Nel dipinto possiamo assistere alla scena di un delitto: c’è un corpo di donna disteso a sinistra, in una stanza, mentre il suo probabile assassino è girato verso un grammofono. Alle sue spalle, tre uomini spiano la scena dalla finestra, mentre altri due – con fare minaccioso – sono in primo piano e sembrano pronti a catturarlo, infatti hanno tra le mani una clava e una rete. Magritte era un grande fan della saga “Fantomas”, protagonista dei romanzi francesi di Marcel Allain e Pierre Souvestre. Si tratta di un criminale spietato, un megalomane trasformista che ha sempre affascinato il pittore, tanto da averlo ispirato per altri due quadri oltre a “L’assassino minacciato”: “Il barbaro” del 1928 e “Il ritorno di fiamma” del 1943.
L’omicida
non ha alcun segno di pentimento, si limita a guardare il grammofono da cui
esce della musica. Ha l’aria quasi annoiata, sembra apatico, come se non si
curasse affatto del crimine appena commesso. Guarda il grammofono, come se
quella donna nuda non avesse soddisfatto le sue aspettative, né da viva e né da
morta. Sembra, infatti, cercare un riscatto ascoltando la musica, incurante di
ciò che accade intorno a lui. Eppure qualcosa sta per succedere. Tutta la scena
è caratterizzata da un sentimento di suspense, in cui l’attimo sembra
pietrificarsi sul momento. Gli attori presenti sulla scena sembrano aspettare
il momento giusto: Fantomas verrà acciuffato o riuscirà a scappare? La
dicotomia di questo quadro sta nel fatto che si contrappongono la dinamicità
della movimento che si sta per compiere, quindi tutta la baruffa di una
possibile cattura, e la staticità della stanza stessa. La donna è morta, ormai
esanime, quindi al pari di un oggetto che non ha possibilità di muoversi. Staticità
e dinamicità si fondono in un mix perfetto, in un contrasto che crea una sorta
di ansia nello spettatore.
Quello
che si presenta davanti agli occhi dello spettatore è come la scena di un film,
una fotografia che è stata scattata sull’istante prima che qualcosa si compia. Nei
volti dei personaggi non c’è alcuna espressione, tanto da apparire manichini: né
l’assassino e né chi deve catturarlo sembrano avere una qualche emozione su ciò
che si sta per compiere o che si è appena compiuto. Non c’è rabbia, non c’’è
trepidazione, ma semplice accettazione di ciò che è stato e di ciò che sarà.
Come
possiamo notare dalla pittura di Magritte, l’autore è sempre stato fortemente
legato alla morte. Non era strano, in gioventù, vederlo aggirarsi per i
cimiteri. Nel quadro “Gli amanti”, infatti, avevamo visto come il panno che
separava i due volti potevano essere due sudari, esattamente come quello che
copre il collo della vittima di Fantomas. I dettagli che possiamo notare al
centro della scena sono: un giaccone nero, un cappello e una valigia, elementi
autobiografici dell’autore. Abbiamo visto gli stessi riferimenti in “Golconda”,
mentre la giacca scura è presente in “Il figlio dell’uomo” e “L’arte di vivere”.
E a voi? Piace quest’opera di Magritte?
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