Attenzione, l’articolo contiene degli spoiler.
La storia si apre in una palazzina squadrata, che all’esterno ricorda i vecchi casermoni di cemento, lugubre, di quelli che o passano inosservati, o di quelli dove la gente, quando ci passa davanti, accelera il passo. Lì le vite di sei persone stanno per essere stravolte quando il signor Bisacco, il panettiere che rallegra tutti il profumo del suo pane, un giorno impazzisce e sequestra nel proprio appartamento la signora Vera, un’anziana che ricorda la “vecchia imbellettata” di Pirandello, Angelo, un giovane fotografo, Achille, un uomo dal forte accento romano pieno d’odio e la signorina Eco con il suo neonato Luigi. Minacciandoli con una pistola, dopo aver fatto a pezzi tutti gli specchi del proprio appartamento, ordina loro di restituirgli qualcosa che gli hanno rubato: il riflesso. Li metterà quindi davanti al proprio io, uno per uno, fino al tragico epilogo.
Anche se la narrazione è molto veloce, forse anche troppo per il modo in cui tutti i personaggi finiscono per mostrarsi, Bravi delinea bene come ci sia differenza tra quello che mostriamo e quello che siamo realmente. Tutti si sentono traditi da quel vecchietto che sembrava tanto amorevole, tanto premuroso che rallegrava i tempi morti dei condomini, i tempi di vuoto esistenziale con il profumo del proprio pane e una chiacchierata da vecchio saggio. E in egual modo, tutti si ritrovano a doversi specchiare con quella nube nera che era arrivata a permeare il palazzo stesso. La signora Vera aveva subito una brutta umiliazione da bambina, quando sua madre un giorno, per non far arrabbiare la ricca signora da cui faceva le pulizie, la costrinse a stare fuori in balcone, scalza e infreddolita, perché aveva osato salire sul letto della padrona di casa. La doppia umiliazione, quella della madre remissiva e della donna, avevano acceso in lei un moto di rivalsa, un “mai più” ad abbassarsi come aveva fatto sua madre e un “per sempre” per diventare la ricca signora capace di elevarsi sopra agli altri. Plasmandosi a immagine di quell’esempio che si era scelta, non aveva fatto altro che mostrare quanto di lei non sia mai emerso. Quanto di se stessa avesse sempre celato dietro gli oggetti che si era ritrovata a rubare per sembrare una ricca ereditiera.
Poi c’è Achille, che da adolescente si era innamorato di una prostituta che lo aveva profondamento umiliato, la sola che sembrava apprezzarlo per mezzo sorriso che gli aveva rivolto. Si era così attaccato alla fantasia di un amore puro di quella donna che poi lo aveva preso in giro, facendo scattare in lui un odio profondo per il mondo sporco che lo circondava. Aveva, quindi, nascosto la propria fragilità mangiando, divorando tutto ciò che gli capitava a tiro: se non poteva affrontare il mondo, lo poteva ingurgitare.
Infine Vera con suo figlio, nato dal classico rapporto avvocato-segretaria che aveva allontanato tutti per quello che credeva fosse amore vero. Quella fantasia si era trasformato in una somma di denaro per allontanarsi dalla città e un assegno di mantenimento per non farla più lavorare in quello studio. Un esilio. Lei, che per una vita si era sentita solo un corpo a disposizione degli uomini, per la prima volta con Luigi riesce a riconoscere che “oltre le gambe c’è di più”.
Il signor Bisacco, che con la sua follia, li mette davanti al proprio riflesso, davanti a ciò che mostrano e ciò che sono realmente, pronuncia una frase lapidaria: “Tutti i riflessi sono bugie che raccontano verità profonde, ma sono pur sempre bugie.”
E voi? Quanto fingete ogni giorno per sembrare veri?
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