Non che sia difficile dal punto di vista stilistico o narrativo, semplicemente è difficile – almeno a nostro avviso – per ciò che racconta. Un po’ come è stato per noi faticoso leggere “Se questo è un uomo” di Primo Levi. Ovviamente la difficoltà, soprattutto se si è molto sensibili, non deve essere una scusa per non immergersi nelle opere di Boris Pahor, anzi. La sua testimonianza è un dono prezioso per tutte le generazioni successive alla sua.
“Nella psiche di quei bambini era stato instillato un indefinito senso di colpa che aveva pesantemente influenzato la loro vita da adulti.”
Radko Suban – alter ego di Boris Pahor – è un ragazzo nato e cresciuto a Trieste, da famiglia slovena. Fin da bambino, a causa della dittatura fascista, ha dovuto reprimere la sua lingua d’origine e tutto ciò che lo collegava alla comunità slovena.
Durante gli anni della scuola elementare lui e gli altri bambini con cui condivideva le origini, erano pesantemente puniti, quasi umiliati, se venivano sorpresi a parlare sloveno, o se anche solo sfuggiva una mezza parola in quella lingua. Questo ha innescato in loro, ma in Radko soprattutto, un senso di colpa continuo per il proprio essere, tanto che sul finire degli anni trenta abbandona il seminario per andare incontro al suo vero animo, cercando di comprenderlo quel poco che basta per poter vivere in modo meno opprimente, più spavaldo.
“Abbozzolati come siamo nel nostro mondo brumoso, siamo incapaci di osservarci da una prospettiva aerea con un certo distacco, diciamo. e in società regoliamo le nostre azioni adeguandoci alle aspettative dell’interlocutore di turno.”
Non si conosce, non si è mai visto veramente dentro per paura di trovare qualcosa di sbagliato. La vergogna è insita in lui senza alcun motivo, ma capirlo – soprattutto quando il motivo del divieto non ha alcun fondamento logico e/o morale – è estremamente difficile.
Non sa bene, quindi, se è davvero pronto per il cammino religioso, e nel frattempo assapora la vita laica con tutte le libertà che può permettersi un giovane ragazzo. Incontra Mija, che lo conquista subito con la sua indole socievole, appassionata, intellettuale e aperta alla vita. Diviene per lui una cara amica, con un avvicinamento totalmente inconscio. Questo sentimento, però, non può diventare più profondo, perché viene chiamato per il servizio militare e mandato in Libia.
“No, era invano qualsiasi tentativo di capire fino in fondo come fossero riusciti a trovarsi senza peraltro cercarsi consapevolmente. Più che le parole dovevano aver parlato i loro occhi, avevano comunicato reciprocamente a loro insaputa.”
Nel frattempo Mija comincia la sua attività nelle organizzazioni partigiane, militando più verso la sponda comunista, dove conosce Darko, con il quale si sposa. Quando Radko torna a Trieste, nel settembre del ’43, la città è occupata dai tedeschi. La Storia bussa così bruscamente alla porta della sua anima e lui deve decidere da che parte stare: vuole ignorare il tutto, rendendosi così complice di quello che potrebbe essere l’annullamento della comunità slovena a Trieste, o preferisce combattere con la Resistenza?
“Glielo riferiva sebbene presumesse che non gli interessasse più di tanto, quand’era convinto che sposarsi era un po’ morire. E per certi versi gli dava ragione, poiché il legame coniugale richiede rinunce e sacrifici decretando la fine dei sogni a occhi aperti. Riteneva comunque giusto che ciascuno la pensi a modo proprio e che fosse un gran male non permettere a qualcuno di vivere secondo i propri sentimenti; piuttosto di impedirlo, è necessario allontanarsi.”
Non andremo oltre, per non rovinarvi il libro, che mescola la realtà degli eventi – con la sua prigionia, e le attività organizzate – con la fantasia dell’autore, che comunque ha anche inserito il filone sentimentale, proprio perché Boris Pahor stesso ha sempre amato l’amore.
Sinceramente non pensiamo che servisse per forza una storia d’amore per capire i sentimenti di chi si vede portato via qualcuno, ma crediamo che sia stato comunque fondamentale per la riuscita del romanzo, facendoci entrare in modo più diretto e concreto in una situazione che teoricamente è lontana da noi di otto decenni, ma che nella realtà non è detto sia poi così distante.
Radko, poi, è un uomo che ama totalmente, senza limiti o senza alcun vincolo. Fa tutto ciò che si sente di fare, senza pensare alle conseguenze, pur tormentandosi forse un po’ troppo sull’idea di giusto e sbagliato. Possiamo biasimarlo? Un bambino cresciuto con la convinzione di essere sbagliato, senza capire precisamente il perché, è naturale diventi un adulto in perenne lotta tra bene e male, con la paura folle di sbagliare ogni decisione presa.
“La vita, regista imprevedibile, sa aggiustare da sé quello che gli uomini non riescono.”
Frase un po’ dura, forse. Alcuni potrebbero definirla “fatalista”, così non è. Ha una spiegazione molto più profonda di quanto si pensi, ed è forse racchiusa nella canzone di Fiorella Mannoia: “Che sia benedetta”.
Crediamo che la vita premi e aiuti sempre le persone, indipendentemente dal dolore che hanno provato in un dato momento della loro vita. Tutto accade per il nostro bene, tutto è necessario per la nostra crescita, anche la sofferenza più straziante che possiamo provare. Per capire ciò, però, bisogna prima di tutto accogliere ogni situazione – positiva o negativa che sia – che abbiamo di fronte, poi trarre insegnamento da ciò che ci è capitato.
Solo allora capiremo perché:
“Per quanto assurda e complessa ci sembri,
la vita è perfetta.
Per quanto sembri incoerente e testarda,
se cadi ti aspetta
e siamo noi che dovremmo imparare a tenercela stretta.”
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