lunedì 25 aprile 2022

#Personaggi: Boris Pahor

Stamattina vi abbiamo parlato del libro “Oscuramento”, di Boris Pahor. È la prima volta che abbiamo letto un suo romanzo, e ne siamo rimaste colpite soprattutto per le immagini vivide che le sue parole riescono a dare. Così ci siamo domandate come mai i suoi racconti avessero questo potere e la risposta si è palesata appena abbiamo letto poche righe sulla sua vita: perché ogni romanzo di Pahor è strettamente autobiografico. Da quel momento ci siamo interessate alla sua storia, e abbiamo fatto delle piccole ricerche; oggi vogliamo parlarvi di lui, del suo coraggio e di tutto ciò che ha dovuto subire in nome della libertà.

Boris Pahor nasce a Trieste il 26 agosto 1913 da Franc Pahor e Marija Ambrožič, quando la città era ancora in mano all’Impero austro-ungarico. È solo un bambino, però, quando deve mettere a tacere la sua origine slovena. A pochissimi anni dalla fine della Grande Guerra, l’ideologia fascista plasma le menti e moltiplica sempre più il numero di adepti a quello che poi diventerà il regime.  È il 13 luglio 1920, Boris ha quasi sette anni, quando un gruppo di squadristi incendia il Narodni dom (Casa del popolo) di Trieste, luogo simbolo della comunità slovena dai primissimi anni del Novecento. Il fascismo è ormai al potere: cominciano a essere bandite tutte le parole straniere e nelle zone del Venezia-Giulia la comunità slovena deve reprimere le proprie origini, smettendo di parlare la lingua madre in ogni luogo ed esercizio pubblico.    
Possiamo solo immaginare, grazie anche alle sue testimonianze, come dovesse sentirsi un bambino che deve reprimere molti termini del parlato senza sapere perché. Cos’hanno di sbagliato le parole in sloveno? E se sono sbagliate, perché i genitori gliene insegnano? Bisogna aspettare l’età adulta per capire che di sbagliato ci sono solo certi divieti…     
Dopo le scuole medie, decide di seguire la via ecclesiastica e si scrive al seminario di Capodistria, fino al 1935, per poi andare a quello di Gorizia, fino al 1938, quando decide di cambiare strada, non perpetrando quella del sacerdozio. Sente comunque l’impulso di darsi agli altri, di aiutarli in qualsiasi modo, ma sotto forma di altro.

“La politica ha rinnegato gli sloveni e da questo ne consegue la negazione della lingua. Appena la politica comincia ad essere più ‘onesta’, anche il resto cambia.”

- Boris Pahor
In questo periodo si avvicina al mondo politico e letterale, frequentando e stringendo solide amicizie con i poeti Stanko Vuk, Evard Kockek e Zorko Jelinčič, quest’ultimo sarà per Boris una figura importante nel corso della sua vita, tanto che lo vedrà molto come guida. Tra le altre amicizie figurano anche i pittori Augusto Ĉernigoj e Lojze Spacal. Grazie a tutti loro comincia la pubblicazione, in forma anonima, su diverse riviste slovene clandestine. Solo intorno al 1940 pubblica col suo nome sulla rivista “Dejanje”. Più o meno in quel periodo, torna a Trieste, dove si unisce alle organizzazione antifasciste, anche se inizialmente erano semplicemente modi per riunirsi, per parlare e tenere conferenze in lingua slovena; il tutto, ovviamente, in forma segreta.
Nello stesso anno viene arruolato e inviato in Libia, ed è proprio a Bengasi che consegue la maturità classica. Tornato in Italia, si iscrive all’Università di Padova, per poi lavorare come sergente interprete a Bogliaco, sul Lago di Garda, dove erano stati catturati degli ufficiali jugoslavi durante l’invasione della Jugoslavia.
L’8 settembre 1943, a seguito della caduta di Mussolini, decide di tornare in modo clandestino a Trieste, per unirsi ai partigiani sloveni e liberare la città dalle truppe tedesche. Nel 1944 diventa responsabile per la stampa per il Fronte di Liberazione del Popolo Sloveno, l’organizzazione che aveva come obiettivo l’indipendenza nazionale, per la liberazione della Slovenia da parte di tedeschi, italiani e ungheresi. Il suo lavoro, però, dura relativamente poco perché viene arrestato dai domobranci – collaborazionisti sloveni – e per un mese è imprigionato e torturato, fino alla sua deportazione a febbraio dello stesso anno. È stato in vari campi di concentramento tra Francia (a Natzweiler e Markirch) e Germania (a Dachau, Nordhausen, Harzungen e Bergen-Belsen) rimanendo internato fino alla Liberazione. Torna a Trieste negli ultimi mesi del 1946, dopo un periodo a Parigi, per riprendersi dalla tubercolosi.
L’11 novembre 1947, finalmente, si laurea e continua la sua attività nelle associazioni culturali e tra le varie pubblicazioni nelle riviste slovene, come: “Razgledi”, “Tokovi” e “Sidro”. Nel 1948 pubblica la prima raccolta di prose brevi, chiamata “Moj tržaški naslov” (“Il mio indirizzo triestino”).

“Mai smettere di coltivare i propri interessi, se si hanno le forze. Ad ogni età. Viaggiare o collezionare francobolli, non importa; occorre avere cura per ciò che si desidera fare.”
 
- Boris Pahor

Si sposa nel 1952 con Françiška Radoslava Premrl, con cui ha due figli. Un anno dopo diventa professore di letteratura slovena alle scuole medie, per poi insegnare anche letteratura italiana. A metà anni cinquanta pubblica “Mesto v zalivu” (“La città nel golfo”), il suo primo romanzo a diventare famoso in Slovenia. Lì racconta tutto il dolore e i giorni vissuti in prigione durante l’ultimo periodo della seconda guerra mondiale.
Nel 1975 inizia a insegnare la lingua slovena ai licei di Trieste e intanto pubblica “Evard Kockek: testimone della nostra epoca”, libro intervista al poeta che parla apertamente del massacro di dodicimila prigionieri di guerra da parte del regima comunista jugoslavo. Alla pubblicazione di questo libro, la Jugoslavia – che già ne aveva vietata la pubblicazione – nega l’ingresso nello stato da parte di Pahor. Ma questo lo avvicina ai giovani, diventando un punto di riferimento per tutti gli intellettuali dell’epoca.

Nel 1986 conosce il filosofo Evgen Bavčar, e il suo “Necropoli” – altro romanzo autobiografico – grazie alla nuova amicizia, trova la pubblicazione francese, così da renderlo non solo famoso in tutto il mondo, ma anche un grande classico della letteratura novecentesca. Da quel momento tutte le sue opere sono tradotte anche in svariate lingue, dal francese al finlandese.

Tanti sono i titoli e riconoscimenti ottenuti grazie alle sue opere, tra tutti: il Premio Prešeren (1992); nel 2007 gli è stata assegnata l’onorificenza della Legion d’onore, la più alta dello Stato francese; il Premio Internazionale Viareggio-Versiglia (2008), nello stesso anno gli viene dato il Premio Resistenza per “Necropoli”; Nel 2012 per la sua autobiografia “Figli di nessuno” gli viene dato il Premio Letterario Internazionale Alessandro Mazoni – città di Lecco; nel 2019 lo Stato italiano lo nomina commendatore, nel 2020 diviene cavaliere di gran croce
 
Boris Pahor, così proprio come Primo Levi, è un autore di romanzi crudi, che mettono in luce tutte le atrocità della guerra e di ciò che è capace l’essere umano in casi estremi. Dalle parole di Pahor ci chiediamo a che serva continuare a vivere nelle divisioni, creando nemici in persone che la pensano o parlano diversamente da noi.
Col periodo storico che stiamo vivendo, forse, una lettura di questi romanzi non ci farebbe male. 

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