Per uno scrittore – o per un artista in generale – è davvero difficile rimanere impresso nella storia. A volte il riconoscimento dei propri meriti tende ad arrivare anche anni dopo la morte, come nel caso di Patrick Hamilton (1904-1962) da molti definito l’erede di Dickens.
Di lui, però, parleremo meglio nei prossimi giorni perché oggi vogliamo soffermarci su “Schiavi della solitudine”, che noi abbiamo potuto leggere grazie alla Fazi Editore.
Di lui, però, parleremo meglio nei prossimi giorni perché oggi vogliamo soffermarci su “Schiavi della solitudine”, che noi abbiamo potuto leggere grazie alla Fazi Editore.
È
l’inverno del 1943 e l’Europa è nel fulcro della Seconda Guerra Mondiale. Un periodo che purtroppo/per fortuna conosciamo molto bene:
l’abbiamo studiato a scuola, non ci neghiamo la visione di documentari e
i più fortunati di noi hanno potuto o possono tutt’ora ascoltare le
storie di chi lo ha vissuto in prima persona.
Sono rari, però, i romanzi che parlano nel dettaglio di ciò che è stato, di come la gente comune ha vissuto e di com’erano gli umori, i pensieri, le preoccupazioni di chi viveva fuori dalla follia nazista.
Sono rari, però, i romanzi che parlano nel dettaglio di ciò che è stato, di come la gente comune ha vissuto e di com’erano gli umori, i pensieri, le preoccupazioni di chi viveva fuori dalla follia nazista.
Patrick Hamilton ci traporta così
nella provincia inglese, più precisamente alla pensione Rosamund Tea
Rooms, dove alloggiano ospiti fuggiti da Londra, città dalle grandi
potenzialità anche durante la guerra, ma sicuramente molto pericolosa
perché obiettivo principali dei bombardamenti tedeschi.
Gli ospiti fissi hanno tutti un loro lato del carattere molto spiccato, sono tutti ben descritti e hanno il loro spazio, ma sicuramente la protagonista indiscussa è Miss Roach, nubile quasi attempata che lavora come impiegata presso una casa editrice londinese.
La vita nella pensioncina scorre monotona, con il solo vecchietto Mr Thwaites a movimentarla con i suoi sproloqui quasi a favore del regime hitleriano, i quali tentano di rimanere ignorati dagli ospiti.
La vita di Miss Roach ha un leggero brio quando all’orizzonte comincia ad apparire il tenente americano Pike che, nonostante il suo essere eternamente ubriaco, non manca di flirtare con la donna che però non cede di un millimetro.
Il tutto viene messo in discussione con la presenza sempre più insistente di Vicki Kugelmann: amica coetanea di Miss Roach, di origine tedesca e che sotto un’apparenza di cordialità e ottimismo cela un lato del carattere oscuro e del tutto lontano da quello dell’inglese.
Pagina dopo pagina si nota come tutti loro, seppur uniti da legami più o meno amicali, debbano fare i conti con la solitudine che di quei tempi vuol dire anche non avere l’assoluta certezza del domani. Tra l’altro, non l’abbiamo neanche adesso, figuriamoci in pieno conflitto mondiale!
Gli ospiti fissi hanno tutti un loro lato del carattere molto spiccato, sono tutti ben descritti e hanno il loro spazio, ma sicuramente la protagonista indiscussa è Miss Roach, nubile quasi attempata che lavora come impiegata presso una casa editrice londinese.
La vita nella pensioncina scorre monotona, con il solo vecchietto Mr Thwaites a movimentarla con i suoi sproloqui quasi a favore del regime hitleriano, i quali tentano di rimanere ignorati dagli ospiti.
La vita di Miss Roach ha un leggero brio quando all’orizzonte comincia ad apparire il tenente americano Pike che, nonostante il suo essere eternamente ubriaco, non manca di flirtare con la donna che però non cede di un millimetro.
Il tutto viene messo in discussione con la presenza sempre più insistente di Vicki Kugelmann: amica coetanea di Miss Roach, di origine tedesca e che sotto un’apparenza di cordialità e ottimismo cela un lato del carattere oscuro e del tutto lontano da quello dell’inglese.
Pagina dopo pagina si nota come tutti loro, seppur uniti da legami più o meno amicali, debbano fare i conti con la solitudine che di quei tempi vuol dire anche non avere l’assoluta certezza del domani. Tra l’altro, non l’abbiamo neanche adesso, figuriamoci in pieno conflitto mondiale!
Come accennato prima, Hamilton viene spesso paragonato a
Dickens sia per riuscire a dare vita a personaggi iconici e così reali
che riescono facilmente a entrare nel quotidiano di chi sta leggendo.
Persino per noi, infatti, è stato facile traslare una Miss Roach, un Mr
Thwaites o una Vicki con persone che conosciamo o abbiamo avuto modo di
incontrare nella nostra vita.
Hamilton
descrive un’Inghilterra di ceto medio, che aspira alla bellezza e al
lusso nonostante debba fare i conti con il razionamento. Gli ospiti si
scrutano, studiando quanto zucchero viene versato o sprecato durante
l’ora del tè; anche se nessuno di loro è nobile o di alto livello, non
mancano i cambi d’abito a seconda dell’orario e il classico snobismo
inglese la fa da padrone, tanto da considerare americani e tedeschi come
mondi a parte.
I dialoghi sono esilaranti, degni dell’humour più british che possiamo concepire, tanto da avere voglia di acquistare, oltre alla copia cartacea in italiano, anche l’originale inglese.
I dialoghi sono esilaranti, degni dell’humour più british che possiamo concepire, tanto da avere voglia di acquistare, oltre alla copia cartacea in italiano, anche l’originale inglese.
Certo, non
stiamo in epoca vittoriana e le strade di Londra non sono quelle
dickensiane, ma i parallelismi ci sono eccome, anche considerando la
mentalità inglese ai tempi.
Va considerato, infatti, che il ruolo dell’aristocrazia è messo in seria discussione dalla Prima Guerra Mondiale, al tramonto dell’Imperialismo Inglese. Sappiamo tutti la storia di re Giorgio V e di come fu costretto a negare asilo politico al cugino e Zar di Russia Nicola II proprio per non alimentare una rivolta popolare.
Grazie alle parole di Hamilton vediamo un popolo che tratta quasi la guerra con sufficienza, lontano dalle vere lotte e diviso tra una strizzata d’occhio al Comunismo russo con la sua propaganda dell’egualità e la mano sempre attaccata alla veste della Corona inglese.
Se si è particolarmente legati alla cultura e alla letteratura inglese, non potete di certo ignorare la lettura di “Schiavi della solitudine”.
Va considerato, infatti, che il ruolo dell’aristocrazia è messo in seria discussione dalla Prima Guerra Mondiale, al tramonto dell’Imperialismo Inglese. Sappiamo tutti la storia di re Giorgio V e di come fu costretto a negare asilo politico al cugino e Zar di Russia Nicola II proprio per non alimentare una rivolta popolare.
Grazie alle parole di Hamilton vediamo un popolo che tratta quasi la guerra con sufficienza, lontano dalle vere lotte e diviso tra una strizzata d’occhio al Comunismo russo con la sua propaganda dell’egualità e la mano sempre attaccata alla veste della Corona inglese.
Se si è particolarmente legati alla cultura e alla letteratura inglese, non potete di certo ignorare la lettura di “Schiavi della solitudine”.
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