Stringe la bocca dello stomaco.
Il più delle volte.
Ma in realtà questa è una sensazione nuova, perché fino a
poco tempo fa non faceva altro che inglobare e inglobare tutto quello che riuscivo
a trovare nel frigo o nella dispensa. Specialmente se al fresco ci stava
qualche salume, quale pacco di wurstel, qualcosa da consumare rapidamente e
magari silenziosamente.
La chiamo ansia, perché altri volti
non sono mai stata in grado di dargliene. È una sensazione, come mille altre,
ma è improvvisa e più subdola. Arriva quando meno te l’aspetti, perché sta lì e…
in un certo senso è come se aspettasse e sapessi quando emergere.
Ansia.
Non ho altri nomi per poter cercare
di chiamare e di individuare quell’emozione che ti dice che tutto andrà male,
che niente sarà come lo avevi pianificato.
Ansia.
Quell’assurda idea del controllo. Un
controllo che ci raccontiamo d’avere, ma che in realtà non fa altro che
spingerci a mentire a noi stessi.
Ansia.
Metter su carta, seppur digitale,
questi miei pensieri mi permette di fermarli e di fissarli. Come se prendessero
concretezza solo adesso che li sto osservando. E sì, lo sappiamo tutti quanti
qui che niente è reale, niente è come sembra. Eppure ci ostiniamo a chiamare
tutti quanti una sensazione diversa per tutti con lo stesso identico nome:
ansia.
Mi hanno sempre divertito le definizioni
del termine, perché è come se fosse vera da una parte, ma non vera per me:
1. 1. Affannosa
agitazione interiore provocata da bramosia o da incertezza
2. 2. In
psichiatria, senso di apprensione simile all’angoscia
Sfido chiunque di voi a descrivermi
la differenza tra ansia e angoscia, non credo che nessuno di noi sarebbe due
volte la stessa spiegazione. Per me, la prima, come stavo dicendo, è quella sensazione
che attanaglia lo stomaco; la seconda, invece, è una sensazione che pur essendo
mia, perché la sto provando io, allo stesso tempo è come se non lo fosse. L’angoscia
la destino ai terzi, la destino al mio senso da crocerossina, la esterno per
quando l’amica non mi manda il messaggio: “sono arrivata a casa”. La prima è tutta
totalmente mia. L’ansia che stringe, che allarga, che modifica il mio appetito.
L’ansia che governa il mio sonno, il ritmo del mio cuore e che a volte diviene
panico.
L’ansia è il nome che do a quella
sensazione che non so spiegare. Forse è più il nome che do alla paura di sbagliare,
al muro che innalzo quando devo e so che quella cosa dev’esser fatta per come
dico io… non lo so. L’ansia è un nome, un’etichetta, un’idea.
L’ansia è un pensiero, un pianto, un
sussulto.
L’ansia è messa su questo foglio, il
mio foglio. Lo ha macchiato, lo ha segnato con pixel dal colore nero che sul vostro
foglio sono consonanti e vocali. Parole che prendono vita da voli pindarici e
da quaranta minuti passati sotto la doccia. Ah sì… inutile dire che avevo l’ansia
per la prossima bolletta dell’acqua pur non pagandola.
Pensavo, mi ero illusa forse, che
il mio rapporto con l’ansia fosse migliorato nel corso del tempo. Certo, ho
sempre provato a non farmi abbattere da lei o non farmi condizionare, ma è
stato praticamente e pressoché impossibile farlo in passato. L’ansia mi
spingeva a chiudermi a riccio davanti qualsiasi cosa provata o meno. Lo stimolo
esterno mi dava apprensione, mi peggiorava l’umore e io sparivo. Sparivo non
facendomi raggiungere da nessuno, perché nessuno era davvero pronto a vedere
quel mostriciattolo che mi teneva la mano e mi accompagnava davanti al frigo.
Forse nessuno voleva davvero vederlo, anche se mi piace pensare al fatto che
fossi davvero brava a nascondermi. Sì, nemmeno troppo velatamente sto parlando
del mio disturbo alimentare. Ansia è un nome che ho dato persino a quello,
accompagnato da: ho il ciclo, ho solo fame, devo crescere e la migliore tra
tutte: “sarà tutta altezza”.
Non so dove questo sfogo porterà…
credo, inoltre, che in realtà sia finito. Dovevo solo mettere su un pezzo di carta
il volto che assume la mia paura quando ho troppe cose da dover tenere insieme
e non mi sento all’altezza nel tentare di farlo.
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