Può sembrare una prigione ed effettivamente lo è. Ma lo stato di prigionia non sta nella forma ma nella sostanza.
È difficile da spiegare ma è semplice da capire, una volta che vi sarà chiaro sarà sempre sotto i vostri occhi.
E le vedrete… eccome se le vedrete le sbarre.
Non si tratta di una stanza grigia da cui è preclusa ogni fuga. O meglio, magari si tratta pure di quello, ma rimane comunque un semplice esempio di una teoria più grande e generale.
La mia prigione, nonché la mia prigionia, è un’ombra. Può trattarsi (e allo stesso tempo non trattarsi) di un’ombra che manifesta il mio corpo per via della luminosità (naturale o artificiale) che lo investe.
Ora mi sovviene un ricordo, quel videogioco per Nintendo Wii che si chiamava “The Last Story”. Una frase all’interno della narrazione mi colpì: “Più è grande la luce, più sarà grande l’ombra che proietterà”.
Non è forse così per la vita di tutti i giorni? Ma forse vi confondo… Forse mi confondo.
Sappiate che questa “cosa” gravita su di me, una sorta di nuvola grigia che mi segue e che mi insegue, una sorta di custode oscuro.
Detto così sembra inquietantissimo, e forse lo è, ma è meno grave di quello che si può pensare. In un certo senso siamo noi, o meglio quello che immaginiamo essere noi. È una consistenza che esiste per noi e nessun altro, una sostanza che si è modellata sulla nostra forma.
L’altro giorno, tuttavia, ho provato a scendere a patti. Non credo che essa sia, né che debba essere. Ma sta di fatto che è ed è presente.
E allora ho chiesto domande che mi facevano ribrezzo al solo pensiero, parole che a formularle davano il voltastomaco. La risposta dell’ombra, ovvero la risposta del me medesimo che non è ma che in questo momento c’è, fu una risposta lapidaria.
Ed ero così orripilato dalla domanda che la risposta non fece neanche troppa paura. Probabilmente è tutto una menzogna: la risposta in primo luogo, la domanda in secondo luogo e questo intero scritto in terzo luogo.
Fatto sta che esemplificato non si renderebbe il gioco, qualsivoglia esempio, qualsivoglia domanda si possa formulare o risposta fornire.
Ma arriviamo alla parte saliente del tutto, quella che per me ancora non è, ma che so che sarà (o quantomeno, so che potrebbe essere).
All'ombra diffusa che m’avvolge
Chiedo d’illuminar la notte di colore
Per librar oltre il punto in cui lo sguardo si volge
Affinché io possa ricongiunger all’antico calore.
- Gianluca Boncaldo, Ombra diffusa
È lì (forse) che è avvenuto, avviene e avverrà il miracolo.
Anzi, il miracolo non è mai avvenuto perché è da sempre e per sempre presente. Posta la domanda giusta e fornita la risposta corretta, l’ombra si dischiude da sé. E badate bene, io sto solo descrivendo l’esperienza visiva che si prova. Perché di fatto si transita dalla menzogna alla verità, dal parziale al totale.
In quel momento si è visto, si vede e si vedrà che l’ombra è in realtà luce. La paura e il disgusto sporcano di pece, cambiando nomi alle cose e fraintendendo la realtà. Ma ora so, ora so che (forse) saprò.
Ciò che mi rimane da dire è ben poco rispetto all’immane fatica alla quale vi esorto: trasformate in luce le vostre ombre, o meglio, scoprite la luce dalle vostre ombre. E questo è tutto, così come niente.
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