Ho aperto di nuovo quella finestra, è la stessa di tempo fa e penso che rimarrà così per lungo tempo. Consunta e impolverata, la finestra sfoggia inelegantemente quei vetri opachi sui quali son rimasti i residui dell’acqua.
La vista mi infastidisce non poco, come il litigio di due estranei in casa mia. Per questo l’ho spalancata, non solo per una questione di aria. Sì, lascio che il solito vento fluisca all’interno della mia magione (o tugurio barocco, che dir si voglia).
“Sì, sono qui per essere”, ripeto e ripeto. C’è però una forte dissonanza in questo disordine, in quel fastidio pigro e iracondo che nasce dal cuore e che nega e conferma.
Delle volte è come se avessi finito le parole per spiegarlo, per spiegarmi.
È come una voragine che si amplia e che sgretola tutto ciò che si ritrova intorno. Non hanno molto senso queste frasi, non cercatelo, perché in fin dei conti è una cosa che devo vedere io. Una “cosa”, un urlo che non volevo emettere.
Vedo una gabbia di nuvole nel cielo, forse la finestra chiusa non era così male. Ecco, non mi va bene mai niente, magari sono io il problema. Come se ci dovesse essere davvero un problema, come se questa non sia una visione lucida, ma tant’è…
No, non ci penso nemmeno. Tutt’ora non ci sto pensando, sono i pensieri che vengono a me per plasmarsi e per plasmarsi. Alla fine non ha neanche senso che sia così triste, anche se forse non ha senso essere felici… non adesso.
In questa disordinata disposizione di fiori, delle spine mi pungono il cuore portando fastidio e dolore. Mi sembra di soffocare, di cercare un’aria introvabile. Perché alla fine non siamo altro che fiori che cercano il sole sotto un mondo perennemente buio. È la triste condizione umana che si riversa in ognuno, c’è chi la sente più e chi meno.
Ma alla fine il problema c’è, perché fare finta di nulla? Parole su parole per mascherare il lutto.
Solo qualche ora fa mi sono recato al cimitero, e non riesco a vedere la tua lapide senza sentirmi maledettamente male.
Nella foto era immortalato il tuo sorriso, quello che mi sfoggiavi sempre. Penso proprio che quel sorriso sarà l’ultima cosa che ricorderò. Ancora ci ripenso. Solo la settimana scorsa eri davanti a me, vestita di seta e di quel tuo sorriso.
La luna era piena e nel cielo notturno potevamo distinguere le nuvole che curiosamente si disponevano a formare una strana rete.
Mi avevi detto: “Chissà quale meraviglia del firmamento si nasconde dietro quella prigione di nuvole”.
Non ho voluto risponderti, ho preferito baciarti. Non avrei mai immaginato che quella fosse l’ultima volta. Ora so che le mie labbra non conosceranno mai più una dolcezza così intensa.
Una prigione di nuvole
incatena il mio velo
nel giogo del vento mutevole
che strappa via il cielo.
- Gianluca Boncaldo, Prigione di nuvole
Ora vedo la gabbia della volta celeste trattenermi, e oltre quella prigione di nuvole vedo solo una stanza vuota senza te. Perché senza te, l’intero firmamento è una stanza vuota.
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