venerdì 14 aprile 2023

#Mitologia: Perché esistiamo?

Affrontando i temi dell’ierogamia e dell’amore universale, non possiamo ignorare le grandi domande: cosa nasce dall’unione tra l’energia maschile e quella femminile? Cosa accade quando la nostra parte terrestre incontra e si congiunge perfettamente con quella divina? Perché inevitabilmente portano a quella fondamentale: perché esistiamo?

Eccoci quindi non solo a vedere come hanno risposto a queste domande le antiche società, ma anche a raccontare qualcosa che ancora adesso, dopo millenni e millenni di vita umana su questo pianeta, affascina un po’ tutti, credenti e non: il ruolo dell’essere umano su questo pianeta.

È capitato a tutti noi, almeno una volta nella vita, di contemplare il senso di tutto quanto, sentendoci piccoli, quasi una nullità nei confronti dell’Universo. Eppure, senza la nostra esistenza, tutto ciò che vediamo non sarebbe uguale a come è adesso. Basta mettere fine a una sola vita – animale o vegetale che sia – che questo cambierebbe in minima parte l’osservazione del tutto.

Allora, siamo davvero abitanti insignificanti di un minuscolo pianeta in una remota galassia, o contiamo qualcosa? 

Origine dell’uomo

Vivendo in un contesto cattolico, conosciamo un po’ tutti la storia della Creazione. Ma non siamo di certo l’unica parte del mondo che si è interrogata sul perché dell’umanità, e sul motivo per il quale sembriamo incarnare l’idea di un essere vivente superiore ad animali e piante.
Se per la nostra cultura l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio, e questo Dio è per noi come un genitore pronto a darci tutto l’amore che ha da offrire, per l’India gli umani derivano dal sacrificio dell’essere supremo Puruşa.
In origine Puruşa era una creatura androgina, che racchiudeva dentro di sé tutti gli opposti che si sono poi materializzati nel mondo. La descrizione di Puruşa, infatti, la vediamo nel Ŗgveda:

“L’uomo ha mille teste
ha mille occhi, mille piedi.
Coprendo la terra da parte a parte
la oltrepassa ancora di dieci dita. Puruşa non è altro che quest’universo
ciò che è passato, ciò che è a venire.
Egli è signore del dominio immortale
perché cresce al di là del nutrimento.”

Si comprende facilmente che Puruşa è l’intero Universo, che di conseguenza ricopre lo spazio-tempo e che avvolge qualsiasi cosa. Quando in un gruppo di Advaita Vedanta abbiamo chiesto il significato basico di tutto ciò ci è stato risposto: “È come se un pesce rosso ti chiedesse: ‘tutti parlano dell’acqua, ma io non la vedo. Dov’è l’acqua? Che cos’è l’acqua?’” Ebbene, farebbe effettivamente ridere, perché al pesce rosso potremmo solamente rispondere che l’acqua la trova ovunque voglia guardare.

Il discorso vale per l’India antica, ma anche per noi occidentali, in quanto sappiamo che Dio è in ogni cosa, ovunque.

Comunque, nel sacrificio di Puruşa, nella sua divisione, si è creato l’intero mondo materiale, con tutte le distinzioni illusorie. Vediamo differenze tra noi e gli altri, vediamo distanze fisiche e mentali, quando nella realtà nulla è davvero separato da noi.

Divisione nella società

Che non siamo del tutto illuminati lo si nota da quanto vogliamo assecondare le divisioni sociali nel quotidiano.
Da che mondo è mondo, come insegna la sociologia, l’essere umano ha bisogno di creare un sistema di caste, perché da esso dipende il comportamento del singolo.

Nelle società antiche troviamo quindi: schiavi, guerrieri, artigiani, letterati, sacerdoti, regnanti. Nel passato questo serviva per mantenere una sorta di equilibrio, e una speranza di pace, di controllo per un popolo che non avrebbe potuto ribellarsi a ciò, colpevolizzandosi per un karma precedente.

Infatti, riprendendo la descrizione di Puruşa:

“La bocca di Puruşa divenne il brahmino,
il guerriero fu il prodotto delle sue braccia,
le sue coscie furono l’artigiano,
dai suoi piedi nacque il servo.”

È così spiegato che non è mai un caso il luogo e il ceto sociale a cui apparteniamo fin dalla nascita, ma bensì un prodotto di causa-effetto per le azioni delle nostre vite precedenti.

Maestri

Se in Puruşa è racchiuso tutto quanto, e se quindi in noi stessi è racchiuso tutto quanto, non è un po’ un ossimoro credere che lo stato di nascita non possa mai cambiare? A conti fatti, anche un servo può essere un re, e viceversa, un re può divenire un servo.

Ebbene, questi insegnamenti sono stati comunque dati da due grandi Maestri, che si accostano ancora troppo poco: Gesù e Buddha.     
Il primo, lo sappiamo bene, era figlio di un falegname e di una Vergine. Era nazareno, fatto che per l’epoca proprio non poteva definirsi un vanto. La frase di San Bartolomeo, infatti, quando gli fu riferito della venuta del Messia, è abbastanza lapidaria: “Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?”.
Eppure nella cultura cristiana Gesù si innalza poi a Re dei cieli, senza condurre una guerra, ma con il suo sacrificio di morire sulla croce per i peccati dell’intera umanità. Fa un po’ sorridere come nei Vangeli sia scritto chiaro e tondo che tutti noi siamo liberi dal peccato, dal dolore, dall’angoscia, proprio per questo atto… eppure molti cristiani continuano a sentirsi in colpa quando peccano o sfociano nel giudizio quando vedono qualcuno sbagliare.

Comunque, dall’altra parte abbiamo il Buddha. Nasce come Gautama Siddharta, figlio di un re che decise di cambiare vita quando ebbe davanti agli occhi la miseria e il dolore del popolo. Abbandonò tutto, rinunciando a ricchezze e titoli per intraprendere una via del tutto spirituale. Il nome Buddha (il Risvegliato) gli fu dato da dei bambini, quando lui cominciò a predicare la via di liberazione dal dolore e, di conseguenza, da ogni attaccamento.

Significato dell’Essere Umano

“Say the word and you'll be free
Say the word and be like me
Say the word I'm thinking of
Have you heard the word is love?

(Di la parola e sarai salvato
Di
la parola e sii come me
Di
la parola che sto pensando
Hai sentito che la parola è l’amore?)”

Si parla troppo poco di quanto i Beatles fossero sul serio spirituali e di quanti insegnamenti hanno lasciato con le loro canzoni. In “The Word” e “All you need is love”, come abbiamo spiegato negli articoli, hanno ricordato al mondo di come non importa degli errori, degli sbagli o dei peccati commessi, quando c’è un’unica cosa che conta davvero: l’amore.

Dante conclude la sua Commedia con il verso: “L’amor che move il sole e l’altre stelle”, e nella cultura cattolica, ogni credente sa che riceverà una sola domanda una volta al cospetto di Dio, e cioè: quanto amore è riuscito a dare?

Tutto ciò che davvero conta è l’amore, ma in quale senso? Amare significa non creare divisioni, significa vedere se stessi nello sguardo dell’altro, significa non agire con rabbia, frustrazione, gelosia, controllo, dominio e qualsiasi altro senso di attaccamento quando stiamo assieme agli altri; significa, quindi, affidarsi completamente al senso di ierogamia di cui abbiamo parlato qualche tempo fa.

“La vita è una ciliegia
la morte il nocciolo
l’amore il ciliegio”

-Jacques Prevért

L’amore è l’origine da cui dipende il tutto, è l’unica forza che crea tutto ciò che vediamo e che trascende il tempo, come anche spiegato nel film del 2014 Interstellar:

“L’amore è l’unica cosa che riusciamo a percepire che trascenda dalle dimensioni di tempo e spazio. Forse di questo dovremmo fidarci, anche se non riusciamo a capirlo ancora.”

Arrivati a questo punto, dunque, crediamo che lo scopo dell’essere umano sia condividere l’amore nel mondo rendendo tangibile e alla portata di chiunque l’energia che ci ha creati.

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