Una storia non deve avere qualcosa di straordinario per poter essere raccontata, ma deve poter lasciar qualcosa al suo lettore. Nella sua semplicità serve un insegnamento o una reazione e con queste trecentodieci pagine impariamo a lasciar andare per poter capire chi amiamo. In uscita nelle librerie italiane il 12 luglio, nato dalla penna della scrittrice norvegese Helga Flatland, edito Fazi Editore; Una famiglia moderna ha proprio la capacità di farci riflettere sulle reazioni e azioni umane all’interno del legame primario che tutti noi abbiamo: quello della famiglia.
Helga Flatland ci porta all’interno di una famiglia allargata che ha deciso di vivere una vacanza a Roma in occasione del settantesimo compleanno del padre. Dalla Norvegia tutti insieme arrivano nella capitale romana cercando di trovare il loro posto, ma la statura nordica gli impedisce di passare inosservati e il loro modo di fare è in netto contrasto con il calore italiano. Arrivati però, alla villetta nella periferia laziale, che li ospiterà per il resto del loro soggiorno, qualcosa si rompe: un annuncio spezza i componenti e lo sgomento si fa strada tra i commensali. Quella che doveva essere una vacanza per i tre figli, con le loro rispettive nuove famiglie, presto diviene la fine di un matrimonio durato quasi quarant’anni.
Il lettore ha l’opportunità di vivere questa storia attraverso lo sguardo della maggiore dei tre figli della coppia. Liv, infatti, ci fa inserire in questo quadro familiare cercando di toccare in punta di piedi ogni suo più piccolo componente. Lei è quella più vicina alla madre, o almeno così pensava, convinta di poterla capire, ma in realtà non si era accorta per niente di ciò che stava accadendo. Lei stessa che aveva la necessità di esercitare un eccessivo controllo su tutti i componenti della sua famiglia -vecchia e nuova che sia-.
Il modo in cui i personaggi ci vengono presentati, sotto lo sguardo al vetriolo di Liv, ci permette di poterli conoscere nella loro intima quotidianità. Non abbiamo, infatti, la necessità di arrivare al cuore della vicenda per poter riuscire a comprendere il modo di ragionare dei personaggi, ma ci basta la descrizione che la donna fa di loro e i ricordi che le sovvengono alla mente, perché ci permettono di approfondire degli aspetti della psiche umana che sono preclusi, molto spesso, alla sola conoscenza quotidiana di una persona.
Ad esempio, nelle prime pagine, abbiamo l’opportunità di conoscere la madre di Liv attraverso i suoi ricordi, i suoi rimproveri e la lettura del diario che aveva fatto di nascosto quando era più giovane. Tutti piccoli espedienti narrativi che riportano al lettore degli specifici tratti dei caratteri che si alternano nella prosa, ma che possono essere approfonditi e sviscerati man mano che si consumano le pagine.
Come affrontare, quindi, un divorzio? Come poter superare la fine di un rapporto che per tanto tempo si era preso ad esempio e si era guardato con ammirazione? Certo, un divorzio non è esattamente la fine di un amore, ma solo l’interruzione di un rapporto e l’inizio di qualcosa di nuovo e di diverso, ma è inevitabile che tutti i frammenti umani possano venir fuori sconvolti da un tale avvenimento, tanto che tutti e tre i figli sono costretti a venire a patti con i loro demoni.
Liv, a causa del suo controllo, è quasi costretta a metter in dubbio il rapporto che finora ha avuto col marito Olaf; mette in dubbio persino il suo modo di educare i figli nonostante stia cercando di imparare ad ascoltare le esigenze del maggiore.
Ellen, la secondogenita, è costretta a fronteggiare la dicotomia che le si para davanti: da una parte la propria indipendenza e la propria voglia di avere un figlio, dall’altra la distruzione nefasta della propria famiglia.
Håkon, il più piccolo, invece, comprende quanto poco sia stato in grado di tagliare il cordone ombelicale con i suoi genitori. Il più fragile, in questa vicenda, anche perché quello più intrinsecamente legato al nucleo originale famigliare, tanto da aver recuperato da poco il rapporto con le sorelle maggiori. La sua fragilità, nata nel momento stesso in cui è stato dato alla luce, lo rende il più emotivamente incapace di affrontare la situazione.
La Flatland, in sostanza, riesce a catturare con le sue parole le modalità con cui la scelta dei genitori continui a influenzare la vita dei figli, nonostante abbiano raggiunto l’età adulta; nonostante alcuni di essi siano o vogliano diventare genitori. Uno spaccato quotidiano assai moderno che descrive un legame allargato, quello del nucleo centrale con i compagni dei rispettivi figli, ma allo stesso tempo una precarietà e una fragilità nei sentimenti e nella ricerca di altro che si riversa nelle vicende. I segnali di questo divorzio ci sono tutti, dall’idea inaspettata di raggiungere Roma alle lacrime e l’isolamento che la madre ha cercato una volta arrivati sulla costa. Segnali che i figli non sono disposti a cogliere perché vorrebbe dire metterli in allarme in quell’apparente tranquillità che finora li ha coinvolti. Una famiglia moderna invita il lettore a una riflessione: quella dell’osservare meglio chi abbiamo davanti, chi ci circonda. È necessario osservare per accogliere i cambiamenti, per accettarli e per poter far in modo che essi non arrivino all’improvviso.
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