giovedì 17 marzo 2022

#Pensieri: Cambiamento

Marzo, o il periodo primaverile in generale, per me non è mai stato tempo di bilanci. Sono molto legata alle mie radici pagane e mi è sempre venuto spontaneo guardare al passato verso la fine di ottobre. Ma ieri sera, mentre ascoltavo l’audio di un mio amico, devo aver iniziato inconsciamente un processo di osservazione. Questo mio amico mi spiegava l’origine della parola “gennaio”.

gennàio (ant. gennaro) s. m. [lat. (mensis) Ianuarius, lat. tardo Ienuarius, consacrato a Ianus «Giano»]

-Treccani

Giano era il dio Romano degli inizi, colui che ha portato le leggi e la civiltà alle popolazioni attorno la città di Roma, prima ancora che fosse fondata. È il Dio protettore degli inizi e dei passaggi. Dimorava sul colle Gianicolo, che in latino vuol dire proprio: “luogo abitato da Giano”. È raffigurato con due volti: uno guarda avanti, l’altro guarda indietro e solo questa immagine può avere diversi significati. Può voler dire che prima di giudicare qualcosa o qualcuno bisogna vedere ogni punto di vista; vuol dire non dimenticarsi mai del proprio passato ogni volta che si punta al futuro; può anche voler dire che spesso cambiamo a seconda delle situazioni e/o delle persone che abbiamo di fronte. Per me vuol dire esattamente tutto questo. 

Negli ultimi due anni sono stata il Giudice di me stessa, affrontando ogni mio trauma e ogni senso di colpa. Molte delle mie meditazioni serali consistevano nell’immaginarmi in una sorta di processo, dove ero testimone, accusa, accusata, giudice e giuria. Sono stata larchetipo Bilancia che Silvia tanto mi sprona a essere. Mi sono condannata, ma solo per potermi mandare in appello fino al verdetto del perdono. Per poter arrivare a quell’obiettivo, ho dovuto vedere tutti i punti di vista, ho dovuto fare forza sul mio cambiamento, a quanto sono diversa dalla Frè di un mese fa, e anche a quella di anni fa. Mi sono resa conto che molti comportamenti erano dettati anche a seconda delle situazioni, e delle persone che ho conosciuto. Insomma, mi sono lasciata guidare dalle energie del dio Giano prima che venissi a conoscenza della sua esistenza, anche se inconsciamente - abitando a Roma – era più vivo che mai, e ha saputo come aiutarmi.     
Oggi ho avuto un momento in cui per la prima volta mi sono sul serio resa conto dell’ottenimento del perdono, senza dover attendere il verdetto del mio tribunale interiore. Ero davanti allo specchio, mi stavo truccando. La cassa bluetooth, pagata a poco prezzo grazie a Primark, era a tutto volume su una canzone di Marco Masini: “Raccontami di te”. Una canzone che ho sempre amato, e che quando ascoltavo da ragazzina – l’album omonimo è uscito nel 2000, quando avevo undici anni – sapevo che avrei capito sul serio solamente dopo i trent’anni. Un album che mi ha aiutata tantissimo durante la mia depressione, tanto che su Apollo Station, nella puntata dedicata all’amore, (potete ascoltarla cliccando qui) ho scelto di mandare in onda “Se potessi rinascere”, altra canzone lì presente.     
Ascoltare le canzoni di Marco, per me, non è mai facile. Le affronto come gli altri dovrebbero affrontare le mie risposte alle loro domande: “non chiedere, se non vuoi sapere la risposta”. Perché Masini è schietto, diretto. Non ti manda a dire nulla, proprio come me. Così ascoltare una sua canzone, spesso vuol dire autoflagellarmi. Vuol dire colpevolizzarmi per tutto, anche se in Ali di cera lui canta: “Non prenderti le colpe che non hai”, io, però, me le prendo tutte, eccome.     

Ma tornando a Raccontami di te: è una canzone dedicata a un vecchio amore che si ripresenta in età matura. Lei ora è sposata, è madre, e Marco vuole ascoltare i racconti di tutta una vita che hanno passato lontani. Ecco, come nella puntata sull’amore, io in quel momento di trucco allo specchio, l’ho dedicata a me stessa, perché credo non ci debba essere amore più grande di quello che diamo a noi stessi. Non vi riporterò tutti i versi, come faccio solitamente, ma solo quelli fondamentali per il senso dell’articolo.

Aiutami così almeno a non dimenticare
la vita che cos’è
raccontami, raccontami di te
di come riesci a respirare
questi giorni soffocati dalla solita allegria
vuoti a perdere sui prati che la gente butta via
questo tempo senza tempo
che non ci accarezza mai
dentro a un labirinto di cemento
questa fabbrica di eroi

Dietro allo specchio c’era la me ragazzina, terrorizzata dalla vita che aveva davanti, e col solo pensiero fisso di farla finita. Ascoltavo queste parole sperando esistesse una versione di me che fosse riuscita ad andare avanti, a diventare donna, a fare ciò che ama nella vita.
Nel momento presente, ho interrotto il trucco, mi sono messa seduta a terra e comprendendo di esserci riuscita, ho chiuso gli occhi. Ho ascoltato la canzone, guardando la Francesca delle medie e poi a quella del liceo. Le ho osservate, senza cadere nella trappola di giudicarle per gli errori commessi, o per non essere state abbastanza. Ho sorriso, e c’è stata una sorta di unione, perché tutte hanno capito che la sofferenza provata è stata necessaria per imparare ad amare la vita.

Teneramente forte come sei
insegnami a non vergognarmi mai
d’innamorarmi dell’amore.

Una delle frasi che più mi hanno lasciato spiazzata negli ultimi due anni è stata: “Io non sono forte come te”. Tante mie amiche l’hanno pronunciata, e mi ha sempre fatto un bene che non so spiegare. Non mi sono mai reputata forte, anzi. Dalla mia nascita a oggi, penso di aver più pianto che riso, come dice Jen di Dawson’s Creek: “La tristezza è la mia specialità”. Eppure le persone a me più vicine vedono la forza. Sanno perfettamente che non crollo, neanche quando cado. Forse è vero che ciò che non uccide fortifica.     
Ecco, la me adolescente sognava di possedere la forza tenera di chi ha sofferto e decide di non credere più alla sofferenza. Sognava di avere il coraggio d’innamorarsi dell’amore. E ora, che grido a pieni polmoni quanto io sia innamorata dell’amore, so che lei ne è totalmente orgogliosa. Soprattutto perché la sua più grande paura era quella di accontentarsi, di vivere in una relazione (d’amore o d’amicizia, non cambia) malata, solo per paura di rimanere da sola. La Francesca adolescente può tirare un sospiro di sollievo: non è mai accaduto.     
La vita mi ha messa alla prova più volte, e anche se ho peccato tantissimo di sentimentalismo, sono sempre arrivata al punto in cui da sola ho scelto di mettermi al primo posto. Non ho mai trascinato nessuna relazione, né ho mai elemosinato amore. Come una volta ha detto Silvia: “Io non devo conquistare l’amore di nessuno”. Ecco, la frase più vera in assoluto. Essere innamorata dell’amore vuol dire proprio questo: amare l’emozione, il sentimento, l’energia… senza aggrapparsi alla materia, a una persona in generale. Io sono l’unica persona che starà sempre con me, quella che non mi abbandonerà mai. Se proprio devo aggrapparmi a qualcuno, scelgo me stessa.

Raccontami di te, di come riesci a sopportare
questi eterni fallimenti di ogni splendida utopia
la processione dei rimpianti nel freddo dell’ipocrisia
questo vivere aspettando che qualcosa cambierà
in questo indifferente girotondo, oltre questa libertà

Vi assicuro che se avessi un euro per tutte le volte che mi sono sentita una fallita, o per tutte le volte che mi sono sentita di perdere contro la vita, ora starei scrivendo da un luogo caldo ed esotico dall’altra parte del pianeta. Ricordo ancora molto nitidamente come chiedevo aiuto: piangevo e tra le lacrime scrivevo sul primo pezzo di carta che trovavo disponibile: “Perché?”. Una domanda che in realtà ne racchiudeva centinaia. Perché deve sempre andare tutto male? Perché sono sempre io il problema? Perché per gli altri deve essere facile, mentre per me è sempre tutto complicato? E tantissime altre su questa lunghezza d’onda. Ora, ovviamente, riconosco che erano domande da vittima – ma avevo anche meno di sedici anni, ci sta – e che in realtà aspettavo la classica manna dal cielo. Vivevo letteralmente “aspettando che qualcosa cambierà”, non avevo ancora capito che io per prima avrei dovuto cambiare. Il girotondo mi riproponeva a intervalli più o meno regolari le stesse identiche situazioni, solo più dolorose. Sono dovuta scendere dalla giostra quando ancora era in movimento, mi ha fatto malissimo sì, ma è stato l’unico modo per prendere il comando della mia vita. Tutte quelle domande, ora hanno un’unica risposta: “Perché è necessario”. È stato necessario, è stato tutto necessario. Ogni situazione, ogni persona, ogni sbaglio, ogni dolore. Tutto quanto mi ha portata a oggi, a guardarmi allo specchio soddisfatta della persona che sono.

Perdutamente bella come sei da questo sogno non svegliarti mai
lo sai quanto ti voglio bene.
La tua felicità è un treno in corsa verso il mare
Tu vivila per me, amore mio, raccontami di te

Ora, finalmente, non vivo più aspettando che qualcosa cambierà. Ora sono padrona di quel treno che mi porta esattamente dove voglio andare, ora sto vivendo la vita che volevo vivere quando ero una ragazzina che aveva il terrore di parlare e dire la sua.
Ed essere arrivata alla conclusione che mi è stato tutto necessario, aver ascoltato la canzone per quattro minuti, a occhi chiusi, senza sentirmi in colpa per niente e senza giudicare la persona che sono stata… beh, è la conferma del fatto che il verdetto è arrivato. Ora mi sono perdonata.

Nessun commento:

Posta un commento