aveva voglia di separarsi, neanche per andare a dormire. Le due del mattino erano diventate l’alba, l’alba un intero giorno senza forze ed energie. Ben presto si resero conto che l’unico modo che avevano per stare bene, era lasciarsi andare. Abbandonarsi al flusso del momento, non avere alcun appiglio, alcuna barriera, alcun senso del dovere. L’identità che muore e rinasce come essere, come sensazione. In ogni bacio dato, in ogni mano che affonda sulla pelle solo per ricordarsi del corpo, quell’appiglio che permette di comprendere il piacere, il dolore, e oltrepassare il confine che separa i due amanti. Piacere e dolore. Lussuria e castità. Due concetti che non possono esistere senza l’altro. Due poli dell’amore.
L’amore che scopre se stesso, che si interroga su cosa è, cosa fa provare. Se solo Philip le avesse negato il viaggio, lei non si sarebbe abbandonata così tanto agli orgasmi, avrebbe avuto paura del suo giudice severo. Ma lui aveva acconsentito, nessuna pena per i suoi errori, nessuna condanna a frenarle la lingua sulle due differenti pelli. Le aveva dato fiducia e lei lo stava ripagato con il tradimento vero e proprio. Non solo di tre corpi che si uniscono, ma dell’amore incondizionato. Perché lei, lo sa, ama incondizionatamente sia John che Paul ed è ricambiata allo stesso modo. Solo loro tre, come se fossero gli unici abitanti dell’intero pianeta. E il sentirsi in colpa è per il non sentirsi in colpa. Per non negarsi quell'amore, per non toccare mai il fondo della mediocrità. Con loro non c'è senso del dovere, vergogna o alcun impedimento. Con loro è sempre stata libera ed è questo concetto di libertà che le fa provare un amore così intenso che non ha bisogno di parole. In quella stanza, anche adesso, ci sono solo tre anime che sanno perfettamente ciò che stanno facendo. Tre anime che hanno interrotto il cammino dello spazio-tempo. Tre anime che amandosi si fondono, si riconoscono nell’altro. Tre anime che non hanno mai avuto bisogno di parlare per descrivere ciò che sono.
Il loro non è mai stato un incontro casuale, tanto per… senza di loro lei non si sarebbe mai messa in dubbio, sarebbe stata come un soldato che esegue gli ordini imposti. Casa e famiglia, se ti riesce anche un lavoro. Questo, per tutta la vita. Avrebbe rivissuto quella dei genitori. Senza di loro, lei non avrebbe mai avuto il coraggio. Non è mai stata come le sorelle, forte, indipendente. Lei ha sempre avuto bisogno di qualcuno. John e Paul sono i suoi specchi. Il primo ribelle, impulsivo, che fa quello che vuole e se ne frega degli altri. Il secondo più dolce, accogliente. Colui che cerca di unire gli opposti, anche se spesso non li comprende. Agatha è l’unione dei due.
E senza di lei, loro non sarebbero stati i Beatles. Loro non avrebbero messo le emozioni nei testi. Sarebbero stati solo versi vuoti, con una bella melodia. Avrebbero avuto forse qualche mese di successo, nulla di più. Senza di lei, loro non avrebbero saputo neanche cosa fosse l’amore. Non si sarebbero mai chiesti per chi cambiare, per chi essere migliori. Eppure, l’orgoglio ha ancora la meglio. Quando sotto la doccia, completamente soli, mandano via sapori, umori, desideri e impulsi, cercano di ignorare anche i dubbi, le insicurezze, fintamente certi che la razionalità non serva. Quando escono dalla doccia cercano di non guardarsi allo specchio. Tre persone diverse, con lo stesso modo di affrontare il proprio interno: ignorandolo.
Se Agatha si guardasse allo specchio, vedrebbe una donna senza audacia, sola, immatura. Una persona che non ha abbastanza volontà per scegliere sul serio, per capire quali obiettivi mandare avanti. Certo che ha scelto Philip, dietro quella bontà, quel pensiero di comprenderla, c’è un uomo inetto quanto lei. Un uomo che ha paura di affermarsi su di lei, che non saprebbe come gestire una lite. Si è scelta un uomo così: sottomesso, quieto, che le dice sempre di sì, perché è facile.
Se John si guardasse riflesso negli occhi di Agatha, scoprirebbe di come lei riesca a denudare anche la sua anima. È l’unica donna che lo ha visto piangere, che sa di sua madre, del dolore provato fin da bambino. John è un codice che Agatha e Paul sanno decifrare, un enigma di cui loro hanno la soluzione ma che lasciano insoluto proprio perché lo amano, perché deve essere lui a risolvere se stesso. John sa perfettamente che non potrà mai essere Johnny per nessun altro al mondo. Chiunque verrà, chiunque ci sarà, vedrà solo il Lennon. Quando Agatha lo spoglia, quando Paul lo bacia sulla schiena, a ogni loro movimento, John costruisce una barriera per il resto del mondo. Solo loro due possono entrare, solo a loro è concesso tale privilegio. Se John avesse il coraggio di guardarsi allo specchio, vedrebbe un mostro. Il mostro che sa che diventerà quando quell’amore si esaurirà.
Paul, il più riflessivo, quello che sembra avere sempre le risposte in tasca, è probabilmente l’unico che pensa di guardarsi allo specchio. Se la racconta. Come ha sempre fatto. John e Agatha lo sanno, ma solo il primo lo lascia trasparire, ogni volta che discutono per la finta maturità di Paul. Se Paul si guardasse davvero dentro, vedrebbe che l’amore segreto che prova per i due sta creando una dipendenza in lui. Non riesce a rimanere solo, e quando è costretto dagli eventi, chiama una donna a caso, sempre diversa, per non dover affrontare i suoi pensieri. Alla luce del sole ha Jane, ma neanche lei gli basta.
Sono loro i diversi? Quanti uomini, quante donne, sono nella loro stessa situazione? Quanti veri amori sono nascosti da una facciata di normalità, perché la società non capirebbe?
Agatha si mette a sedere. Le lenzuola bianche sono del tutto stropicciate, avvolte in una matassa senza senso. Prova a scioglierla, a stirarla, con una frustrazione tale da fare rumore e svegliare John. Tutto inutile, lui apre lentamente gli occhi, ancora impastati dal sonno. Scruta i raggi del sole alla finestra. Non guarda subito l’ora, vuole prima indovinarla nella sua mente. Studia l’intensità della luce, la testa che pulsa per il bisogno di altre tre ore di sonno. “Sono le undici”, si dice e sorride quando nota di aver sbagliato solo di cinque minuti. Ora il suo sguardo mette a fuoco i particolari della stanza, si mette seduto sul bordo del letto, stiracchiandosi. Tutto dura qualche attimo, perché Agatha è ancora alle prese con il lenzuolo.
«È inutile, se l’altra metà sta sotto le chiappe di Paul.» si pettina i capelli arruffati con la mano destra, si alza dal letto grattandosi la coscia e cercando tra gli avanzi della cena qualcosa da mangiare.
Agatha rinuncia al lavoro, osservandolo. Rimane incantata a guardare il suo corpo avvolto dalla luce del giorno. Forse è più magro rispetto a quando era un ragazzino, sicuramente, però, è più forte. Chissà se loro hanno notato le sue smagliature, i suoi chili in più, la cellulite.
John si gira, un dolce secco dalle ore passate all’aria tra le labbra. «Prenoto la colazione, vuoi qualcosa?»
«Fai tu.» risponde senza un vero e proprio tono.
«Caffè e pancakes.» bofonchia con la bocca sul cuscino Paul, alzando una mano, come se non si fosse capito da chi provenisse l’ordine.
Pochi secondi di chiamata dopo, John si rimette sdraiato a letto. Non c’è bisogno di rivestirsi, i camerieri sanno che non devono entrare finché occupano la stanza. Essere ricchi e famosi ha i suoi vantaggi: possono fare ciò che vogliono, senza subirsi prediche. Nel contratto che hanno stipulato al momento della registrazione, sono scritte dettagliatamente le conseguenze di un’eventuale fuga di notizie. Solo il direttore dell’albergo e pochi addetti sanno chi realmente alloggia tra quelle mura. Il resto non sa e non deve sapere. Quando escono, si camuffano con occhiali da sole scuri e cappello. Nessuno fa domande, perché di certo non sono gli unici personaggi famosi a comportarsi così. Ogni volta che ordinano qualcosa in stanza, l’arrivo è annunciato da un colpo di nocche sulla porta di legno. Loro si avvicinano dopo cinque minuti, quando il cameriere è sicuramente andato via. Chissà quante volte quel povero ragazzo si sarà dovuto sentire: “Quando andate all’ultimo piano, fermate il carrello e andate via subito. Se notate qualcosa, non fate domande e tacete.” E chissà con quali minacce, forse il licenziamento.
Comunque, non sono problemi suoi. John mette le braccia dietro la testa, sospira grato per tutto ciò che ha. Paul sembra essersi alzato veramente solo in quel momento. È a pancia in sotto, allunga i muscoli di schiena e gambe per riprendere a far circolare il sangue, come se si fosse fermato durante la notte.
I due cominciano a parlare di lavoro, di accordi, di nuove idee, di parole da cambiare. Agatha è ancora silenziosa, John se ne è accorto, ma la lascia fare. Anche se guarda fisso Paul, la sua vista periferica è vigile su di lei. Si connette a lei, la sente solo pensierosa. Per la prima volta è certo di non essere il colpevole. L’ha trattata bene, con educazione e rispetto. Non le ha mai risposto male, non le ha impedito di fare qualcosa. Il suo cuore manca un battito: è l'unica donna a farle quest'effetto. Persino a Cynthia non ha mai riservato questo trattamento.
Paul è come un bambino alla vista del cioccolato, forse perché è sempre terribilmente affamato quando si sveglia. John versa del succo sul suo bicchiere, e fa lo stesso per Agatha.
«Sei bellissima, stamattina.» le dice, mentre le avvicina il piatto con uova e bacon.
Lei arrossisce, l’occhio che cade sulla data del giornale che ogni mattino l’albergo mette a disposizione dei loro ospiti. «Manca una settimana, poi torneremo a Londra.»
«Non me ne parlare. Abbiamo solo mezza canzone pronta. Non è per farti pressioni, Johnny, ma staremo in mondovisione, dobbiamo avere qualcosa di grandioso entro dopodomani.»
«Sì.» Risponde lui laconico. «Vuoi venire con noi?» fa voltandosi verso lei. «Ormai avrai visto Parigi cinque volte, non ti sei stufata?»
Agatha sorride intimidita, non le piace parlare male di nessuno, neanche delle città. «Beh, non è Londra, questo è certo.»
Lo studio è semplicemente un’altra suite sullo stesso corridoio. Non è comunicante con le loro stanze, così da avere effettivamente la sensazione di dividere il loro piccolo nido d’amore, con il lavoro. Il clima è leggero, come in una sorta di gita di classe. C’è una spensieratezza negli animi di tutti, soprattutto in quello di Agatha, che non deve più fingere di essere qualcuno che non è. Per Philip si prepara e trucca fin dal mattino, perché una moglie deve essere sempre presentabile. Con John e Paul, invece, lei è struccata. Ben vestita, sempre pettinata, ma struccata. E a loro non importa.
Negli ultimi giorni è andata in studio con loro, ha assaporato la vita che avrebbe avuto se avesse scelto diversamente. Li ha incitati, è stata ad ascoltare i loro dubbi e nelle discussioni è rimasta neutrale, senza aver mai preso le parti di qualcuno in particolare. A sera, da tradizione, li ha amati con tutta se stessa.
Ora ha appena finito ascoltare l’ultima versione della canzone, quella definitiva.
«È meravigliosa, sul serio. È così… complicata, ma orecchiabile.»
«Davvero la trovi complicata?» le domanda Paul.
Lei annuisce, leggermente turbata per non averla compresa da subito.
«Vedi, Gathie,» le spiega Paul «viviamo sempre con la paura di sbagliare, ma non c’è niente di sbagliato. Qualsiasi decisione, l’abbiamo già presa. Se seguiamo quel flusso che è l’amore, è impossibile sbagliare…»
«Anche se io tornerò da Philip?»
«Tu lo ami?» alla domanda di John, lei scuote la testa.
«Non quanto amo voi.»
«E perché tornerai da lui?»
Agatha si fa piccola, alza le spalle e abbassa lo sguardo. «È più facile.»
It’s easy.
«Non vi sentite traditi da me? Non pensate che io sia una scema...»
John la guarda dritto negli occhi e la interrompe. « Chi ti ha detto che la persona che scegli è quella che ami di più? Chi ti ha detto che ci sia qualcuno che ami di più?»
Lei rimane in silenzio, non sa cosa dire. John che le fa queste domande, è quasi surreale. Una persona gelosa e possessiva come lui, come può dirle ciò?
«Sai perché ti lascerò andare?» continua senza lasciarle il tempo di cercare eventuali risposte. «Perché è l’unica cosa che posso fare. Tu non ami Philip. Tu ami la vita che solo Philip può darti. Ami avere una famiglia, i pranzi delle domeniche, le recite dei bambini, queste cazzate qui.»
Gli occhi grigi di Agatha sono come un lago ghiacciato che piano piano si scioglie all’arrivo della primavera. John le ha detto ciò che non ha mai avuto il coraggio di ammettere. Non ha mai lottato tra l’amore che prova per John e Paul, e suo marito. Ha sempre e solo lottato tra l’ammettere e il non ammettere che John e Paul non le daranno mai la vita che desidera.
«E noi amiamo te, ecco perché ci sta bene tornare a Londra, divisi.» Aggiunge Paul.
In un attimo Agatha capisce la severità dei suoi genitori, i segreti taciuti delle sorelle. Tutti loro la amano, sanno ciò che lei ha sempre voluto. Rimanere in quella situazione avrebbe voluto dire che una delle due parti avrebbe dovuto rinunciare al proprio sogno, al proprio destino. Sarebbe stato giusto? L’amore vuole davvero rinunce? La società l'ha cresciuta con la credenza che bisogna sempre scegliere, che per realizzare un sogno bisogna per forza lasciare andare qualcosa di valore. E se non fosse così? Se potesse avere tutto?
«Quindi vi va bene farla finita?» chiede con un filo di voce.
«Ma non essere ridicola!» sbotta John alzandosi dalla sedia. «Tra noi non esiste la parole fine.»
Poi uno, due, tre, quattro… bicchieri di vino, una leggerezza ritrovata, le chiacchierate sull’India che la affascinavano, che la facevano sentire importante, meritevole di sapere i segreti più occulti della mente umana, l’avevano fatta cedere. Era già chiaro dalla prima notte che nessuno dei tre aveva voglia di separarsi, neanche per andare a dormire. Le due del mattino erano diventate l’alba, l’alba un intero giorno senza forze ed energie. Ben presto si resero conto che l’unico modo che avevano per stare bene, era lasciarsi andare. Abbandonarsi al flusso del momento, non avere alcun appiglio, alcuna barriera, alcun senso del dovere. L’identità che muore e rinasce come essere, come sensazione. In ogni bacio dato, in ogni mano che affonda sulla pelle solo per ricordarsi del corpo, quell’appiglio che permette di comprendere il piacere, il dolore, e oltrepassare il confine che separa i due amanti. Piacere e dolore. Lussuria e castità. Due concetti che non possono esistere senza l’altro. Due poli dell’amore.
L’amore che scopre se stesso, che si interroga su cosa è, cosa fa provare. Se solo Philip le avesse negato il viaggio, lei non si sarebbe abbandonata così tanto agli orgasmi, avrebbe avuto paura del suo giudice severo. Ma lui aveva acconsentito, nessuna pena per i suoi errori, nessuna condanna a frenarle la lingua sulle due differenti pelli. Le aveva dato fiducia e lei lo stava ripagato con il tradimento vero e proprio. Non solo di tre corpi che si uniscono, ma dell’amore incondizionato. Perché lei, lo sa, ama incondizionatamente sia John che Paul ed è ricambiata allo stesso modo. Solo loro tre, come se fossero gli unici abitanti dell’intero pianeta. E il sentirsi in colpa è per il non sentirsi in colpa. Per non negarsi quell'amore, per non toccare mai il fondo della mediocrità. Con loro non c'è senso del dovere, vergogna o alcun impedimento. Con loro è sempre stata libera ed è questo concetto di libertà che le fa provare un amore così intenso che non ha bisogno di parole. In quella stanza, anche adesso, ci sono solo tre anime che sanno perfettamente ciò che stanno facendo. Tre anime che hanno interrotto il cammino dello spazio-tempo. Tre anime che amandosi si fondono, si riconoscono nell’altro. Tre anime che non hanno mai avuto bisogno di parlare per descrivere ciò che sono.
Il loro non è mai stato un incontro casuale, tanto per… senza di loro lei non si sarebbe mai messa in dubbio, sarebbe stata come un soldato che esegue gli ordini imposti. Casa e famiglia, se ti riesce anche un lavoro. Questo, per tutta la vita. Avrebbe rivissuto quella dei genitori. Senza di loro, lei non avrebbe mai avuto il coraggio. Non è mai stata come le sorelle, forte, indipendente. Lei ha sempre avuto bisogno di qualcuno. John e Paul sono i suoi specchi. Il primo ribelle, impulsivo, che fa quello che vuole e se ne frega degli altri. Il secondo più dolce, accogliente. Colui che cerca di unire gli opposti, anche se spesso non li comprende. Agatha è l’unione dei due.
E senza di lei, loro non sarebbero stati i Beatles. Loro non avrebbero messo le emozioni nei testi. Sarebbero stati solo versi vuoti, con una bella melodia. Avrebbero avuto forse qualche mese di successo, nulla di più. Senza di lei, loro non avrebbero saputo neanche cosa fosse l’amore. Non si sarebbero mai chiesti per chi cambiare, per chi essere migliori. Eppure, l’orgoglio ha ancora la meglio. Quando sotto la doccia, completamente soli, mandano via sapori, umori, desideri e impulsi, cercano di ignorare anche i dubbi, le insicurezze, fintamente certi che la razionalità non serva. Quando escono dalla doccia cercano di non guardarsi allo specchio. Tre persone diverse, con lo stesso modo di affrontare il proprio interno: ignorandolo.
Se Agatha si guardasse allo specchio, vedrebbe una donna senza audacia, sola, immatura. Una persona che non ha abbastanza volontà per scegliere sul serio, per capire quali obiettivi mandare avanti. Certo che ha scelto Philip, dietro quella bontà, quel pensiero di comprenderla, c’è un uomo inetto quanto lei. Un uomo che ha paura di affermarsi su di lei, che non saprebbe come gestire una lite. Si è scelta un uomo così: sottomesso, quieto, che le dice sempre di sì, perché è facile.
Se John si guardasse riflesso negli occhi di Agatha, scoprirebbe di come lei riesca a denudare anche la sua anima. È l’unica donna che lo ha visto piangere, che sa di sua madre, del dolore provato fin da bambino. John è un codice che Agatha e Paul sanno decifrare, un enigma di cui loro hanno la soluzione ma che lasciano insoluto proprio perché lo amano, perché deve essere lui a risolvere se stesso. John sa perfettamente che non potrà mai essere Johnny per nessun altro al mondo. Chiunque verrà, chiunque ci sarà, vedrà solo il Lennon. Quando Agatha lo spoglia, quando Paul lo bacia sulla schiena, a ogni loro movimento, John costruisce una barriera per il resto del mondo. Solo loro due possono entrare, solo a loro è concesso tale privilegio. Se John avesse il coraggio di guardarsi allo specchio, vedrebbe un mostro. Il mostro che sa che diventerà quando quell’amore si esaurirà.
Paul, il più riflessivo, quello che sembra avere sempre le risposte in tasca, è probabilmente l’unico che pensa di guardarsi allo specchio. Se la racconta. Come ha sempre fatto. John e Agatha lo sanno, ma solo il primo lo lascia trasparire, ogni volta che discutono per la finta maturità di Paul. Se Paul si guardasse davvero dentro, vedrebbe che l’amore segreto che prova per i due sta creando una dipendenza in lui. Non riesce a rimanere solo, e quando è costretto dagli eventi, chiama una donna a caso, sempre diversa, per non dover affrontare i suoi pensieri. Alla luce del sole ha Jane, ma neanche lei gli basta.
Sono loro i diversi? Quanti uomini, quante donne, sono nella loro stessa situazione? Quanti veri amori sono nascosti da una facciata di normalità, perché la società non capirebbe?
Agatha si mette a sedere. Le lenzuola bianche sono del tutto stropicciate, avvolte in una matassa senza senso. Prova a scioglierla, a stirarla, con una frustrazione tale da fare rumore e svegliare John. Tutto inutile, lui apre lentamente gli occhi, ancora impastati dal sonno. Scruta i raggi del sole alla finestra. Non guarda subito l’ora, vuole prima indovinarla nella sua mente. Studia l’intensità della luce, la testa che pulsa per il bisogno di altre tre ore di sonno. “Sono le undici”, si dice e sorride quando nota di aver sbagliato solo di cinque minuti. Ora il suo sguardo mette a fuoco i particolari della stanza, si mette seduto sul bordo del letto, stiracchiandosi. Tutto dura qualche attimo, perché Agatha è ancora alle prese con il lenzuolo.
«È inutile, se l’altra metà sta sotto le chiappe di Paul.» si pettina i capelli arruffati con la mano destra, si alza dal letto grattandosi la coscia e cercando tra gli avanzi della cena qualcosa da mangiare.
Agatha rinuncia al lavoro, osservandolo. Rimane incantata a guardare il suo corpo avvolto dalla luce del giorno. Forse è più magro rispetto a quando era un ragazzino, sicuramente, però, è più forte. Chissà se loro hanno notato le sue smagliature, i suoi chili in più, la cellulite.
John si gira, un dolce secco dalle ore passate all’aria tra le labbra. «Prenoto la colazione, vuoi qualcosa?»
«Fai tu.» risponde senza un vero e proprio tono.
«Caffè e pancakes.» bofonchia con la bocca sul cuscino Paul, alzando una mano, come se non si fosse capito da chi provenisse l’ordine.
Pochi secondi di chiamata dopo, John si rimette sdraiato a letto. Non c’è bisogno di rivestirsi, i camerieri sanno che non devono entrare finché occupano la stanza. Essere ricchi e famosi ha i suoi vantaggi: possono fare ciò che vogliono, senza subirsi prediche. Nel contratto che hanno stipulato al momento della registrazione, sono scritte dettagliatamente le conseguenze di un’eventuale fuga di notizie. Solo il direttore dell’albergo e pochi addetti sanno chi realmente alloggia tra quelle mura. Il resto non sa e non deve sapere. Quando escono, si camuffano con occhiali da sole scuri e cappello. Nessuno fa domande, perché di certo non sono gli unici personaggi famosi a comportarsi così. Ogni volta che ordinano qualcosa in stanza, l’arrivo è annunciato da un colpo di nocche sulla porta di legno. Loro si avvicinano dopo cinque minuti, quando il cameriere è sicuramente andato via. Chissà quante volte quel povero ragazzo si sarà dovuto sentire: “Quando andate all’ultimo piano, fermate il carrello e andate via subito. Se notate qualcosa, non fate domande e tacete.” E chissà con quali minacce, forse il licenziamento.
Comunque, non sono problemi suoi. John mette le braccia dietro la testa, sospira grato per tutto ciò che ha. Paul sembra essersi alzato veramente solo in quel momento. È a pancia in sotto, allunga i muscoli di schiena e gambe per riprendere a far circolare il sangue, come se si fosse fermato durante la notte.
I due cominciano a parlare di lavoro, di accordi, di nuove idee, di parole da cambiare. Agatha è ancora silenziosa, John se ne è accorto, ma la lascia fare. Anche se guarda fisso Paul, la sua vista periferica è vigile su di lei. Si connette a lei, la sente solo pensierosa. Per la prima volta è certo di non essere il colpevole. L’ha trattata bene, con educazione e rispetto. Non le ha mai risposto male, non le ha impedito di fare qualcosa. Il suo cuore manca un battito: è l'unica donna a farle quest'effetto. Persino a Cynthia non ha mai riservato questo trattamento.
Paul è come un bambino alla vista del cioccolato, forse perché è sempre terribilmente affamato quando si sveglia. John versa del succo sul suo bicchiere, e fa lo stesso per Agatha.
«Sei bellissima, stamattina.» le dice, mentre le avvicina il piatto con uova e bacon.
Lei arrossisce, l’occhio che cade sulla data del giornale che ogni mattino l’albergo mette a disposizione dei loro ospiti. «Manca una settimana, poi torneremo a Londra.»
«Non me ne parlare. Abbiamo solo mezza canzone pronta. Non è per farti pressioni, Johnny, ma staremo in mondovisione, dobbiamo avere qualcosa di grandioso entro dopodomani.»
«Sì.» Risponde lui laconico. «Vuoi venire con noi?» fa voltandosi verso lei. «Ormai avrai visto Parigi cinque volte, non ti sei stufata?»
Agatha sorride intimidita, non le piace parlare male di nessuno, neanche delle città. «Beh, non è Londra, questo è certo.»
Lo studio è semplicemente un’altra suite sullo stesso corridoio. Non è comunicante con le loro stanze, così da avere effettivamente la sensazione di dividere il loro piccolo nido d’amore, con il lavoro. Il clima è leggero, come in una sorta di gita di classe. C’è una spensieratezza negli animi di tutti, soprattutto in quello di Agatha, che non deve più fingere di essere qualcuno che non è. Per Philip si prepara e trucca fin dal mattino, perché una moglie deve essere sempre presentabile. Con John e Paul, invece, lei è struccata. Ben vestita, sempre pettinata, ma struccata. E a loro non importa.
Negli ultimi giorni è andata in studio con loro, ha assaporato la vita che avrebbe avuto se avesse scelto diversamente. Li ha incitati, è stata ad ascoltare i loro dubbi e nelle discussioni è rimasta neutrale, senza aver mai preso le parti di qualcuno in particolare. A sera, da tradizione, li ha amati con tutta se stessa.
Ora ha appena finito ascoltare l’ultima versione della canzone, quella definitiva.
«È meravigliosa, sul serio. È così… complicata, ma orecchiabile.»
«Davvero la trovi complicata?» le domanda Paul.
Lei annuisce, leggermente turbata per non averla compresa da subito.
«Vedi, Gathie,» le spiega Paul «viviamo sempre con la paura di sbagliare, ma non c’è niente di sbagliato. Qualsiasi decisione, l’abbiamo già presa. Se seguiamo quel flusso che è l’amore, è impossibile sbagliare…»
«Anche se io tornerò da Philip?»
«Tu lo ami?» alla domanda di John, lei scuote la testa.
«Non quanto amo voi.»
«E perché tornerai da lui?»
Agatha si fa piccola, alza le spalle e abbassa lo sguardo. «È più facile.»
It’s easy.
«Non vi sentite traditi da me? Non pensate che io sia una scema...»
John la guarda dritto negli occhi e la interrompe. « Chi ti ha detto che la persona che scegli è quella che ami di più? Chi ti ha detto che ci sia qualcuno che ami di più?»
Lei rimane in silenzio, non sa cosa dire. John che le fa queste domande, è quasi surreale. Una persona gelosa e possessiva come lui, come può dirle ciò?
«Sai perché ti lascerò andare?» continua senza lasciarle il tempo di cercare eventuali risposte. «Perché è l’unica cosa che posso fare. Tu non ami Philip. Tu ami la vita che solo Philip può darti. Ami avere una famiglia, i pranzi delle domeniche, le recite dei bambini, queste cazzate qui.»
Gli occhi grigi di Agatha sono come un lago ghiacciato che piano piano si scioglie all’arrivo della primavera. John le ha detto ciò che non ha mai avuto il coraggio di ammettere. Non ha mai lottato tra l’amore che prova per John e Paul, e suo marito. Ha sempre e solo lottato tra l’ammettere e il non ammettere che John e Paul non le daranno mai la vita che desidera.
«E noi amiamo te, ecco perché ci sta bene tornare a Londra, divisi.» Aggiunge Paul.
In un attimo Agatha capisce la severità dei suoi genitori, i segreti taciuti delle sorelle. Tutti loro la amano, sanno ciò che lei ha sempre voluto. Rimanere in quella situazione avrebbe voluto dire che una delle due parti avrebbe dovuto rinunciare al proprio sogno, al proprio destino. Sarebbe stato giusto? L’amore vuole davvero rinunce? La società l'ha cresciuta con la credenza che bisogna sempre scegliere, che per realizzare un sogno bisogna per forza lasciare andare qualcosa di valore. E se non fosse così? Se potesse avere tutto?
«Quindi vi va bene farla finita?» chiede con un filo di voce.
«Ma non essere ridicola!» sbotta John alzandosi dalla sedia. «Tra noi non esiste la parole fine.»
"There's nothing you can do that can't be done/Nothing you can sing that can't be sung/Nothing you can say, but you can learn how to play the game/It's easy/Nothing you can make that can't be made
No one you can save that can't be saved/Nothing you can do, but you can learn how to be you in time/It's easy."
No one you can save that can't be saved/Nothing you can do, but you can learn how to be you in time/It's easy."
Quel 25 giugno 1967 Agatha, come trecentocinquantamila persone in tutto il mondo, è davanti alla televisione, tra le braccia di Philip. Riesce a trattenere a stento l’emozione che nonostante il caldo dell’estate si fa viva dandole dei brividi lungo le braccia e le gambe. Ora le parole che lei aveva ascoltato per prima sono per tutti. Nei prossimi giorni, e chissà per quanto altro tempo, tutti le canteranno. Alcuni scriveranno “All you need is love” sui muri delle città, su dei fogli sparsi per la casa. Gli innamorati se le dedicheranno, altri sogneranno di poterle dire a qualcuno.
"All you need is love/All you need is love/All you need is love, love/Love is all you need."
Nelle promesse che si sono fatti ci saranno altri viaggi a Parigi, altre notti per amarsi, e altri giorni per scrivere del loro amore. Lei negherà al mondo i nomi di chi veramente ama, ma non negherà mai a se stessa il sogno di diventare madre. Agatha, John e Paul non sono nati per condividere insieme la loro vita, ma questo non significa soffrire continuando a ignorarsi per il resto dei loro giorni.
Agatha sorride mentre chiunque nello studio televisivo intona il ritornello. Le parole sono semplici, facili, tutte le conoscono già a memoria. Nessuno, però, saprà mai il vero significato dell’inno francese all’inizio del brano. Si volta verso Philip, sta sentendo, non ascoltando. No, neanche lui, l’unico che potrebbe avere dei dubbi, saprà mai.
Nessun commento:
Posta un commento