Lyle Mendez (a sinistra) e Erik Mendez (a destra) |
[Attenzione, in questo articolo vengono mostrate le foto della scena del delitto in cui è presente del sangue e parleremo di pedofilia, stupro e omicidio.]
In quanto esseri umani abbiamo per natura delle certezze che non possiamo permetterci di mettere in discussione; siamo fatti di infinite sfumature di grigio, eppure – nonostante sia risaputo che i valori di una persona cambiano in base alla sua nazionalità, ai contesti sociali e al microcosmo in cui vive; pare che per alcuni di questi le sfumature di grigio svaniscano e si diventi incredibilmente inflessibili.
Un esempio possiamo notarlo tranquillamente quando si parla di omicidi, violenze e ingiustizie varie… in questi casi, solitamente, anche se si può – e a parer nostro si deve – capire qual è l’origine del problema anche nel carnefice, tendenzialmente si hanno ben pochi dubbi: va bene tutto, ma la vittima è pur sempre la vittima.
Non c’è da stupirsi, quindi, se quando ci viene posta una situazione come quella di cui parleremo in questo articolo; l’interesse è tanto e rimane costante nel corso del tempo.
È esattamente quello che è successo nel caso dei fratelli Erik e Lyle Menendez, tanto vittime quanto assassini, e dei loro genitori, altrettanto vittime e altrettanto carnefici.
José Enrique Menendez e Mary Louise “Kitty” Andersen |
Lyle, come può accadere con i primogeniti, è per il padre il figlio prediletto, fu sì vittima di abusi e violenze, ma – anche a detta sua – non come il fratello minore, Erik.
La considerazione che il capostipite della famiglia aveva di Erik, invece, era ben diversa: fin dall’infanzia suo padre era solito insultarlo e ricordargli quanto lui non fosse degno di far parte della famiglia, fu lui il capro espiatorio principale della rabbia del genitore e, probabilmente non sentendosi abbastanza, fu proprio lui ad avere anche in adolescenza non pochi problemi legali a causa di furti e violazioni di domicilio. Anni dopo il ragazzo confermerà di aver idolatrato (e di continuare a idolatrare) il fratello maggiore.
I due ragazzi nascono e crescono in una famiglia non solo benestante, ma ricca: loro padre era un emigrato cubano inizialmente lavapiatti e divenuto successivamente multimilionario, presidente dell’azienda Lyon's Container Service e amministratore delegato della casa di produzione LIVE Entertainment; la madre era una ex professoressa e reginetta di bellezza. Quando Lyle aveva diciassette anni ed Erik ne aveva quindici, la famiglia – a seguito degli importanti titoli del padre – si trasferì dal New Jersey in California, prima a Calabasas e poi a Beverly Hills, e la loro vita fu costellata di vacanze di lusso, club sportivi altrettanto di lusso, un’abitazione meravigliosa (in cui visse precedentemente anche Elton John) e amicizie esclusive e di rilievo nella società del tempo: insomma, vivevano una vita invidiata da tutti gli adolescenti dell'epoca.
L’apparente equilibrio di facciata della famiglia Menendez si sfaldò inesorabilmente quando una sera d’Agosto, precisamente il 20 del mese, i due fratelli chiamarono il 911 e con voce disperata intimarono ai poliziotti a correre a casa loro in quanto qualcuno aveva ucciso entrambi i genitori. Non crediamo di doverlo dire arrivate a questo punto dell’articolo, ma ad uccidere i Kitty e José furono proprio i due fratelli.
Se visti così, i ruoli di cui vi abbiamo parlato a inizio articolo sono ancora ben definiti: Erik e Lyle sono gli assassini, Kitty e José sono le vittime. Certo che sappiamo che gli abusi sono abusi e che le ferite inferte possono essere dolorosissime, ma per arrivare a uccidere un genitore deve esserci stato per forza qualcosa che va addirittura oltre all’abuso, qualcosa di deumanizzante. Anche perché altrimenti non si spiega.
Non che l’omicidio sia mai la risposta a qualsiasi cosa, ma è anche fondamentale capire – ma non giustificare – gli eventi che hanno portato a una determinata azione.
Di seguito proveremo a fare una lista di alcuni degli abusi raccontati da uno o da entrambi i fratelli, anche se non sappiamo se sia in ordine cronologico:
Erik e suo padre |
Quando Erik aveva circa sei anni e Lyle ne aveva otto, dopo gli allenamenti di calcio José era solito far loro dei massaggi alle gambe per alleviare i dolori muscolari, ma questi divennero presto delle sessioni di masturbazione. Poco dopo quelle sessioni divennero dei momenti in cui i bambini venivano costretti a farsi praticare del sesso orale dal padre e, di conseguenza, a praticarlo. Successivamente, questi momenti divennero delle “object sessions” (trad. “sessioni con gli oggetti”), in cui i due furono seviziati con vari oggetti di varie dimensioni – a partire dagli spazzolini da denti – con il semplice scopo di prepararli al sesso anale.
Questi trattamenti durarono per Lyle fino ai suoi dodici anni, mentre per il fratello minore ebbero fine solo un mese prima dell’omicidio.
Ai processi Lyle dichiarò anche che il padre utilizzava dei “nomi in codice” per le varie pratiche: “Knees” (trad. “Ginocchia”) stava per “sesso orale”, “Sex” (trad. “Sesso”) stava per “penetrazione anale” e “Rough Sex” (trad. “Sesso Violento”) stava per “sesso orale forzato mentre gli si venivano infilate delle puntine e degli aghi nelle cosce e nei glutei”. Erik, invece, dichiarò di assumere quantità industriali di limone a ogni pasto per non sentire il sapore dello sperma di suo padre; dichiarò inoltre di essere stato sottoposto regolarmente all’allenamento del dolore e che suo padre si divertisse a inferirgli ferite con dei coltelli da cucina, provocandogli profondi tagli e raschiandogli via la pelle.
Quello che ci lascia a dir poco perplesse è vedere come durante il processo, seppure dolorosamente, i due fratelli Menendez non utilizzano mai la parola “stupro” ma parlano solo ed esclusivamente di “sesso”, come se quello subito fosse un trattamento accettabile e normale. In realtà, di fatto, per loro lo era.
Durante i processi viene affermato varie volte che i due fossero convinti che per mantenere stretto il rapporto, tutti i padri riservassero questo trattamento ai loro figli fino ai dodici anni, e fu forse proprio per “mantenere stretto il rapporto” che anche lo stesso Lyle a un certo punto replicò gli abusi sul fratello.
A questo punto non è possibile non chiedersi che ruolo avesse la madre (e tutto il resto della famiglia in generale) all’interno di questa storia: sapevano cosa accadeva tra le quattro mura della lussuosa villa di Beverly Hills? Sì. Sì, lo sapevano.
A Kitty fu detto numerose volte dai figli e non solo, lo sapevano i cugini dei due fratelli che divennero confidenti di Lyle ed Erik e la cugina – più grande dei due di qualche anno – provò ovviamente a parlarne con sua zia. In tutta risposta ricevette qualcosa di molto simile a un: “Sono bambini, non andare a credere a loro perché vogliono solo attirare l’attenzione”.
L’atteggiamento di Kitty e la sua figura in generale è a tratti sfocata: sappiamo che era molto sottomessa al marito (dal carattere arrogante e invadente) e spesso era vittima di violenze domestiche, sappiamo che la sua parola d’ordine di fronte alle violenze di José ai figli era “omertà”, sappiamo che era invidiosa perché le attenzioni del marito erano tutte rivolte ai due bambini e alle sue numerose amanti, ma non sappiamo con certezza se anche lei abusasse dei figli.
Ciò che condusse i due fratelli all'omicidio, però, non fu nessuno di questi abusi, ma una serie di piccoli eventi che devono aver scatenato la loro furia omicida:
- il 13 Agosto 1989 Erik viene accettato all’University of California, Los Angeles (UCLA) con la prospettiva di potersi trasferire e finalmente distaccare dagli abusi sessuali del padre, ma viene informato dallo stesso del fatto che dovrà comunque tornare a dormire nella sua casa d’infanzia per più giorni alla settimana (ovviamente per poter avere la possibilità di portare avanti il loro rapporto abusivo). Dopo questa notizia il ragazzo decide di trasferirsi a casa di un suo amico, ma sua madre Kitty lo ferma disfacendogli le valigie e impedendogli di andar via;
- il 15 Agosto 1989 sempre Erik assiste a una violenta litigata tra Kitty e Lyle in cui lei strappa una ciocca di capelli al figlio. Visto lo stato di vulnerabilità del fratello maggiore, Erik confessa per la prima volta al fratello che gli abusi da parte del padre non si sono mai fermati e Lyle promette di confrontare il genitore appena possibile per mettere un punto alla storia;
- il 17 Agosto 1989 Lyle parla con José e dopo essere stato intimato di non intromettersi, il figlio lo minaccia di chiamare la polizia per informarla della situazione. Dopo questa conversazione il padre va da Erik per “parlare”, una volta entrato in camera lo sbatte sul letto e il figlio riesce a liberarsi; scappando, incontra sua madre che gli confessa di essere sempre stata a conoscenza di tutto.
La stessa notte i due fratelli terrorizzati che i genitori avrebbero potuto ucciderli, iniziano a discutere sulla possibilità di scappare, ma si rendono conto ben presto che non c’è un posto nel mondo in cui si possono effettivamente nascondere senza essere trovati. Sentendosi alle strette e non sapendo cosa fare, decidono quindi di comprare dei fucili;
- tra il 18 e il 20 Agosto 1989 i due diventano sempre più impauriti e, sempre più in paranoia, decidono che Erik sarebbe momentaneamente scappato al campus dell’UCLA per allontanarsi dall’ambiente casalingo, mentre Lyle sarebbe rimasto a casa a osservare i comportamenti dei genitori.
Nel giorno passato a osservare i comportamenti dei genitori, i sospetti di Lyle crescono a dismisura e, dopo il ritorno del fratello minore alla dimora, i due si ritrovano bloccati a casa con i genitori che impediscono a entrambi di uscire.
Quando improvvisamente decidono di scendere nel seminterrato, i due fratelli, spaventati a morte, scelgono poco dopo di raggiungerli e, imbracciando i fucili, sparano loro.
Lyle sferra al padre sei colpi di fucile, mentre Erik ne spara dieci alla madre (di cui uno in faccia).
Dopo aver ucciso i genitori, i due non provano a scappare e non fanno subito finta di niente come si pensa spesso, anzi, restano seduti in corridoio per minuti aspettando l’arrivo della polizia, che però non si presenta.
Solo in quel momento si resero conto che avrebbero potuto evitare il carcere e uscirono di casa per liberarsi dei vestiti e delle armi, si cambiarono e andarono al cinema. Tornarono a casa quasi subito rendendosi conto che la loro disperazione e il loro stato di panico era troppo elevato per poterlo ignorare; fu in quel momento che – in preda alla disperazione – decisero di chiamare il 911 (qui potete ascoltare la chiamata).
Non parleremo del processo, del loro arresto, delle sentenze, né di come sono svolte le indagini. L’intento dell’articolo non è quello di scendere nei dettagli del caso, né tantomeno quello di prendere le parti di nessuno, bensì quello di far capire quanto molto spesso i confini del bene e del male possono essere sottilissimi.
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