“Siete mai stati in trappola? Persi nel vostro stesso corpo, persi nella vostra stessa mente? Persi nel tempo, desiderando disperatamente di scappare? Uscire da lì.”
Su Netflix, tra i film consigliati ci è capitato un titolo che ha catturato immediatamente la nostra attenzione: “Brain on Fire”, uscito nel 2016 e diretto da Gerard Barrett. Nel cast troviamo volti noti come Chloe Grace Moretz (Hit-Girl di “Kick Ass”), Richard Armitage (Thorin Scudodiquercia nella saga de “Lo Hobbit”) e Carrie-Anne Moss (Trinity di Matrix Resurrections). Ma di cosa parla “Brain on Fire” (letteralmente “Cervello in fiamme”)?
È
la vera storia di Susannah Cahalan, la ventunenne giornalista americana che
visse un mese da incubo. Aveva una vita come ogni ragazza della sua età, con
tanto di lavoro in una testata giornalistica importante, fino a che il giorno
del suo compleanno non comincia ad avvertire dei disturbi strani: il mondo
intorno a lei diventa ovattato, i suoni lontani e sconnessi. Con il passare del
tempo, la sintomatologia precipita vertiginosamente: comincia ad avvertire
degli strani sintomi di natura psicotica, con tanto di allucinazioni, manie
persecutorie, vertigini, cedimento e intorpidimento degli arti, voci nella
testa, fino a giungere agli scatti d’ira. I medici non hanno una diagnosi, dato
che la tac non evidenzia alcun ictus o trombosi. Il suo comportamento sembra
riconducibile a una crisi d’astinenza, ma Susannah non tocca alcol da diverso
tempo. A cosa è dovuto, quindi, questo suo comportamento improvvisamente
incontrollabile? Tutto sembra portare a una diagnosi abbastanza chiara: è
folle. La prospettiva nei suoi riguardi sembra una sola ed è il manicomio. Susannah
diventa ingestibile, a tratti appare come schizofrenica. Tante diagnosi,
nessun risultato. Ma la dottoressa Khan non è del tutto convinta, quindi chiede
un consulto al Dottor Najjar. Sarà proprio lui a scoprire di cosa soffra la
protagonista con una cosa semplicissima: il disegno di un orologio.
Noi
vi consigliamo veramente di vedere questo film, non solo perché si tratta di
una storia realmente accaduta, ma perché a volte la verità va cercata nel
profondo e che non sempre la risposta più semplice sia la più veritiera. Senza l’intervento
del dottor Najjar, Susannah sarebbe finita in coma, ma è riuscita a salvarla
per tempo. Una storia a lieto fine, ma che lascia un retrogusto amaro: le cose
sarebbero andate in una direzione drammatica se non si fosse scavato più a
fondo. E voi lo vedrete?
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