L’abilità dello scrittore sta nel saper narrare una storia al punto che il lettore finisce per affezionarsi ai personaggi citati nel libro e Brigitte Riebe non è da meno. Il 31 marzo è uscito il suo romanzo “Il tempo della speranza”, edito da Fazi Editore. Si tratta del terzo e ultimo libro della saga famigliare de “Le sorelle del Ku’damm”. Vediamo insieme perché questo capitolo finale ci ha colpite parecchio.
Come per “Una vita da ricostruire” e “Giorni Felici”, ci troviamo catapultate nella Berlino del dopoguerra, nel 1958. Se nei primi due romanzi della saga seguivamo prima la storia di Rike e dopo quella di Silvie, in questo volume scopriamo come prosegue la vita della più piccola di casa Thalheim, Florentine, chiamata comunemente Flori. Lei è sempre stata figlia meno “materiale”, quella più dedita all’arte e che cerca in tutti i modi di coronare il suo sogno della pittura. Malgrado il padre voglia per lei un futuro nell’azienda di famiglia, i Grandi Magazzini Thalheim, Flori non ci sta e si iscrive alla scuola d’arte. Lì incontra un professore dall’aria burbera che le farà mettere in discussione il sogno di una vita e non solo. Cos’è per lei la libertà? La nostra protagonista cerca di trovare il suo spazio nel mondo in una Berlino devastata dal secondo conflitto mondiale, divisa tra Ovest e Est fino alla costruzione di quel terribile muro che sancì la divisione del popolo tedesco. In uno scenario post bellico e decisamente non pacifico, quale sarà il destino di Flori e di tutta la sua famiglia?
Nei primi romanzi della saga abbiamo avuto la possibilità di conoscere le sorelle Thalheim e i loro caratteri, così diversi tra loro. Da una parte abbiamo Rike, l’imprenditrice, colei che voleva ridare colore a una Berlino provata dalla guerra ripartendo dall’azienda di famiglia, dall’altra abbiamo Silvie, più sognatrice e alla ricerca del vero amore, quello totalizzante e che è indispensabile nell’attività dei Grandi Magazzini perché ha la grande capacità di indovinare i gusti della gente. La più piccola e testarda è Flori, di ventiquattro anni. Per il suo carattere un po’ controcorrente, non si è mai sentita pienamente inserita nella famiglia. Mentre le due sorelle maggiori si davano da fare con l’attività nei grandi magazzini, Flori vuole per se stessa una storia diversa, fatta di pennelli e colore, senza lasciare indietro una passione che scoprirà di avere alla scuola d’arte: la fotografia. Il suo mondo non è tra le stoffe, ma tra le emozioni che riesce a catturare con la sua arte. Flori è forte, determinata, ma anche fragile nel suo amore per un uomo più grande che si prende gioco di lei. Eppure la sua abilità sta anche qui, nel saper tagliare i “rami secchi” e a cercare la sua strada, anche se il mondo sembra remarle contro. Non si lascia mettere i piedi in testa e anche quando vede una porta chiusa, è pronta a mostrare a tutti di che pasta è fatta, ottenendo ciò che ha sempre sognato, tanto da venire ammessa all’Accademia delle Belle Arti.
La Riebe riesce magistralmente a scrivere una storia familiare senza appesantire mai il racconto. Il modo di scrivere è fluido, frizzante ed è in grado di catturare continuamente l’attenzione del lettore. È impossibile non immedesimarsi nella giovane Flori, nella sua forza e, perché no, nelle sue fragilità. Lei è talmente armata di speranza che ha capito qual è la sua strada e nessuno può metterle i bastoni tra le ruote, neanche le persone più grandi che, all’apparenza, sembrano aver capito tutto dalla vita.
Mentre seguiamo le vicende della protagonista, la scrittrice delinea la storia di Berlino e la questione geopolitica dell’epoca. La città è divisa tra Est e Ovest, mentre le invettive politiche delle due propagande mettono i fratelli l’uno contro l’altro. Viene spiegato bene come la narrazione dell’Ovest fosse spietata nei confronti dell’Est, passando inevitabilmente per i drammi che porteranno all’erezione del muro che ha sancito la divisione finale della città. Ci racconta delle torture, dei soprusi e, infine, dell’eliminazione di coloro che provavano a fuggire verso la libertà. Non solo, l’autrice riesce a descrivere bene anche il processo di emancipazione femminile, con il padre di Flori che, ostinatamente, crede che il futuro della figlia sia nel prendersi cura dei propri cari in quanto donna, come per tutte le sorelle.
La famiglia è ancora devastata per la recente morte del fratello di Rike, Silvie e Flori: Oskar. Cosa è successo quella fatidica notte? Nessuno lo sa con precisione, ma una cosa è certa: ciò che caratterizza i Thalheim è il modo in cui i sotterfugi finiscono sempre per incrinare quei rapporti che, in quell’epoca più che mai, dovevano essere saldi. Se ci fosse un po’ più di sincerità, come sottolinea diverse volte Flori, la situazione sarebbe davvero migliore.Altro tema trattato con estrema delicatezza riguarda anche il rapporto tra suo cugino Gregor e il compagno Hotte. In una Berlino post guerra che vedeva la famiglia nell’unione uomo-donna, la Riebe riesce a raccontare il dolore di dover nascondere l’amore perché eticamente non accettato, da una comunità pronta a pugnalarti solo perché non comprende che due persone possano amarsi indipendentemente dal sesso.
Con
“Il tempo della speranza” si chiude un ciclo, ma la grande famiglia Thalheim – e
in particolare la giovane Flori – rimarrà sempre nei nostri cuori.
Che
aspettate quindi a leggere?
Nessun commento:
Posta un commento