Il 18 marzo, su Sky Atlantic e la piattaforma di streaming Now, è arrivato il primo prison drama italiano. Dimenticatevi di quelle narrazioni che assumono il punto di vista del condannato, ma godetevi quello del suo padrone e del modo con cui un carcere può essere governato. Luca Zingaretti è, infatti, “Il Re” negli otto episodi diretti da Giuseppe Gagliardi (la trilogia 1992, 1993 e 1994, Non uccidere).
La narrativa di genere è già una rarità nel nostro territorio, ma sta via via diventando un terreno fertile alla quale poter attecchire. La storia del Bel Paese è ricca di spunti e di verità e Sky ha cercato di creare una storia abbastanza realistica da poter restituire un racconto decisamente intrigante al suo pubblico. Del resto, nonostante sia il primo prison drama, questa serie si inserisce all’interno di un panorama fatto da serie televisive come: Gomorra e Suburra.
Zingaretti, dunque, si allontana dai soliti ruoli positivi alla quale ci ha abituato, vestendo i panni del Re del San Michele, un carcere la cui struttura è quella di un panopticon che ruota intorno a colui che regola la giustizia e allo stesso tempo diviene co-protagonista.
Bruno Testori è uno di quei caratteri fatto da contrasti netti, duri e forti. Luci e ombre che si mescolano e intersecano nelle decisioni che prende. Il San Michele è casa sua e nel momento in cui viene messo in pericolo lui è pronto a scendere a patti con l’oscurità e il male che lo abitano.
Il male è contagioso e va tenuto a mente mentre si fruisce di questa serie.
Le prime due puntate costituiscono un grande prologo all’interno della quale vediamo il nostro Re assumere diversi aspetti. Il suo è un lavoro difficile: in quanto direttore della prigione, è abituato a macchiarsi le mani, a sporcarsele per poter riuscire a mantenere il controllo del potere all’interno di quelle mura. Davanti all’antefatto che dà il via alla narrazione, Bruno Testori reagisce con straordinaria freddezza. Sangue calmo e nervi saldi così da poter trovare lui stesso il colpevole, del resto lui è oramai giudice, giuria e boia del San Michele. Se non addirittura un Dio.
Le sue regole e i suoi giudizi, però, sono costantemente messi alla prova dai personaggi femminili che gli ruotano intorno. Un re non è nessuno senza la sua corte e per potergli tenere testa, così da poter far emergere altri aspetti del suo carattere. L’ex moglie (Barbora Bobulova) e la figlia, ad esempio, sono utili alla narrazione per far emergere la sensibilità di Testori. Evocano la sua dolcezza, il suo garbo, le sue carezze e i suoi abbracci: in sostanza, l’uomo dietro il San Michele.
Sonia Massini (Isabella Ragonese), invece, sua sottoposta e Laura Lombardo (Anna Bonaiuto), il pubblico ministero nominato per indagare sulle vicende che si sono abbattute sul carcere, si contrappongono a lui sul campo lavorativo. Fanno emergere l’uomo la “divinità” che si erge sul carcere.
Nei primi due episodi, Sonia appare come una donna sta cercando la sua forza. Fa la guardia carceraria perché era il lavoro del padre, ma nello stato attuale delle cose vorrebbe avere di più. Vorrebbe cambiare le cose e gestirle in maniera diversa.
Il PM si muove come vero e proprio contraddittorio alle azioni di Testori, e alle scelte che prenderà in considerazione dall’omicidio in poi. Lei è la donna bendata con la propria bilancia tra le dita e che professa l’idea del: dura lex, sed lex – dura legge, ma legge.
I primi due episodi sono la base della caratterizzazione di grandi personaggi: è talmente tanto forte da poter incollare il pubblico allo schermo con tanta facilità. Tra realtà e finzione viene costruito un contesto realistico che è in grado di descrivere una realtà delicata per il nostro paese, legata a un determinato retaggio culturale.
Un prison drama che, dunque, prende la propria strada indipendente facendosi italiano, ma che allo stesso tempo risulta credibile nella costruzione del suo immaginario.
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