Danae è un personaggio della mitologia greca, figlia di Euridice e Acrisio, principessa di Argo. Di lei avevamo già parlato nella recensione del libro “Il segreto di Medusa”, perché venne messa incinta da Zeus e diede alla luce Perseo. Era stata rinchiusa in una torre perché l’oracolo di Delfi aveva predetto ad Acrisio che suo nipote sarebbe stato la causa della sua morte. Sigillata in quelle mura, Zeus giunse da lei sotto forma di pioggia dorata e quando Perseo nacque, Acrisio rinchiuse entrambi in una cassa e li gettò in mare. Finirono sulle spiagge di Serifo, dove Danae e figlio vennero salvati da Ditti, cadendo, però, nelle mani di Polidette. La storia, poi, si intreccia con quella di Medusa, salvo il fatto che successivamente la principessa di Argo arrivò nel Lazio e fondò Ardea.
Dopo
una breve introduzione sulla storia del personaggio, adesso analizziamo l’opera
di Tiziano. Danae non è sotto coercizione del dio, ma cosciente e pronta. A testimonianza
che il suo sia un atto d’amore e non una violenza, è la presenza
di Cupido. La donna è emozionata, come si può vedere dalla mano destra che
stringe nervosamente il lenzuolo. Il braccio è piegato con la stessa angolazione
dell’opera di Michelangelo “Leda”, sua chiara ispirazione. Per quanto riguarda
la costruzione del corpo, Tiziano si rifece a un’altra sua opera molto famosa,
la “Venere di Urbino” che aveva realizzato nel 1538, solo sette anni prima. Lo sguardo
è dotato di una forte carica erotica e tutta l’opera fu conservata per anni nel
“Gabinetto delle cose oscene” (o anche semplicemente “Gabinetto segreto”), una
sezione del Museo archeologico nazionale di Napoli (MANN), in cui erano
custodite per lo più opere a sfondo erotico o sensuale.
L’opera
fu una commissione di Ottavio Farnese (secondo duca di Parma) che, data la sua
connotazione erotica, era adibita al suo puro piacere visivo. Secondo altre fonti,
invece, il dipinto venne richiesto da suo fratello, Alessandro Farnese. Secondo
alcuni storici, il viso di Danae sarebbe il ritratto dell’amante del cardinale,
Angela, cognata di Camilla Pisana che era una cortigiana dell’epoca. Infatti
pare che il Farnese avesse mandato al pittore proprio una miniatura che
raffigurava la donna.
Ciò
che colpisce di quest’opera è quello che aveva già notato Michelangelo quando,
alloggiando a Roma tra il 1545 e il 1546, supervisionò il quadro: non c’è una
base di disegno. Questo venne confermato poi anni dopo anche dai raggi X fatti
sull’opera. Il pittore non disegnò lo “scheletro” della donna, la base come
diremmo noi “a matita”, ma iniziò subito con le sue pennellate che danno un
tocco aggiuntivo ai colori della composizione. Il Vasari riportò infatti: “Buonarruoto lo comendò assai, dicendo che
molto gli piaceva il colorito suo e la maniera, ma che era un peccato che a
Vinezia non s'imparasse da principio a disegnare bene e che non avessono quei
pittori il miglior modo nello studio”, in quanto Michelangelo individuò
alcune imperfezioni nella realizzazione della gamba in primo piano. Tiziano
cercò più volte di ispirarsi ai lavori del Buonarroti, tanto che Paolo Pino (pittore
italiano del XVI secolo) disse che con la fusione tra il disegno di
Michelangelo e la colorazione di Tiziano, sarebbe nato il dio della pittura.
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