Vi avevamo già parlato della serie televisiva di Netflix: Bridgerton. Una serie che fa parte dell’universo seriale creato dalla showrunner Shonda Rhimes. Questa narrazione, infatti, si inserisce perfettamente all’interno del contesto che l’autrice ha da sempre cercato di creare, ovvero: Shondaland.
Le tematiche trattate hanno suscitato numerosi interessi nel popolo del web. Le proteste tra scelta di rappresentazione all’interno del cast per colpa della trasposizione socio-culturale inesatta sono state numerose e di certo sono state qualcosa che in un primo momento aveva ostacolato la visione di questa serie per alcune di noi. Alla luce dell’uscita della seconda stagione, in ogni caso, il paragone è necessario e un ulteriore approfondimento va fatto.
La storia ormai la conosciamo tutti e comprendiamo le ragioni per cui abbia avuto così tanta presa sul pubblico. A livello di realizzazione è davvero impeccabile e la cura dei dettagli cerca di sopperire alle mancanze narrative. Infatti, la dolente nota che crea un distacco tra le due stagioni è sicuramente la narrazione. Nella creazione del suo mondo, Shonda sembra essersi persa nella costruzione di una storia che potesse essere credibile e coerente. Sorvoliamo appositamente sulle varie questioni di rappresentazione e sulla poca accuratezza storica, questa serie si mantiene ancorata a un dato periodo storico solo per poter cercare di trasportare nel suo intreccio i drammi legati all’epoca. Senza, infatti, le restrizioni etiche e morali dell’età della reggenza non ci sarebbero stati metà dei costrutti narrativi, esattamente come non ci sarebbero neanche stati i pretesti per poter costruire lo scandalo o i moventi. Quindi siamo davanti a una storia che cerca di essere moderna, pur mantenendo le restrizioni dell’epoca, come a voler provare una sorta di parallelismo nei riguardi dell’accettazione sociale tra l’epoca e i giorni nostri.
Shonda crea la sua realtà narrativa, il suo “e se” personale ipotizzando che Re Giorgio avesse sposato una donna nera. Un’accettazione sociale che di certo non c’è stata, ma che si fortifica nelle scelte che vengono compiute dal lato tecnico. Le canzoni, in particolare, riescono a creare un contesto unico all’interno del palinsesto offerto dalla piattaforma. Sentire Material Girl o Bad Guy in chiave classica riescono a creare un contesto straniante da ciò che abbiamo davanti. Un riferimento alla cultura pop che innesca nello spettatore una specifica decodifica, ma che allo stesso tempo contestualizza le scelte inclusive di questa serie.
In quattrocento anni, però, non molto sembra essere cambiato, specialmente, per la posizione della donna. Tutto l’aspetto di subordinazione all’uomo, infatti, è quanto più di facciata ci possa essere all’interno di questa serie. Si prova, infatti, ad agire per contrappasso provando a portare sullo schermo donne straordinariamente moderne, dalla forte arguzia la quale caratterizzazione funziona proprio per paragone con le altre presenze sceniche. Se, infatti, da una parte abbiamo le Bridgerton, donne perfette dalla forte tempra e dal carattere esternamente moderno e letterato, dall’altra abbiamo le civette dell’alta società che funzionano solo da compagine narrativa per poter cercare di esaltare le doti dei protagonisti. Cosa che è ancor più evidente con gli eventi della seconda stagione. Basta, infatti, dichiarare il Visconte a caccia di moglie per esser in grado di suscitare la lunga fila di interessate alla sua posizione. Donne inette e insulse che non reggono il confronto con quelle protagoniste, schiacciandole dunque al loro mero ruolo di dame da compagnia a caccia di dote.
Allo stesso tempo, come stavamo sottolineando precedentemente, siamo davanti a una narrazione scialba che va avanti solo grazie ai pretesti narrativi che vengono confezionati ad hoc, ma che allo stesso tempo hanno ben poco senso. Basti pensare ai traumi del Duca e ai voti onorevoli che aveva fatto nella stagione passata. Elemento paragonabile alle scelte compiute dal Visconte nelle varie puntate. Pretesti narrativi perché altrimenti sarebbe finito tutto a tarallucci e vino immediatamente dopo il minuto uno.
Possiamo anche aggiungere che la scena del “io brucio per te” è ad alto contenuto imbarazzante e non regge il confronto con la tensione che si viene a creare nelle coppie della seconda stagione? Le prime otto puntate di questa serie hanno numerose pecche e sono quasi imbarazzanti. La presa sul pubblico che hanno è leggermente meno trash di quanto non sia quella che ha il Grande Fratello VIP. La differenza tra questa serie e un reality, sostanzialmente, sta nella recitazione degli attori. Nel secondo caso almeno sanno quello che fanno (un po’ meno per quanto riguarda le facce che il duca ha nella prima stagione).
In conclusione, comprendiamo la presa sul pubblico di una serie tv simile, gli harmony sono sempre piaciuti, ma se dovete cercare qualcosa con cui ammazzare il tempo esistono prodotti di gran lunga migliori. Bridgerton è una di quelle serie fatte su una formula quasi pre-confezionata che attirerà comunque il pubblico sugli addominali dei protagonisti maschili (giusto perché noi donne non oggettifichiamo il corpo maschile).
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