I
medical drama hanno più o meno tutte
le stesse caratteristiche: il lato emotivo dei pazienti che spinge alla
riflessioni e le relazioni interpersonali tra i medici per dare quella nota romantica
alla narrazione. Succede in Scrubs, in Grey’s Anatomy e non poteva mancare
nella serie “The Good Doctor”.
Disponibile su Netflix, non apporta
nulla di nuovo nel panorama della serialità, però un dettaglio ha catturato il
nostro interesse: il concetto di disabilità. È una serie nata da David Shore ed è basata sulla serie tv sud Coreana “Good Doctor”. In questo articolo parliamo di ciò
che accade, nel complesso, nella prima stagione.
Nella
serie seguiamo il percorso dello specializzando Shawn Murphy (Freddie
Highmore), un giovane ragazzo autistico
che sta lavorando come apprendista chirurgo al San Jose, St. Bonaventure
Hospital. All’interno dell’ospedale, il futuro chirurgo darà prova della sua intuitività e la sua attenzione ai
dettagli il più delle volte gli permetteranno di salvare delle vite. Fin qui
nulla di diverso, ma già dalle prime puntate emerge il punto focale del medical
drama: sarà un buon chirurgo? I colleghi sin da subito manifestano ostilità nei
suoi confronti, per lo più i suoi superiori, non ritenendolo in grado di poter
gestire un lavoro così delicato. Lo bistrattano in tutti i modi, fino a quando
non si rendono conto di essere animati per lo più da pregiudizi: Shawn è bravo
come tutti gli altri. Le sue diagnosi non sono sempre perfette, ma le sue
intuizioni spesso aiutano il resto dello staff nel loro lavoro. Superate le
prime avversioni tra i colleghi, emerge un altro nodo da sciogliere: il
rapporto con i pazienti.
Shawn,
soprattutto all’inizio, non mostra il minimo tatto nel trattare con la psiche
delle persone, risulta privo del filtro bocca-pensiero, che spesso getta nel
panico i pazienti ricoverati. E non è solo questo: in un episodio una famiglia
manifesta apertamente i propri dubbi riguardo al chirurgo: per quanto può
essere bravo, cosa accadrebbe se Shawn avesse una crisi nel bel mezzo di un
intervento? Per la persona sotto i ferri non ci sarebbe nulla da fare. Seppur non
condivisibili, i dubbi sono leciti. Shawn è molto bravo nel suo lavoro, passa
la sua vita in funzione della medicina, ma sa controllare le proprie emozioni?
Ha
un bagaglio emotivo non da poco e questo suo trauma infantile tende a emergere
spesso. Quando era giovane, viveva insieme alla sua famiglia e a un padre
violento che, in un raptus di rabbia, gli uccise davanti agli occhi il coniglietto a cui era tanto
affezionato. Steve
(Dylan Kingwell), suo fratello
minore, lo convince a scappare di casa per sottrarsi a una situazione così
tossica. I due cominciano a vivere di espedienti e ad andare a scuola come se
fosse tutto normale. Shawn è vittima di bullismo da parte dei suoi compagni,
che non esitano a picchiarlo e a insultarlo. Steve si dimostra essere il suo
angelo custode. Un giorno, però, mentre stanno giocando presso un deposito di
treni, il giovane scivola e cade, morendo tragicamente. Per Shawn il colpo è
durissimo: non solo ha perso suo fratello, ma anche la sola persona che gli
dimostrava un briciolo d’amore. Solo, spaesato, non ha comunque voglia di
tornare dalla sua famiglia e viene accudito dal Dottor Glassman (Richard Schiff)
sin dalla tenera età di quattordici anni. Sarà poi lo stesso che spingerà il
giovane a mettere la sua mente analitica al servizio della medicina, (oltre il
trauma di non aver potuto far niente per salvare suo fratello) e lo stesso che
farà di tutto perché venga trattato come un normale chirurgo.
Il
problema principale della serie risulta la caratterizzazione stessa dei
personaggi, perché nessuno sembra “reale”: sono tutti bravissimi e alcuni
rapporti interpersonali vengono spesso calcati troppo da sembrare irreali. I colleghi
risultano per lo più piatti, senza un vero mutamento costante nel tempo. Anche
quando un personaggio viene molestato, non si tratta l’argomento con le dovute
accortezze. L’unico motivo per iniziare “The
Good Doctor” (che quando uscì l’episodio pilota sulla Rai fece il boom di ascolti) riguarda proprio il suo protagonista.
Freddie Highmore si è calato perfettamente nella
parte del personaggio autistico, tanto che i suoi tic, il suo modo di
rapportarsi al mondo appaiono quanto più reali possibile. Molti si sono
domandati, infatti, se l’Highmore fosse davvero affetto dallo spettro
autistico, ma la risposta è: no. È semplicemente molto bravo nel suo ruolo. Ma lo
avevamo già conosciuto in passato, infatti è stato Charlie Bucket ne “La
Fabbrica di cioccolato” accanto a Johnny Depp e anche Norman Bates in “Bates Motel”.
E
voi cosa ne pensate di “The Good Doctor”?
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