Ascoltando il brano e traducendolo quando avevo tredici anni, mi è venuta in mente questa storia, che è quindi soltanto una mia personale interpretazione della quale detengo ogni diritto.
“Are you going to be in my dreams tonight?”
Dei suoi trip da LSD,
Agatha ricorda ormai molto poco, giusto che le scene si succedevano ogni volta
che cambiavano i pensieri. Era stato proprio George una volta a suggerirle di
iniziare a meditare subito dopo aver preso la pasticca, in modo tale che
potesse iniziare il suo viaggio interiore senza problemi creati dalla mente.
Ascoltò quel consiglio, e in effetti si rivelò estremamente saggio, ebbe la
prima esperienza tranquilla, senza sensi che si confondevano tra loro e senza
preoccupazioni che prepotenti la rimproveravano.
Mai come in quegli ultimi mesi, però, è grata per il consiglio di George. La
meditazione l’ha aiutata tantissimo ad accettare il processo della morte lenta
del suo corpo. Il più delle volte medita la mattina, quando è da sola e quando
è più incline ad andare nel passato. Non che abbia rimpianti, ma vuole godersi
tutto della vita, anche il momento della sua morte. Paul le ha detto che una
delle fortune di George è stata proprio questa, privilegio che invece non ha
potuto avere John.
John.
Chissà se ci sarà lui ad attenderla. Di nuovo, torna a concentrarsi sulla luce
bianca immaginata al centro della testa. Non deve vagare neanche nel futuro,
per quanto assurdo possa sembrare, pensare all’aldilà per lei è davvero il
futuro immediato.
Apre gli occhi, oggi non si sente in vena neanche di meditare. Guarda fuori
dalla finestra, il cielo è bianco, probabilmente nevicherà. Non sa che giorno
è, ma sa che è quasi Natale, perché Halloween è passato da un bel po’.
Lucrezia, l’infermiera di origine italiana del giorno, le aveva raccontato
della sua festa in costume, e di come si fosse sentita un pesce fuori
dall’acqua, perché in Italia la gente non è così fredda come a Londra, e come
darle torto?
Guarda l’orologio, le 11:45, Ora Lucrezia è in cucina per preparare un pranzo
che Agatha non finirà. Quanto le dispiace, cucina benissimo, eppure ormai
proprio non riesce a mandare giù niente. Le infermiere lo sanno, e non cercano
più di incoraggiarla. Solitamente le accarezzano i capelli e le dicono: “Almeno
avrai più fame domani”.
Alle 12:00 esatte, Lucrezia entra in stanza con il vassoio. Cammina lentamente,
per non far cadere la zuppa dentro il piatto. Posa il tutto sul tavolino vicino
al letto e aiuta Agatha a tirarsi su. La avvicina al piatto, e come sempre dopo
due cucchiai, Agatha getta la spugna.
«Non preoccuparti.» le fa l’italiana, e poi le dà un bacio sulla fronte.
Agatha, da buona inglese, non è mai stata amante del contatto fisico, ma questa
volta le fa un grande bene. «Ora riposati.»
L’infermiera le fa i soliti passaggi: controlla che sia asciutta e le fa dei massaggi
per evitare le piaghe da decubito. Mezz’oretta dopo, Agatha è di nuovo sola,
chiude gli occhi e si addormenta.
Agatha chiude la porta
della stanza di Stuart.
«Vi ho cercati ovunque!»
John si volta, scuro in volto, almeno così le pare, visto che l’unica luce
proviene dai lampioni fuori. Agatha ha timore di chiedere cosa sia successo,
anche se lo può immaginare. Sono mesi che la loro amicizia è diventata un
ostacolo, come se un enorme masso si fosse piantato lì in mezzo e non volesse
saperne di spostarsi.
«Dimmi cosa provi per me, e cosa provi per lui.»
Agatha guarda in direzione di Paul, che sembra essere rassegnato. Poi torna a
guardare John. Ringrazia se stessa per aver bevuto così tanta birra a quella
festa. Non arriverà mai il momento in cui sarà pronta per ammetterlo, tanto
vale farlo adesso.
«Sono innamorata. Di entrambi.» un momento di pausa, dove i tre respiri si
fanno pesanti, ma si uniscono in sincrono. «E non mi potete chiedere di
scegliere, perché tanto non lo farò.» “Perché tanto so che anche per voi è
così.” Avrebbe voluto dire, ma sarebbe un azzardo che non ha il coraggio di
compiere.
«Credo sia meglio uscire da qui, godiamoci la festa, oppure no, domani ne
riparleremo con più calma…» Paul non può reagire come vorrebbe, la paura è
tanta. Vorrebbe stringere Agatha tra le braccia, dirle che è ricambiata e che
sa cosa prova, perché anche lui non può scegliere.
Sogni e ricordi si mescolano, ma quella voce interrompe qualsiasi cosa fosse stata. Eppure Agatha è così stanca, ancora non vuole svegliarsi.
«No. Ne parleremo qui,
ora.»
«Ha ragione Paul, meglio se ne parliamo domani, anzi, meglio se non ne parliamo
mai più.»
«Cosa vuoi dire?»
«Voglio dire, Paul, che è inutile parlare di qualcosa che non volete affrontare
voi per primi. Io sono stata sincera, e voi? Cosa provate per me, e cosa
provate tra di voi?»
«Non è la stessa cosa…» John guarda Agatha con sicurezza.
«Ah, no? Perché non vi state tormentando da mesi su un amore impossibile? Su un
amore che avreste voglia di gridare al mondo, non perché vi freghi qualcosa di
sbandierarlo, ma perché sperate che il mondo vi ignori?»
Quel silenzio è solo l’ammissione muta dei due alle parole della ragazza.
«Appunto. Non mi prendo il ruolo della stronza, della donna puttana che non
vuole scegliere tra due persone, così che possiate scaricarvi la coscienza, e
possiate tornare alla vostra musica. Per cosa, poi? Fare finta di essere solo
amici? Sapete cosa? Io posso abbandonare questa stanza, scendere giù e
cominciare a ignorarvi. Vi dimenticherete di me tra due, tre anni massimo. Ma
voi? Voi starete sempre insieme. Voi non potrete ignorarvi, perché siete qui
per fare musica, insieme, voi…»
Le parole di Agatha sono veramente dure, ma John ha notato solo una cosa: la
sua sicurezza nel loro futuro così incerto. Lei non ha mai avuto dubbi sul
gruppo musicale, sul vivere di suonando, e soprattutto sulla collaborazione
Lennon-McCartney. È per questa sicurezza che lei gli ha dato, se si volta verso
Paul e comincia a baciarlo.
«Devi aspettarlo.»
“Perché? Tanto non verrà.” Risponde Agatha alla voce.
I tre sono in silenzio,
muti. Sanno che c’è bisogno di parlare, ma non sanno come intraprendere il
discorso. Non sono andati a scuola, così casa di Paul è totalmente a loro
disposizione. Accade fin troppo spesso, in realtà, ma oggi la mancanza di note
suonate e cantate, crea un’atmosfera tesa, quasi cupa.
Forse non è stata una buona idea incontrarsi, ma abitando nella stessa città e
avendo una band insieme, sarebbe stato inevitabile.
«Quello che è successo sabato sera, e poi ieri…» Agatha si blocca. Si morde le
labbra, ancora gonfie e leggermente doloranti. Le manca la pelle su quasi tutto
il labbro inferiore per i morsi che si è fatta dare da John e Paul.
«Vogliamo dimenticarlo?» chiede John.
«Tu vuoi farlo?» Incalza Paul.
I due si guardano senza parlare, lo sguardo fisso, danno l’idea di due gatti
che si sfidano per il territorio. Solo che non esiste alcun territorio da
conquistare.
“Love you/Love you/Love you/Love you…”
«Ti amo.»
Agatha apre lentamente gli occhi, la stanza è ancora offuscata dalla vista che
tarda nel mettere a fuoco oggetti e persone. Sente una mano stringere la sua,
poi nota la figura accanto al letto.
«Paul?»
Lui annuisce, passandole gli occhiali da vista.
«Quando ti ho sentita al telefono, tre giorni fa, mi sei sembrata distante. Poi
hai saltato una chiamata, il giorno dopo, e ho avuto paura, sai, come con John…
non ti perdo improvvisamente, chiaro? Sono qui, e resto qui. A ripeterti che ti
ho amata dal primo giorno che ti ho vista e non ho mai smesso…» Agatha sorride, stringe più che può la mano
di Paul. «Ti amo anch’io.»
Pochi secondi di
silenzio. In quei secondi di silenzio, Agatha ripercorre la sua prima volta con
John e Paul, quel sabato appena passato.
Non credeva che John avesse sul serio il coraggio di baciare Paul, né che Paul
ricambiasse senza alcuna esitazione. Era rimasta a guardarli, come estasiata,
come quando li vede suonare. Quando loro si sono staccati, lei è come tornata
in sé.
John ha una paura fottuta, da adesso cambia ogni cosa nella sua vita. È così
anche per Paul, rimasto fermo immobile, chiedendosi cosa gli fosse passato per
il cervello per ricambiare quel gesto.
«Va tutto bene, ragazzi.» Agatha spinge la scrivania verso la porta, in modo da
bloccarla per eventuali disturbatori. Non vuole interruzioni, sa quanto sono
scossi, ed effettivamente è un po’ colpa sua.
Quando ha finito, si siede sulla scrivania, cercando di mettere in ordine le
idee. Cosa può dire? Cosa può fare? Ma in realtà è frastornata, vorrebbe
rivedere un altro bacio, vorrebbe partecipare a un altro bacio.
Paul si volta verso Agatha, la vede più bella, se fosse possibile. Quando si
avvicina a lei, Agatha sorride, non opponendo alcuna resistenza alla camicetta
che viene sbottonata. Paul le scopre il petto, baciandole il seno destro,
mentre il sinistro è tutto per John.
Non è la prima volta di nessuno dei tre, eppure le sensazioni sono del tutto
sconosciute, perché esplorano sfumature dell’amore occulte.
Sono pochi i momenti in cui si riprende, ma in tutti, Paul è sempre presente. A volte è sdraiato accanto a lei, altre è seduto sulla poltrona, perché ha fatto avvicinare i figli, o i nipoti di Agatha. Lei non ha più la sensazione del tempo che scorre, forse per questa sera neanche le porteranno la cena, probabilmente tutti sanno che per lei non ci sarà più una nuova alba.
John le mette la mano
sotto la gonna, poi le sposta le mutande e le infila due dita dentro la vagina
bagnata. Agatha si lascia andare, avanza di poco e manda la schiena indietro,
appoggiandola alla porta. La testa sbatte contro il legno, ma il cervello non
deve aver mandato nessun impulso di dolore al corpo, troppo preso
dall’eccitazione del momento.
Paul la bacia sul collo, per poi spostarsi dietro John. Gli alza la maglietta,
gli bacia la schiena. John rallenta i movimenti delle dita, per godersi,
invece, quelle sensazioni del tutto nuove. Agatha apre gli occhi, non vuole
perdersi nulla. Dalla sua posizione può solo vedere il volto di John, gli occhi
che fanno fatica a chiudersi e far sì che lui si lasci andare del tutto. Così
lo aiuta, si avvicina alle sue labbra, le bacia, le morde, cerca la sua lingua.
Gli sbottona i pantaloni, per toccare il suo pene, ma trova già la mano di
Paul.
«Hey Gathie, ti stavo
aspettando!»
Agatha si guarda prima le sue mani, hanno la pelle liscia e le unghie tutte
mangiate, come quando aveva quindici anni. Alza lo sguardo verso quella voce
che le stava dicendo di aspettare ancora un po’, e vede John, proprio come lo
aveva conosciuto. Gli va incontro, e lo abbraccia. Può sentire la sua pelle, il
suo corpo, il suo profumo, tutto il suo essere.
«È bello rivederti.» Appoggia la testa sul suo petto.
«Per me è bello riabbracciarti.» Risponde
John.
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