Quando ho scritto l'articolo di “Blackbird”, seppur consapevole del fatto che le canzoni dei Beatles hanno molteplici significati, ammetto di essermi lasciata andare al sentimentalismo e all’idea che Paul abbia scritto quelle parole per John e, che voi vogliate pensare che l’abbia scritte per un migliore amico o per un amante, è innegabile che siano delle meravigliose parole di conforto.
Con “Why Don’t We Do It In The Road?”, invece, non è possibile inventare teorie o lasciarsi andare all’immaginazione.
La canzone fu scritta da Paul McCartney durante il ritiro di Meditazione Trascendentale del Maharishi a Rishikesh del 1968 esattamente come numerose canzoni inserite successivamente nel White Album, ma anche in Abbey Road; l’idea per questo brano nacque quando, durante una delle sue numerose meditazioni, Macca vide due scimmie accoppiarsi. Rimase incredibilmente affascinato dalla semplicità del gesto e da come in due creature come le scimmie (tra l’altro molto più vicine all’uomo di quel che si pensa) non ci fosse alcun tipo di vergogna nel praticare una cosa così naturale come il sesso, soprattutto, appunto, nel farlo per strada.
Considerata una delle canzoni più spudorate dei Fab Four, “Why Don’t We Do It In The Road?” (trad. “Perché non lo facciamo per strada?”) fu registrata il 9 Ottobre 1968 – giorno del compleanno di John – esclusivamente da Paul e Ringo ma fu comunque accreditata, come di consuetudine, alla ormai famosa collaborazione Lennon-McCartney.
John e Paul durante il ritiro di Rishikesh, 1968 |
Ovviamente – e anche comprensibilmente – Lennon non fu felice di sapersi escluso dalla registrazione di una canzone che aveva tutti i presupposti per essere una delle sue preferite da registrare e da riascoltare, tanto che in una delle sue ultime interviste prima della sua morte, avvenuta nel 1980, dichiarò a Playboy: “La registrò addirittura da solo in un’altra stanza. Funzionava così in quel periodo. Entravamo in sala registrazione e aveva già fatto tutto da solo. […] Non so perché lo facesse, mi piaceva il brano. Comunque, non posso parlare per George, ma mi ha sempre ferito quando Paul faceva tutto da solo senza coinvolgerci o considerarci, ma era semplicemente così che funzionava in quel periodo”.
“No one will be watching us
why don't we do it in the road?”
Per capire il significato di questa canzone – composta solo ed esclusivamente dalla domanda: “perché non lo facciamo per strada?” ripetuta per ben quindici volte e la frase: “no one will be watching us” (trad. “nessuno ci guarderà”) ripetuta per tre volte – è fondamentale analizzare due cose: il contesto storico e quello che per i quattro è stata l’esperienza a Rishikesh.
Il contesto storico non è troppo complicato da spiegare: era il 1968 e appena sette mesi prima, nel luglio del 1967, era passata la legge sui reati sessuali (chiamata “Sexual Offences Bill 1967”), una legge che legalizzava per la prima volta gli atti omosessuali in Inghilterra e in Galles, a condizione che fossero consensuali, avvenissero in privato e che i due uomini che avessero raggiunto l'età di ventuno anni.
Eppure, come sappiamo bene, la legge è una cosa, ma la visione della società è ben diversa; è innegabile che a quei tempi non essere eterosessuale era considerato scandaloso dai più, e comunque pubblicamente dire di non esserlo era considerato ancora un reato.
John e Paul durante il ritiro di Rishikesh, 1968 |
Quel che non sappiamo con certezza e che non sapremo mai nei dettagli è quello che è successo tra John e Paul. Perché chiunque sia fan dei Beatles e conosca i retroscena sa che qualcosa è successo.
Il punto è che non lo penso solo io che sono anche una grandissima sostenitrice della relazione romantica tra i due, ma lo pensa anche chi si allontana totalmente da questa idea: è successo qualcosa, qualcosa che ha cambiato totalmente e definitivamente il rapporto tra i due.
Nella seconda parte del docu-film “The Beatles: Get Back”, all’inizio del sedicesimo giorno (circa a due ore e quindici secondi) i quattro parlano della loro esperienza indiana e, a parte il linguaggio del corpo di Lennon e il suo atteggiamento generale che non so spiegarvi perché ogni volta che lo guardo non riesco a non pensare: “mio Dio, Johnny, datti un contegno”, la conversazione stessa diventa sempre più allusiva e parte dal semplice parlare di come lì fossero totalmente liberi dalle costrizioni del loro personaggi, fino alla domanda apparentemente innocua di John: “chi componeva le canzoni?” che manda Macca completamente in buffering.
E quando parlo di buffering parlo del fatto che inizialmente si blocca, ma poi – forse per cercare di mettere delle pezze al fatto che si era appena bloccato – sgrana gli occhi, inizia ad arrossire e a balbettare, e questo non solo perché John come ho detto anche sopra diventa sempre più esplicito nei gesti e nei modi di fare, ma anche perché, come dicono molto apertamente, i due componevano le canzoni sempre in camera insieme; il punto è che nessuna delle ventisei canzoni accreditate al duo Lennon-McCartney e scritte in questo ritiro è stata ufficialmente scritta da entrambi, nessuna.
Senza contare che, come ho già detto, John a un certo punto smise improvvisamente di condividere la stanza con quella che sarebbe diventata a breve la sua ex moglie… mi viene quasi spontaneo pensare che per scrivere ventisei canzoni in meno di un mese i McLennon dovevano quasi necessariamente condividere la stanza.
In qualsiasi caso, i conti non mi tornano.
O meglio, non tornano a tantissime persone.
O meglio, non tornano a tantissime persone.
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