Aspettando che la pioggia smetta di ghermire le strade della città, una cupa ragazza si ritrova rannicchiata sul proprio letto a osservare con occhi vacui le gocce che si arenano sulla finestra.
Matilde è una ragazza dai capelli dorati, il viso di porcellana e due grandi occhi che richiamano il colore del cielo quando è sereno.
Forse è questo il motivo per cui non sopporta la vista della pioggia. Sembra allontanarla da quel cielo che si rispecchia luminoso nei suoi occhi.
Ma la pioggia oggi è solo un contorno, niente di più e niente di meno. Ormai Matilde ha capito che qualcosa non va, nel suo cuore le nubi sono presenze indipendenti dai colori del cielo.
Giorno dopo giorno, il mondo è sempre grigio e il suo cuore appassisce tra le lacrime scure che le rigano il volto nella penombra.
Cerca di convincersi che non è colpa sua, ma lo fa inutilmente perché un’altra voce nella testa le dice tutto il contrario.
“La vita è un pendolo che oscilla tra la noia e il dolore” dice Schopenhauer, e Matilde in questo momento si identifica pienamente in questa frase. In mancanza di tormento non v’è gioia, solo un’intensa vacuità insensata che separa una crisi di pianto dall’altra.
L’ombra nei suoi pensieri non si allontana mai, è sempre presente, sfumata o netta. Nei momenti di pace non è altro che una nuvola informe che sovrasta la mente intera. Una forza oscura dormiente che può svegliarsi d’un tratto ma che non lascia mai completamente la presa neanche quando è sopita.
Da quanto tempo quest’ombra si ritrova qui? Non ha più importanza, si sente impotente e l’unica cosa che riesce a fare è guardare quella maledetta pioggia.
Continua, lenta e inesorabile a battere sulla sua finestra, mentre si accumula nelle grondaie riversandosi poi nei marciapiedi.
Matilde si sente come se tutta quella pioggia potesse farla annegare, come se potesse toglierle il respiro.
Ma come dicevo non è la pioggia in sé. La pioggia alimenta determinati pensieri, li nutre e da consistenza alle loro ombre.
Ma le ombre di Matilde son sempre presenti, nei suoi incubi e nella sua veglia, le condizioni climatiche le alimentano soltanto.
Matilde, in fondo, lo sa bene. Ma usare la pioggia come pretesto la fa sentire più tranquilla, come se avesse trovato modo di giustificare qualcosa di ingiustificabile.
Mentre le lacrime si accumulano fino ad annebbiarle la vista, la pioggia diviene più insistente facendo diventare il ticchettio sulla finestra un frastuono per le orecchie di Matilde.
D’un tratto, Matilde sente suonare il citofono e utilizza questo evento come pretesto per alzarsi. Si asciuga velocemente le lacrime, senza porsi neanche il problema di lasciarsi vedere con gli occhi lucidi e le guance arrossate e ancora umide.
Matilde non aspetta visite, sta aspettando solo un segno, qualcosa che potesse dare un senso a tutto il resto.
Non è ben sicura, ma tra la pioggia ha visto una figura strana, sembrava un angelo.
Era solo il miraggio di un lampo? Alla porta non vi è nessuno, ma una lettera sbuca curiosamente dalla sua cassetta della posta. È una lettera senza mittente, bianca e intonsa senza segni di inchiostro sulla busta. All’interno è presente un piccolo foglio ritagliato con una breve frase.
“Stai solo cercando la tua sua posa nel quadro della vita, non aver paura del resto: è solo lo sfondo per far risplendere la tua beltà”.
Matilde stringe al cuore quel pezzo di carta, che per quanto insolito possa essere, le ha fornito una speranza in mezzo al temporale.
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