Davide parlava, alzava il tono fino a urlare. Poteva sembrare anche un dialogo normale, ma Davide stava parlando con il suo specchio. O meglio, se dobbiamo essere precisi, Davide parlava con la figura riflessa.
Era semplice e allo stesso tempo complicato. D’altronde elaborare frasi non è difficile, ma farsi comprendere delle volte può risultare complesso. E credetemi, Davide parlava come se avesse davanti un’altra persona, come se dovesse convincersi e convincere che in quello spazio distorto non si trovasse lui.
Che avesse forse ragione? D’altronde cos’è uno specchio e cos’è lo spazio? Ha forse la scienza smentito l’esistenza di universi paralleli nei riflessi? E quanto può risultare inquietante sentire un rumore che sembra venire dall’oltretomba mente si parla con se stessi?
Dal nulla, si era presentato un sibilo, leggero e insistente che per le orecchie di Davide era divenuto un vero e proprio frastuono.
E forse per questo Davide aveva iniziato a urlare, anzi forse aveva instaurato il dialogo stesso per non sentire quel sibilo.
Ma più Davide parlava e più lo spazio intorno a lui si sgretolava, letteralmente. Ai bordi della stanza il pavimento aveva iniziato a frantumarsi perdendosi in un vuoto incolore, mentre le pareti trasudavano un nero pece che le inghiottiva lentamente.
Ma lui neanche ci faceva caso, le parole aumentavano di volume e intensità come se cercassero di prendere forma su un foglio perennemente bianco.
Quella pagina era perennemente bianca, anzi riflessa. Prendeva la forma ma non la sostanza, rifletteva solo la luce ma non pensieri e parole.
La camera, però, continuava a cadere nel vuoto. Quel nero pece avanzava, sembrava ungere e corrodere ogni cosa.
Ma Davide parlava, quasi s’era convinto che non fosse un monologo. Appena giunto a un livello adeguato di suggestione e dissociazione, Davide aveva iniziato a guardare il riflesso come se fosse quello di qualcun altro. Effettivamente, era il riflesso di qualcun altro. La pelle secca e pallida, le pupille vacue e colme di quel nero che stava per inghiottire tutto.
Davide: “Io non sono così”.
Riflesso: “Sì che lo sei”.
Davide: “Stai mentendo”.
Riflesso: “Osserva l’oscurità che dimora dentro il tuo sguardo, accetta la tua decadenza”.
Davide: “Smettila!”
Riflesso: “Se preferisci può svanire tutto in un istante, dipende da te”.
Davide: “Dillo di nuovo, ripetimelo, dimmelo ancora una volta!”
Il riflesso di Davide però si era mutato, aveva iniziato lentamente ad abbassare lo sguardo, chiudendo gli occhi con asfissiante lentezza.
Il nero che circondava Davide lo aveva raggiunto e lo aveva ghermito con artigli d’ombra, inconsistenti eppure dolorosi.
Davide aveva chiuso gli occhi, ritrovandosi a respirare profondamente come dopo una lunga apnea. Quella presa era svanita, come lo specchio stesso. La stanza si era ricomposta ma Davide non aveva compreso ancora il consiglio del riflesso.
Ma da un altro spazio, oggi il suo riflesso vive ancora, in una vita farlocca divenuta reale.
La stanza del riflesso è uguale a quella di Davide, con una differenza. Una piccola palla di vetro, si trova sul comodino, un soprammobile particolare. Il riflesso la se fosse un bottino. All’interno è presente Davide, disteso sul suo letto, da tempo prigioniero di se stesso.
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