Vi abbiamo già parlato di Assassinio sull’Oriente Express, oggi vogliamo addentrarci all’interno del secondo capitolo - presente adesso nelle sale italiane - dei film tratti dai libri di Agatha Christie: Assassinio sul Nilo.
La conclusione del primo film, infatti, ci fa immediatamente comprendere come la basi per il secondo film fossero già poste. Poirot è stato chiamato per risolvere un omicidio in Egitto, anche se all’inizio del nuovo capitolo non ci è dato realmente sapere a che caso ci si riferisca. Specialmente perché, quando la narrazione parte, abbiamo modo di vedere Hercule seguire diverse vicende all’interno dello stesso crimine.
Senza addentrarci troppo all’interno della trama, per evitare di far spoiler e di risolvervi il caso prima ancora che lo faccia l’investigatore, vogliamo solo dirvi che questa volta le indagini sono ben più complesse e ben più intrecciate e intricate. Il movente è pressoché scritto e intuibile, di certo non siamo davanti a un caso dalla complessa risoluzione, ma è comunque interessante vedere il ragionamento di Poirot e i momenti della sua fallacia.
Quello che Kenneth Branagh cerca di fare, e in questo film appare ancor più evidente, è il provare a metter a nudo la fallacia nella logica deduttiva dell’investigatore. Vuole mostrarci l’uomo, come segue i suoi indizi e come espone la sua emotività. Ovviamente non si è inventato niente, ma il concedersi nel raccontare certi punti, certi istanti, ci fa capire quello che è l’intento narrativo. Poirot è un personaggio che fa della logica la propria arma, lui è tutto cervello e poca azione. Tutta deduzione e poco sentimento e, infatti, fallisce quando i sentimenti hanno la meglio perché non ha assoluta gestione degli stessi.
Il tempo di narrazione di ogni singolo personaggio e di ogni singolo antefatto è decisamente prolisso. Più lento di quanto non fosse nel primo volume della saga, ma forse perché la storia è ben più sentimentalmente intricata.
Ragione e sentimento, dunque, trovano il loro scontro sul fiume Nilo. Vendetta, gelosia, amore e ragione si scontrano mietendo vittime. Un numero sconsiderato che non dovrebbe neanche essere così cospicuo se solo le rotelle di Poirot si attivassero meglio.
Il cast è impeccabile, sono tutti attori noti al grande pubblico che riescono perfettamente a incarnare le caratteristiche dei loro personaggi. Caratteri che, come se stessimo giocando a Cluedo, non sono altro che maschere di vizi e virtù umane e che, moralmente, vengono giustiziati da chi si erge a giudice, giuria e boia.
Determinati passaggi di camera, certi movimenti, alcune riprese, specialmente le soggettive, sono servi e al servizio dello spettatore. Sono l’arma di deduzione che il pubblico ha per poter comprendere ciò che sta avvenendo, tanto che sono gli indizi che effettivamente vengono forniti.
In sostanza siamo davanti a una pellicola che di certo non si distacca dal libro, racconta una storia e intrattiene attraverso la vicenda. Kenneth Branagh non aggiunge altro, ma un po’ ce lo eravamo già detti col precedente articolo. Un film godibile, che non aggiunge nulla alla lettura del libro di Agatha Christie. Se si vuole vedere il talento registico di Kenneth la cosa migliore è guardare Belfast.
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