In questi giorni è uscito il trailer del nuovo film della Sony, che vedremo sul grande schermo in autunno: “The Woman King”, che vede la partecipazione del premio Oscar Viola Davis (Annalise Keating in “How to get away with Murder”) nei panni di Nanisca. Il film racconta la vera storia delle Amazzoni del Dahomey, delle incredibili guerriere che difesero il loro paese e il loro popolo dai conquistatori europei a fine Ottocento. Anche se il personaggio interpretato dalla Davis è puramente immaginario, vediamo insieme la storia di queste Amazzoni.
“Guerriera ardita,
che succinta, e ristretta in fregio d'oro
l'adusta mamma, ardente e furïosa
tra mille e mille, ancor che donna e vergine,
di qual sia cavalier non teme intoppo.”
Recitava Virgilio per parlare delle donne guerriere appartenenti alla mitologia greca. Eppure con il suo nuovo film, la Sony vuole puntare i riflettori anche su un altro gruppo di amazzoni, ovvero quelle del Dahomey, l’attuale Benin, nell’Africa occidentale. Siamo nel XVII secolo, un gruppo d’élite di donne viene scelto come guardie reali del re del Dahomey, tanto che ogni famiglia doveva dare almeno una figlia al servizio di questo corpo scelto. L’esploratore britannico Richard Francis Burton le definì come mascoline, in grado di competere con gli uomini per resistenza. Erano in grado di svolgere anche i lavori pesanti, solitamente svolti dagli uomini. Si trattava di un gruppo scelto di guerriere addestrate per entrare a far parte di un corpo chiamato “Mino”, traducibile con “le nostre madri”. Queste amazzoni all’inizio erano cacciatrici di elefanti, che venivano chiamate “gbeto”. L’aggressività e la caparbietà le rendeva quasi insensibili al dolore, tanto che figuravano sempre come le ultime che abbandonavano il campo di battaglia. Sin da bambine, si parla dagli otto anni, venivano addestrate e combattevano a colpi di machete o moschettone, dove la loro abilità era quella di tranciare la testa agli avversari. Secondo alcune fonti non confermate, per dimostrare la loro spietatezza, legavano mani e piedi dei prigionieri e dovevano buttarli giù da una rupe. Solo così sarebbero rientrate nel corpo delle guerriere. Erano letteralmente il terrore dell’Africa, un corpo di circa cinquemila donne indomabili.
L’addestramento che subivano era intenso e fatto di privazioni, tanto che gli esploratori francesi le definirono crudeli e prive di sensibilità. Raccontarono, infatti, di un giovane di sedici anni che aveva staccato la testa a un nemico e aveva leccato il sangue dalla lama, cosa che aveva provocato l’euforia nelle sue compagne.
Non potevano sposarsi, anzi, erano considerate a tutti gli effetti le spose del re, ma intoccabili. Erano al pari di figure sacre. Spesso era un ruolo scelto dalle donne stesse per raggiungere uno status elevato. Il passaggio da donna schiava a donna guerriera permetteva di raggiungere ranghi che altrimenti venivano loro preclusi, tanto da entrare a far parte anche dei Consigli di guerra e di politica estera. Non sempre, però, era una scelta: capitava anche che tra le Mino rientrassero quelle mogli ripudiate dai regnanti o dai mariti in generale, in quanto sterili, o perché manifestavano un’aggressività tale da vederle perfette nel ruolo di Amazzoni. Il loro status sociale le rendeva spesso in una posizione di privilegio rispetto agli uomini e non era inusuale che avessero a disposizione dei soggetti che si prostituivano per loro.
Malgrado la loro sanguinosità, nulla poterono contro l’esercito francese, che le schiacciò sul finire del XIX secolo. Il 6 ottobre del 1892 il gruppo delle Amazzoni venne distrutto dalla superiorità della Francia, che rese il Dahomey un suo protettorato. Perdendo il ruolo di donne guerriere, le Mino tornarono alla loro vita comune, anche se non erano più intoccabili, ma succubi dei mariti. Molte manifestarono, come i reduci di guerra, sintomi da stress post traumatico per l’addestramento subito e per il ritorno alla “normalità”.
L’ultima amazzone che combatté contro i francesi nel 1892 si chiamava Nawi e si è spenta nel novembre del 1979: aveva superato i cento anni.
E voi conoscevate l’incredibile storia delle Amazzoni del Dahomey?
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