Hotel Portofino è una delle nuove serie tv di Sky, disponibile in streaming su Now. Sul canale del servizio sono andate in onda le prime due puntate lo scorso 28 febbraio, ma l'intero period drama si compone di sei episodi dalla durata ciascuno di cinquanta minuti circa.
Lo spettatore viene catapultato all'interno della Liguria nel periodo post prima guerra mondiale, durante gli anni di ascesa al potere di Benito Mussolini; in un hotel costruito e gestito da inglesi per inglesi o per persone che conoscono la lingua. È il 1926 circa, e gli eventi della narrazione si muovono tra una stereotipata ricostruzione storica e situazioni prevedibilmente paradossali. Una mini-serie che ha dunque il sapore della soap opera.
Lo spettatore viene catapultato all'interno della Liguria nel periodo post prima guerra mondiale, durante gli anni di ascesa al potere di Benito Mussolini; in un hotel costruito e gestito da inglesi per inglesi o per persone che conoscono la lingua. È il 1926 circa, e gli eventi della narrazione si muovono tra una stereotipata ricostruzione storica e situazioni prevedibilmente paradossali. Una mini-serie che ha dunque il sapore della soap opera.
Quelle che viviamo, insieme ai protagonisti, sono le tre settimane di permanenza all’interno dello stabile appena aperto. Ma i caratteri che si muovono nella narrazione risultano essere così tanto stereotipati e inglesi da evidenziare lo sforzo di metter in luce una decadente borghesia. Abbiamo tutti gli elementi che potrebbero mettere in risalto la drammaticità degli eventi post-conflitto mondiale, ma il tutto è trattato con una tale superficialità che esiste il rischio di perdersi in un bicchier d'acqua. Vengono, così, raccolti i cocci di quelle persone reduci dalla guerra, che in un certo senso dovrebbero ricercare la loro seconda occasione, ma che in realtà non riescono a scollarsi dal loro scoglio. Si solidifica, così, la parvenza di una nobiltà che è sempre più perduta e che mostra solo il suo sfarzo e ostenta una più forte povertà sentimentale.
La prima puntata, infatti, funge un po’ preludio a ciò che il pubblico ha modo di vedere durante l'intera narrazione, nei suoi cinquanta minuti circa presenta tutti i personaggi che occuperanno le stanze durante le tre settimane di permanenza. L’intreccio della trama, dunque, può aver inizio nel momento in cui tutti gli ospiti hanno disfatto i loro bagagli, ma già dai primi istanti ci si può rendere conto della superficialità che permea la loro rappresentazione. Il tutto resta fermo e cristallizzato sotto i raggi solari italiani, non andando oltre a ciò che i vari incontri mettono effettivamente in moto.
Hotel Portofino è gestito da Bella Ainsworth (Natascha McElhone), una donna in cerca della sua seconda occasione. Lo stabile rappresenta la possibilità di nuovo inizio, ma lei sembra fin troppo scialba per riuscire ad avere quelle giuste caratteristiche da manager. Sembra più la classica padrona di casa, un po' svampita e un po' bohémien, tanto che l'unica cosa che le interessa è muovere la sensibilità dei figli. Il marito, al contrario, è un Lord (Mark Umbers) un po' meno nobile d'animo di quando non sia lei. Un uomo che ha preferito i soldi all’amore e che adesso li sperpera senza averne un reale controllo, spingendo persino il figlio a replicare quanto fatto da lui: sposarsi per interesse.
Il più delle volte, dunque, assistiamo al modo con cui la donna cerca di barcamenarsi davanti ai vari problemi che le si pongono nei quali, però, resta attonita e sbigottita in attesa che qualcuno venga a salvarla. Il suo modo di affrontare gli eventi crea un vero e proprio distacco col pubblico che osserva le vicende. I suoi consigli sono molto situazionali e, spesso, finiscono con l’essere tanto paradossali da creare amicizie e simpatie surreali. Persino davanti alle minacce di stampo mafioso/fascista il suo modo di agire resta sempre sul filo del rasoio finendo, poi, col fare affidamento sulle persone meno adatte al suo caso.
Nonostante si stia guardando un drama e il più delle volte si parli di amore e di matrimonio, in realtà, non vi è quasi per niente la presenza di cuori infranti o di momenti sentimentali tensivi. Il tutto è fin troppo spento e quindi non è in grado di suscitare una quale emozione nell’audience. Non è possibile affezionarsi a nessuno dei personaggi, anche perché succedono molte cose senza che vi sia il giusto investimento sentimentale.
Ci si perde, dunque, nei dettagli: prosecco e limoncello diventano i simboli dell’italianità ligure; e il socialismo misto a comunismo diviene pretesto per poter narrare e inserire l'argomento "discriminazione delle minoranze". Un modo per aggiungere elementi socio-culturali in una narrazione che altrimenti risulterebbe scialba e priva di una reale contestualizzazione.
L’Hotel Portofino, senza considerare l'ambiente esterno all'hotel, sembrerebbe una specie di bolla infrangibile nella quale accadono eventi fini a se stessi. L’hotel rappresenta un po’ l’opulenza dei suoi stessi ospiti. Una finta borghesia decaduta e decadente che prova a stimolare la narrazione, ma che ne esce decisamente sconfitta nella sua rappresentazione.
L’Hotel Portofino, senza considerare l'ambiente esterno all'hotel, sembrerebbe una specie di bolla infrangibile nella quale accadono eventi fini a se stessi. L’hotel rappresenta un po’ l’opulenza dei suoi stessi ospiti. Una finta borghesia decaduta e decadente che prova a stimolare la narrazione, ma che ne esce decisamente sconfitta nella sua rappresentazione.
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