Nei momenti di maggiore conforto socio-culturale, gli individui non possono fare altro che affidarsi alle forze di governo e alle decisioni che i rappresentati eletti possono o meno prendere. Il più delle volte, però, la nostra memoria storica ci porta a dimenticare fatti o persone, glorificando i miti del passato senza che realmente si possa conoscere la loro storia. Un gap che costituisce la principale ragione che smuove le diverse ideologie. Una lotta che, ancora oggi, sembra dilaniare il nostro territorio è quella interna alla forza politica. Comunismo e Fascismo, ad esempio, sono quasi diventati ideologicamente due estremi di un continuum in grado di spezzare a metà l’opinione pubblica. Un simbolo di quanto sia l’ideologia a governare ciò che ci si pensa e non si ricordi effettivamente i fatti.
Esterno notte, la monumentale opera di Marco Bellocchio, si inserisce all’interno di uno scenario ben preciso, riportando in auge una memoria fin troppo idolatrata e fin troppo allontanata dalla fallacia umanità. Nonostante, essa sia stata pensata come un prodotto seriale, a Cannes è stata presentata come un’opera unica. In queste settimane, infatti, come evento speciale, la serie è stata divisa in due macro-blocchi per essere portata in sala come evento speciale. Ciò che colpisce di questi trecento minuti di narrazione è che, nonostante sia stata pensata come prodotto seriale, essa regge benissimo la sala (specialmente dal punto di vista visivo). Ovvio è che vedere sei ore, consecutive, una serie tv non è affatto facile; per tanto, troviamo vincente la scelta di dividerla a metà per l’approccio in sala.
Bellocchio non è di certo nuovo nelle rappresentazioni storiche e sa come farlo in maniera magistrale. Giocare con i fatti tanto da abbandonare le caratteristiche e le logiche ricostruttive del mockumentary. Gioca con la tematica, la fa propria e attraverso la narrazione racconta i fatti unendoli a una sorta di what if, connotando la sua narrazione di una struggente umanità. Marco Bellocchio, così, può psicanalizzare personaggi storici, mettendoli a nudo, piegandoli alla sua macchina da presa, forzando prospettive e ideali, cercando di giostrarsi tra immaginario e immaginifico.
Il regista ci porta nei giorni del rapimento di Aldo Moro, con conseguente dipartita dell’uomo che governava la DC. Ci viene, dunque, mostrata la mancata umanità dei suoi protagonisti che davanti la sparizione di un loro amico e collega, non riescono a muover dito. La classe dirigente se ne resta attonita davanti alle scelte da dover prendere, lasciando che sia così la folla a decretare il verdetto su tali eventi.
Mura, piazze, case, nomi. La politica, quella caratterizzate tra lotte morali e ideologiche, quella degli anni nei quali la chiesa riusciva ancora palesemente a mostrare la sua ferrea stretta sul controllo di questo stato. Ruoli che si sono ritagliati il loro posto nella storia e che allo stesso tempo riescono a parlare del presente. Bellocchio, infatti, mostra la ciclicità storica: un continuo riciclo di idee che ha la capacità di tornare e poi ancora tornare.
Ogni singolo personaggio si incastra all’interno di un determinato contesto facendo emergere, tramite anche voli pindarici, i sensi di colpa, il dolore, il sangue, il tormento e le ideologie che si sono alternate nelle prese di potere all’interno dello stato italiano. Ed è straordinario come date “umanità” possano risultare quasi attuali anche a confronto con la nostra quotidianità. Controversie che, infatti, vengono ancora dibattute non solo a livello politico, quanto più nella stratificazione socio-culturale.
Il cast scelto per far rivivere questa storia è praticamente impeccabile. Partendo dal nostro “protagonista”, Aldo Moro, possiamo vedere in scena uno straordinario Fabrizio Gifuni che sembra assomigliare più a Moro che a se stesso. Il trucco, del resto, ha fatto dei miracoli non da poco se consideriamo anche la trasformazione di Fausto Russo Alesi (nei panni di Francesco Cossiga) o di Fabrizio Contri (nei panni di Giulio Andreotti).
Nonostante la durata di quasi sei ore complessive, questa è un’opera che necessita la visione all’interno di una sala cinematografica. Come abbiamo già sottolineato, l’evento speciale che lo sta portando in sala in questi giorni sembra proprio esser incluso negli intenti narrativi di Bellocchio. La serialità non gli si addice, gli sta stretta, e sembra quasi una scusa per poter riuscire ad avere le sue tempistiche sulle diegesi.
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