Prima o poi smetterò di parlare di Beatles, ma oggi non è evidentemente arrivato il momento.
Ve lo dico in modo chiaro e conciso per non lasciare spazio al dubbio: se state qui ad aspettare il giorno in cui non li inserirò più in qualsiasi conversazione state freschi.
Amo quando qualcosa – una canzone, un quadro, un film o un libro – mi lascia libera interpretazione e cambia il suo significato in base al periodo che sto vivendo e in base a come la voglio leggere, ma allo stesso tempo, come ho già detto nell’articolo in cui ho parlato di Jean-Michel Basquiat, provo un amore spassionato per l’origine delle cose e quindi amo alla follia anche quando dietro alla mia personalissima interpretazione posso attingere alle spiegazioni dell’ideatore dell’opera in questione.
“Blackbird”, per quanto per qualche oscuro motivo che non ho ancora capito, è una delle canzoni che meno mi piacciono dei Beatles, è a parer mio uno degli esempi lampanti di quanto soggettiva può essere una canzone.
Scritta da Paul McCartney durante il ritiro di Meditazione Trascendentale del Maharishi a Rishikesh del 1968, “Blackbird” (trad. "Merlo") è l’undicesima canzone del White Album ed è divenuta nel corso degli anni una sorta di inno per le persone di colore in tutto il mondo; lo stesso Paul ha confermato in numerose occasioni che la canzone fu scritta per appoggiare le lotte e le manifestazioni per i diritti civili dei neri statunitensi nella prima metà del ’68. Tra l’altro la parola “bird” nel dialetto di Liverpool (chiamato anche “Scouse”) significa “ragazza”, e quindi il titolo può tranquillamente essere tradotto anche con “ragazza nera”.
Anche se fu ben accolta dal pubblico, comunque la canzone non fu di certo esente da scandali, anzi: insieme a “Revolution 1”, “Revolution 9” “Piggies”, “I Will”, “Honey Pie”, “Don't Pass Me By”, “Yer Blues”, “Sexy Sadie”, “Rocky Raccoon”, “Happiness Is A Warm Gun” e “Helter Skelter” inserite nello stesso album, il brano (che sarebbe dovuto essere un inno di pace e inclusione) fu di grande ispirazione per la Famiglia Manson e per il loro leader, il serial killer Charles Manson.
Quando si dice che il marcio sta negli occhi di chi guarda (in questo caso nelle orecchie di ascolta), penso proprio a questo.
“Blackbird singing in the dead of night
take these broken wings and learn to fly
all your life
you were only waiting for this moment to arise.
Blackbird singing in the dead of night
take these sunken eyes and learn to see
all your life
you were only waiting for this moment to be free
(Merlo che canti nella morte della notte
prendi queste ali spezzate e impara a volare
per tutta la tua vita tu stavi aspettando solo questo momento per alzarti.
Merlo che canti nella morte della notte
prendi questi occhi incavati e impara a vedere
per tutta la tua vita tu stavi aspettando solo questo momento per essere libero)”
Non per togliere niente al significato originale della canzone, per carità di Dio ci mancherebbe altro, però secondo voi il mio cervello (che ha la forma di una gigante insegna a neon con la scritta “McLennon” ed è accesa ventiquattro ore su ventiquattro) poteva non andare completamente nel pallone quando – spulciando tra alcuni dei significati dei nomi e cognomi che mi stanno più a cuore – ho scoperto che il cognome Lennon, proveniente dal gaelico Ó Leannáin e Ó Lionáin significa nella sua prima variante “amante” e nella sua seconda variante proprio “merlo”?
Vi giuro, vi giuro che io ci provo a non vedere le molteplici dichiarazioni d’amore che si sono fatti a vicenda nel corso degli anni, ma se poi vedo queste cose come dovrei fare? Mi viene naturale.
Potete anche credere che siano stati solo amici e mai amanti (anche se ci sono infinite prove del fatto che non sono mai stati solo quello), ma non potete negare il profondo affetto che li legava.
Yoko Ono, John Lennon e Paul McCartney, 1968 |
Inoltre il fidanzamento con Yoko Ono avvenuto nel 1966 circa, provocò a John – e non solo – non pochi danni: la donna, già dipendente dall’eroina, introdusse un John dichiaratamente fragile psicologicamente alla droga, e questo lo portò alla totale rovina.
Uscirà dalla sua dipendenza, certo, ma solo nel 1970, dopo lo scioglimento dei Beatles.
Il documentario “Get Back”, nonostante sia stato registrato nel gennaio del 1969, mostra molto bene e a tratti in modo molto crudo tutte queste dinamiche che vi abbiamo appena esposto: la distanza tra i due (e tra tutti i componenti del gruppo in generale), la presenza costante di Yoko accanto al fidanzato, la dipendenza (come dimenticarsi la magica scena in cui John dimenticatosi delle telecamere accese tira fuori dalla tasca del cappotto un tocco di eroina)…
E io, da persona che ha fatto della scrittura il loro lavoro e che esprime tutti i sentimenti che prova scrivendo, posso mai dirvi che delle altre persone che hanno fatto della scrittura il loro lavoro non esprimono i loro sentimenti attraverso quest’ultima? Ovviamente no.
John Lennon e Paul McCartney, 1968 |
Soprattutto perché poi i Beatles ce l’hanno dimostrato numerose volte, che non lasciavano mai niente al caso.
Per questo vi dico che Paulie oltre a scrivere una canzone sui diritti civili dei neri d’America, in fondo in fondo pensava anche a quel Johnny che si perdeva nell’eroina ogni giorno di più e che si allontanava da lui ogni giorno di più.
Era il suo modo di cullarlo, di dirgli che l’avrebbe superata perché aveva la forza di farlo e forse era anche il suo modo per stargli vicino, visto che ormai la crepa che si era aperta tra loro due stava diventando sempre di più un burrone.
Lo sapevano secondo voi che non si sarebbe mai più richiusa?
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