Stamattina vi abbiamo parlato della Cappella Orsini e nel farlo abbiamo citato il personaggio di Tata Giovanni. Saremo sinceri: prima di intraprendere le nostre ricerche sulla storia della Cappella, non conoscevamo la sua storia, forse rimasta ancora sconosciuta ai più.
Ecco perché ve ne vogliamo parlare oggi, sperando sia d’esempio, almeno per ricordare costantemente quanto siamo tutti collegati e quanto un piccolo gesto sia fondamentale per gli altri.
Ecco perché ve ne vogliamo parlare oggi, sperando sia d’esempio, almeno per ricordare costantemente quanto siamo tutti collegati e quanto un piccolo gesto sia fondamentale per gli altri.
Giovanni Borgi nasce a Roma il 18 febbraio 1732, dal padre Pierantonio Borgi e la madre Dorotea Mondei.
La sua è una famiglia umile e Giovanni cresce tra il popolo di Roma, diventando un artigiano e un mastro muratore. Il lavoro è sempre stato al centro della sua vita, probabilmente fin da bambino, visto che rimane analfabeta e forse per questo gli forma un carattere ruspante, schietto e probabilmente rude, dai modi popolari, insomma.
Sotto papa Pio VI lavora alla Sagrestia Vaticana, dando forse sfogo alla sua grandissima dedizione verso la religione.
Basta pensare che sua figlia Anna Rufina, seppur morta a soli diciotto anni, per tutta la Roma dell’epoca è considerata una vera e propria Santa.
La sua è una famiglia umile e Giovanni cresce tra il popolo di Roma, diventando un artigiano e un mastro muratore. Il lavoro è sempre stato al centro della sua vita, probabilmente fin da bambino, visto che rimane analfabeta e forse per questo gli forma un carattere ruspante, schietto e probabilmente rude, dai modi popolari, insomma.
Sotto papa Pio VI lavora alla Sagrestia Vaticana, dando forse sfogo alla sua grandissima dedizione verso la religione.
Basta pensare che sua figlia Anna Rufina, seppur morta a soli diciotto anni, per tutta la Roma dell’epoca è considerata una vera e propria Santa.
La sua fede religiosa lo invoglia a partecipare ogni sera alla processione indetta dall’Oratorio del Caravita. Nel tragitto di ritorno verso casa, passa davanti al Pantheon e si ritrovava quotidianamente la scena di bambini e giovani ragazzi che dormono sulle panche e sulle scale del famoso monumento.
Stanco di vederli soffrire così inutilmente, dal 1784 decide - assieme alla sorella Domenica - di portarseli a casa per dare loro vitto, alloggio e un lavoro. Convince, infatti, i suoi amici artigiani di insegnare ai giovani il mestiere e poco dopo tempo anche altri laici e sacerdoti iniziano ad aiutarlo, offrendo ai ragazzi anche un’istruzione di base o più avanzata.
Nonostante i modi bruschi di cui abbiamo parlato in precedenza, Giovanni cerca di trascorrere più tempo possibile con gli orfanelli raccolti dalla strada, trattandoli tutti come figli, tanto da ricevere l’appellativo di “Tata Giovanni”; “tata” in dialetto romanesco vuol dire “papà” e questo basta a far capire il tipo di rapporto che ha instaurato con tutti loro.
Il suo operato cresce a dismisura, arrivando fino a coinvolgere alte sfere ecclesiastiche, come i monsignori Pinchetti e Di Pietro assidui donatori, e lo stesso papa Pio VI che per l’Ospizio acquista palazzo Ruggia a via Giulia.
Stanco di vederli soffrire così inutilmente, dal 1784 decide - assieme alla sorella Domenica - di portarseli a casa per dare loro vitto, alloggio e un lavoro. Convince, infatti, i suoi amici artigiani di insegnare ai giovani il mestiere e poco dopo tempo anche altri laici e sacerdoti iniziano ad aiutarlo, offrendo ai ragazzi anche un’istruzione di base o più avanzata.
Nonostante i modi bruschi di cui abbiamo parlato in precedenza, Giovanni cerca di trascorrere più tempo possibile con gli orfanelli raccolti dalla strada, trattandoli tutti come figli, tanto da ricevere l’appellativo di “Tata Giovanni”; “tata” in dialetto romanesco vuol dire “papà” e questo basta a far capire il tipo di rapporto che ha instaurato con tutti loro.
Il suo operato cresce a dismisura, arrivando fino a coinvolgere alte sfere ecclesiastiche, come i monsignori Pinchetti e Di Pietro assidui donatori, e lo stesso papa Pio VI che per l’Ospizio acquista palazzo Ruggia a via Giulia.
Tata Giovanni muore a Roma il 28 giugno 1798, e viene sepolto alla chiesa di San Nicola degli Incoronati, (oggi non più esistente, sostituita dal liceo ginnasio Virgilio). Nel 1831 il cardinale Morichini ha inciso per lui una lapide commemorativa.
L’Ospizio è sempre sopravvissuto alla sua morte, dapprima integrato ad altri istituti, con diverse sedi tra la chiesa di San Nicola da Tolentino e quella di San Silvestro al Quirinale.
Nel 1816 si trasferisce definitivamente alla chiesa di Sant’Anna dei Falegnami, con più di cento ragazzi e una vera e propria squadra di adulti lavoratori a loro servizio, tra questi anche il futuro papa Pio IX.
Nel 1876 si sposta tra Palazzo Righetti, in piazza del Biscione, e poi alla Cappella Orsini fino al 1926. Opera ancora oggi con il nome di Istituto Santissima Assunta detto di Tata Giovanni e Annessa Opera Pia De Angelis con sede a viale di porta Ardeatina.
Come potete immaginare, ciò che ci ha colpiti maggiormente oltre l’opera di carità, è vedere che non importa quanti mezzi si hanno inizialmente per aiutare chi è in difficoltà, l’importante è iniziare a tendere la mano perché il bene genera sempre altro bene.
L’Ospizio è sempre sopravvissuto alla sua morte, dapprima integrato ad altri istituti, con diverse sedi tra la chiesa di San Nicola da Tolentino e quella di San Silvestro al Quirinale.
Nel 1816 si trasferisce definitivamente alla chiesa di Sant’Anna dei Falegnami, con più di cento ragazzi e una vera e propria squadra di adulti lavoratori a loro servizio, tra questi anche il futuro papa Pio IX.
Nel 1876 si sposta tra Palazzo Righetti, in piazza del Biscione, e poi alla Cappella Orsini fino al 1926. Opera ancora oggi con il nome di Istituto Santissima Assunta detto di Tata Giovanni e Annessa Opera Pia De Angelis con sede a viale di porta Ardeatina.
Come potete immaginare, ciò che ci ha colpiti maggiormente oltre l’opera di carità, è vedere che non importa quanti mezzi si hanno inizialmente per aiutare chi è in difficoltà, l’importante è iniziare a tendere la mano perché il bene genera sempre altro bene.
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