Nella diatriba genitoriale sul “mettere i nostri figli davanti a uno schermo”, arriva prepotentemente M3GAN: un sofisticato giocattolo che si sostituisce, in tutto e per tutto, a una figura quasi genitoriale; così che il robot possa vegliare sui figli quando i genitori sono presi da impegni più importanti.
La storia di questo robot si inserisce perfettamente all’interno del genere slasher, rimaneggiandolo e ridicolizzandolo tanto da crearne quasi una parodia. Un horror, dunque, che però fa ridere tra un omicidio e l’altro, riuscendo a divertire il pubblico in sala per le scelte più disparate che sono state portate in scena. Funziona? Beh… sì. Anche perché questo androide si inserisce e gioca con tutta una nuova gamma di paure più o meno recentemente evolute, giocando dunque con il parere del suo stesso pubblico.
La collaborazione tra la Blumhouse di Jason Blum e l’Atomic Monster di James Wan riesce a creare una pellicola che unisce in sé diverse caratteristiche e citazioni. È quasi impossibile non vedere al suo interno storie come The Boy o Chucky: giocattoli che prendono consapevolezza di sé stessi e si ribellano al proprio creatore. Vi è anche un po’ di “Io, Robot”, ma così come tutto quel filone di narrazioni appartenenti al Techno-Horror che sviscerano il latente terrore nelle nuove tecnologie. Del resto, noi siamo molto amanti della serie tv Westworld e l’idea che una macchina possa sviluppare consapevolezza di sé, quindi una coscienza, tale da non renderla diversa da un essere umano è qualcosa che affascina. È pur vero che, in questo caso, lo sviluppo di una coscienza assume tratti possessivi e maniacali, ma anche in questo caso non vediamo molte differenze rispetto a molti aspetti delle relazioni umane.
Del resto, M3GAN si colloca all’interno della storia come un surrogato alla genitorialità. Un giocattolo talmente tanto sofisticato da spingere il suo possessore a isolarsi emotivamente, tanto da creare con essa un vero e proprio legame primario. Cady (Violet McGraw), successivamente a un incidente in auto, perde i suoi genitori e viene affidata alla sorella della madre, Gemma (Allison Williams). Lei, totalmente presa dal suo lavoro e dal lancio di un nuovo prodotto sul mercato, non ha il tempo per potersi prendere cura di una ragazzina. Nonostante, infatti, sia quello il volere della sorella, l’esser madre non le si addice e, per tanto, continua l’idea di sviluppare un giocattolo che possa riuscire nel compito primario di “prendersi cura di Cady”. Inutile dire, o sottolineare, quanto questo intento le si rivolterà contro, non ci sarebbe stato nessun film di cui parlare se le cose fossero andate come sperato. M3GAN, complice anche un cortocircuito, diventa ossessiva nel suo compito sostituendosi pian piano alla figura genitoriale che sarebbe dovuta diventare la stessa Gemma. Così facendo il robot, nel nome della protezione nei riguardi di Cady, commette diversi omicidi.
Nel cercare di riprendere il controllo sul proprio ruolo genitoriale, visto anche lo sviluppo emotivo della stessa Cady, Gemma si ritroverà a dover affrontare la propria creazione. Frankenstein che lotta contro il proprio mostro cercando di risolvere ciò che lei stessa ha creato, perché lo sviluppo di questa nuova coscienza è deleterio e pericoloso. Spegnere l’androide non sarà di certo facile, ma non vi diciamo come il tutto verrà risolto, anche perché si vocifera l’idea di un sequel.
In ogni caso, questa è una storia che ci spinge ad alcune riflessioni: quanto oggi giorno i genitori hanno tempo da dedicare ai loro figli e quanto la nuova tecnologia viene ancora demonizzata. Il fatto che M3GAN prenda vita in una visione negativa e pessimistica dell’azione, ci fa render conto di quanto il dibattito pubblico effettivamente sia alimentato dai classici timori dovuti all’ignoranza sull’argomento. I pc, i tablet, i nuovi giochi sono tutti dei portali verso nuovi mondi di cui non si hanno ancora ben chiare le regole. Giochi potenzialmente pericolosi perché catturano l’attenzione ad alti livelli e, forse, con un maggior grado di consapevolezza essi potrebbero essere luoghi un po’ più sani in cui passare semplicemente il tempo e non attaccarsi emotivamente. I genitori dovrebbero essere sempre presenti e non lasciare che un surrogato faccia il lavoro al posto loro, ma non è semplice dire o agire secondo questo principio. Siamo in una società sempre più alienante nella quale è difficile distinguere il tangibile dal virtuale, specie se si mettono in ballo i sentimenti. Gemma, infatti, nel corso del film, comprende il suo nuovo ruolo, viene a patti con esso quando è un po’ troppo tardi e la bambina ha già sviluppato degli atteggiamenti di attaccamento ossessivo nei riguardi della nuova bambola. Cady, dal canto suo, confessa i propri sentimenti, le proprie paure, i propri ricordi al robot, non riuscendo a colmare la distanza che la zia stessa ha posto tra di loro. Una comunicazione fallimentare che prende vita tramite le azioni dell’androide.
Non è un horror quello diretto da Gerard Johnstone, ma una commedia slasher che si prende gioco del suo pubblico e del genere stesso. È quasi divertente pensare che M3GAN possa essere anche un sostituto più avanzato di diversi transfert emotivi. Una tecnologia che potrebbe prendere benissimo il posto delle bambole re-born nate con l’iniziale scopo di superare momenti traumatici per alcune donne.
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