Quando nella sala cinematografica, il 10 gennaio del 2019 arrivò “Non ci resta che il crimine”, film di Massimiliano Bruno, il pubblico si divise a metà. Da una parte chi lo amò e dall’altra chi invece lo ritenette quasi un insulto alla cinematografia.
Chi ha ragione?
Ovviamente tutti e nessuno!
Una pellicola come questa, in genere, va capita e per tale ragione non sempre riesce a cogliere il gusto del pubblico in maniera eterogenea. Quando, infatti, si è davanti a una storia che intreccia in sé diversi generi, allora bisogna riuscire a riconoscerli tutti e a coglierne i differenti aspetti.
Siamo davanti, senza alcun dubbio, a una commedia. L’obiettivo, quindi, potrebbe sembrare quello di far ridere. Ma molto spesso, il pubblico si è abituato e assuefatto a quelle commedie che in realtà sfiorano il paradosso e si muovono verso il comico. Comicità e commedia sono due cose diverse. La prima spinge il pubblico alla risata, talvolta in modo anche semplice e banale; mentre la seconda spinge a un sorriso con annessa riflessione catartica su ciò che si è appena finito di vedere.
Massimiliano Bruno, infatti, all’interno della sua storia crea un mix di fantascienza, commedia e gangster movie. Una ricetta tutta italiana e uno sguardo che è di gran lunga diverso da ciò che è stato realizzato finora dal cinema italiano.
Per Sebastiano, Moreno e Giuseppe – rispettivamente Alessandro Gassman, Marco Giallini e Gianmarco Tognazzi – l’arte dell’arrangiarsi è uno stile di vita, tanto da inventare modi sempre più creativi per “fare i soldi con la pala”. Nel pieno centro di Roma, dotati di Ray-Ban Carrera, parrucca, jeans a zampa, giubbotti di pelle e pistole “made in china”, decidono di organizzare un “Tour Criminale” alla scoperta dei luoghi bazzicati dalla banda della Magliana. Sono dei veri esperti di quel periodo, perché appartiene alla loro infanzia. A causa di uno strano scherzo del destino, vengono trasportati nei gloriosi giorni del Mondiale di Spagna. Si ritrovano, così, faccia a faccia con Renatino (Edoardo Leo) – il capo della banda – che in quell’epoca gestiva le scommesse clandestine sul calcio.
Tramite i ricordi sedimentati nella loro memoria, il fatto di esser tornati indietro nel tempo sembra palesare davanti ai loro occhi una ghiotta opportunità. Possono fare i giusti investimenti, le giuste scommesse calcistiche, così da potersi lasciare alle spalle la mediocrità delle loro vite.
I tre divertenti protagonisti sembrano fare le veci de “il buono, il brutto e il cattivo” e molte battute del film sembrano proprio sottolineare questi aspetti nella loro caratterizzazione. Ciò serve alla narrazione come stimolo per poter riuscire a raccontare quelle differenti caratteristiche che si rifanno ai generi presenti in questo racconto. Il ritorno al western e al modo di fare film di Sergio Leone, basato però sulla semplice caratterizzazione del singolo personaggio, aiuta a concretizzare ancor di più questi archetipi narrativi.
Sebastiano è lo “scemo buono”, quello che si adegua allo status quo cercando di “tirare avanti” al meglio. Vediamo come anche nel secondo capitolo della saga lui è costretto a scendere a patti con le decisioni prese dagli altri membri della band.
Nei momenti in cui Giuseppe è senza parrucca viene sottolineato quanto sia brutto, ma allo stesso tempo lui rappresenta quello pavido del gruppo. Sono rarissime le volte in cui è in grado di tirar fuori il proprio carattere, ma allo stesso tempo è quello al quale viene dedicato più margine di crescita all’interno di tutti e tre i film.
Moreno con la sua tempra da carogna solitaria è il cattivo dei tre. Il bulletto del gruppo, un po’ com’era anche da ragazzino, che non è in grado di tenersi stretta la propria famiglia e i propri legami.
L’82 farà crescere, attraverso i vari espedienti narrativi, loro adulti più di quanto non sia avvenuto realmente a loro ragazzini. La storia, così come in realtà fa un po’ tutta la saga, sottolinea l’importanza dell’unione. I protagonisti, infatti, si rendono conto di quanto importante sia il legame tra loro e ciò finirà col rafforzare, inevitabilmente, la loro amicizia.
Il titolo del film, infine, scimmiotta il film “Non ci resta che piangere” di Troisi e Benigni. E le similitudini tra i personaggi dei due film si nota anche nel loro percorso di crescita, anche se non vi anticipiamo nulla sulla fine di questa storia. Un percorso che spingerà Sebastiano a non accontentarsi più, mentre Giuseppe imparerà ad ascoltare la sua voce interiore e infine Moreno verrà a patti con i suoi stessi errori.
Come abbiamo già detto, però, abbiamo una commistione di generi. Quindi non possiamo non sottolineare quanto questo non sarebbe un gangster movie senza il cattivo e la sua donna: Renatino, e Sabrina (Ilenia Pastorelli). Lui perfettamente calato nella parte, esplode di rabbia e gelosia nei momenti più opportuni, creando un cattivo in grado di far sorridere sia per la sua credibilità che per i paradossi che spezzano il ritmo delle sue azioni. Le espressioni di Edoardo Leo imbruttito, del resto, danno un qualcosa in più alla comicità della pellicola.
Ilenia Pastorelli, invece, è una perfetta Fujiko, una femme fatale che con il corpo riesce a manipolare gli uomini a proprio piacimento, ma che cambierà comprendendo quanto potere abbia e quando non debba dipendere da un uomo per poterlo esercitare.
La storia non scende nello storico e i fatti citati vengono romanzati se non addirittura modificati dalla presenza stessa dei tre protagonisti. Il continuo spazio-temporale viene completamente sovvertito da ogni singola variabile introdotta dai vari attanti in campo aprendosi a numerose possibilità.
Costumi, musiche, fotografia e inquadrature sono tecnicamente studiati, con meticolosa attenzione, per poter restituire un preciso clima al pubblico. La ristrettezza del campo sulle espressioni degli attori influisce al film un sapore tipico del cinema di una volta. Attenta, inoltre, è stata l’analisi fatta su ogni singolo personaggio, sul loro modo di porsi, o sui vestiti che indossano; confezionando delle maschere sartoriali sulle loro personalità. Le citazioni e i vari richiami alla cultura pop e rock conferiscono alla pellicola la capacità di catapultare anche chi non ha vissuto gli Anni '80 in quello stesso ambiente.
Ecco le ragioni per cui questa pellicola, seppur non perfetta e magari con qualche lacuna, rientra nei nostri MustTo.
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