sabato 28 gennaio 2023

#DivinaCommedia: Canto XXI

Torna il nostro appuntamento con la Divina Commedia. Oggi analizziamo il ventunesimo canto dell’Inferno, trovando anime di peccatori quali i barattieri e i diavoli loro custodi. La baratteria, nel Medioevo come oggi, era molto diffusa, tant’è che Dante la associa all’intera città di Lucca.  

In questo canto, però, non avremo modo di scavare nel profondo di tale peccato, perché saremo più concentrati sulla figura dei diavoli, sul loro scopo e su come si servano sempre e solo dell’astuzia e dell’ipocrisia.  

Al solito vi ricordiamo che analizziamo il canto solo ed esclusivamente dal punto di vista esoterico, comparandolo con quello che è stato ed è il nostro cammino spirituale.
Questi articoli, insomma, servono solo come spunti di riflessione su se stessi, dove ogni protagonista che incontriamo è una parte di noi. 

Così di ponte in ponte, altro parlando
che la mia comedìa cantar non cura,
venimmo; e tenavamo ‘l colmo, quando

restammo per veder l’altra fessura
di Malebolge e li altri pianti vani;
e vidila mrabilmente oscura.

Quale ne l’arzanà de’ Viniziani
bolle l’inverno la tenace pece
a rimpalmare i legni lor non sani,

ché navicar non ponno – in quella vece
chi fa suo legno novo e chi ristoppa
le coste a quel che più vïaggi fece;

chi ribatte da proda e chi da poppa;
altri fa remi e altri volge sarte;
chi terzeruolo e artimon rintoppa -:

tal, non per foco ma per divin’arte,
bollia là giuso una pegola spessa,
che ‘nviscava la ripa d’ogne parte.

I’ vedea lei, ma non vedëa in essa
mai che le bolle che ‘l bollor levava,
e gonfiar tutta, e riseder compressa.

Dante, al solito, ci descrive cosa sta vedendo, anche se in questo caso deve per forza fare affidamento su una metafora, perché poco viene catturato alla sua vista: dal ponte, la bolgia appare totalmente nera, oscura. Non vi è alcuna anima e in superficie arrivano solo delle bolle, per la pece che ferve. A Dante tutto ciò ricorda l’arsenale di Venezia, quando nei mesi invernale gli uomini sono costretti a calafatare le navi, utilizzando la pece stessa, toppando falle e  favorendo l’impermeabilità.

La pece, per la sua consistenza e l’operato che dà, diviene quindi simbolo di imbrogli, intrecci e decisioni che vengono prese di nascosto, proprio perché prive del tutto di onestà e purezza.
Ricordiamo anche che l’acqua può essere considerato un simbolo di purificazione e l’insensibilità della stessa ci indica come chi commette il peccato che andremo presto a vedere, sia poco incline alla natura leale.

Mentr’ io là giù fisicamente mirava,
lo duca mio, dicendo «Guarda, guarda!»,
mi trasse a sé dal loco dov’io stava.

Allor mi volsi come l’uom cui tarda
di veder quel che li convien fuggire
e cui paura sùbita sgagliarda,

che, per veder, non indugia ‘l partire:
e vidi dietro a noi un diavol nero
correndo su per lo scoglio venire.

Ahi quant’elli era ne l’aspetto fero!
e quanto mi parea ne l’atto acerbo,
con l’ali aperte e sovra i piè leggero!

L’omero suo, ch’era aguto e superbo,
carcava un peccator con ambo l’anche
e quei tenea de’ pié ghermito ‘l nerbo.

Del nostro ponte disse: «O Malebranche,
ecco un de li anzïan di Santa Zita!
Mettetel sotto, ch’i’ torno per anche

a quella terra, che n’è ben fornita:
ogn’uom v’è barattier, fuor che Bonturo;
del no, per li denar, vi si fa ita».

Come successo dal canto XVIII in poi, qui le anime raramente vengono riconosciute o accettano di prendere parola. Vi ricordiamo che stiamo osservando i peccati più vergognosi, ma che per ironia della sorte sono proprio quelli che appartengono a tutti noi e che neghiamo con più insistenza. Ricordate? Ci rifiutiamo di crederci ruffiani, seduttori, fraudolenti, simoniaci o con la mente perennemente ancorata al passato e/o al futuro. Eppure sono peccati che commettiamo quotidianamente, più volte al giorno.

Dalla descrizione vediamo un grosso demone che porta il dannato direttamente dal mondo dei vivi a quello dei morti, e lo lancia verso la pece bollente. Dal discorso del diavolo stesso capiamo che l’anima viene da Lucca, città strapiena di barattieri: persone che grazie alla loro importante posizione (politica o di uffici pubblici) tramano nell’oscurità per i propri tornaconti o per prestare favori in cambio di averne degli altri. Non si interessano del bene sociale, preferendo accrescere solo il proprio status e di conseguenza aumentando il proprio potere.

È ovvio, ci sono venuti in mente molti nomi di adesso, ma siamo proprio sicuri non riguardi anche noi? Siamo proprio sicuri che non favoreggiamo in alcun modo amici e parenti nella vita di tutti i giorni? Siamo davvero certi di non utilizzare preferenze solo per un atto di estremo egoismo? Per farci vedere bravi, belli e buoni? Per ricevere altrettanto?

Dante non fa il nome dell’anima che sta cadendo nell’oscurità, ma secondo alcuni storici sarebbe Martino Bottaio, lucchese, che faceva parte del collegio degli anziani: gruppo di dieci magistrati che governavano Lucca. Secondo diverse fonti morì proprio il 9 aprile 1300, giorno in cui ci troviamo al momento.

Là giù ‘l buttò, e per lo scoglio duro
si volse; e mai non fu mastino sciolto
con tanta fretta a seguitar lo furo.

Quel s’attuffò, e tornò su convolto;
ma i demon che del ponte avean coperchio,
gridar: «Qui non ha loco il Santo Volto!

qui si nuota altrimenti che nel Serchio!
Però, se tu non vuo’ di nostri graffi,
non far sopra la pegola soverchio».

Poi l’addentar con più di cento raffi,
disse: «Coverto convien che qui balli,
sì che, se puoi, nascosamente accaffi».

Non altrimenti i cuoci a’ lor vassalli
fanno attuffare in mezzo la caldaia
la carne con li uncin, perché non galli.

Sempre dal discorso che il diavolo fa alla nuova anima dannata sulle regole da seguire in questo luogo, Dante capisce il perché non vede altri peccatori: se provano a riemergere dalla pece, gli altri diavoli lì presenti saranno ben lieti di colpire i barattieri con i loro uncini affilati.

Troviamo diverse metafore – non stiamo qui a spiegarle perché, ripetiamo, non ci interessa analizzare il canto da un punto di vista didattico – a significare proprio la difficoltà di Dante stesso nel descrivere ciò che ha di fronte.
E in effetti, non è quello che capita anche a noi, quando cerchiamo di giustificare il nostro comportamento da barattieri? “È normale che io favorisca chi conosco, mi sembra un’esagerazione considerarlo peccato.” Ci siamo detti più o meno la stessa cosa, ma al solito, non vogliamo condannare noi stessi, meno che mai voi che leggete, bisogna solo prestare attenzione su comportamenti che reputiamo onesti ma che non lo sono affatto.

Lo buon maestro «Acciò che non si paia
che tu ci sia», mi disse, «giù t’acquatta
dopo uno scheggio, ch’alcun shcermo t’aia;

e per nulla offension che mi sia fatta,
non temer tu, ch’i’ ho le cose conte,
per ch’altra volta fui a tal baratta».

Poscia passò di là dal co del ponte;
e com’el giunse in su la ripa sesta,
mestier li fu d’aver sicura fronte.

Con quel furore e con quella tempesta
ch’escono i cani a dosso al poverello
che di sùbito chiede ove s’arresta,

usciron quei di sotto al ponticello,
e volser contra lui tutt’i runcigli;
ma el gridò: «Nessun di voi sia fello!

Innanzi che l’uncin vostro mi pigli,
traggasi avante l’un di voi che m’oda,
e poi d’arruncigliarmi si consigli».

Tutti gridaron: «Vada Malacoda!»;
per ch’un si mosse – e li altri stetter fermi –
E venne a lui dicendo: «Che li approda?».

«Credi tu, Malacoda, qui vedermi
esser venuto», disse ‘l mio maestro,
«sicuro già da tutti vostri schermi,

sanza voler divino e fato destro?
Lascian’andar, ché nel cielo è voluto
ch’i’ mostri altrui questo cammin silvestro».

Virgilio consiglia a Dante di nascondersi in un luogo adatto, andrà lui a parlare con i diavoli per cercare di capire come poter procedere. Dante è preoccupato e spaventato, ma la Guida gli ricorda che non è la prima volta che scende all’Inferno e che sa come parlare ai demoni.
Arriva Malacoda – più avanti vedremo i significati di ogni nome – e Virgilio gli comunica che il volere di Dio è proprio quello che i due proseguano e che quindi ognuno di loro è costretto ad assecondarlo.
I demoni, infatti, altro non sono che angeli, creature maestose create da Dio, che hanno deciso di seguire Lucifero nella sua caduta negli Inferi. Anche se “della sponda opposta”, devono comunque seguire il Suo volere.

Attenzione, però, perché i demoni rimangono comunque demoni: astuti ingannatori e grazie a questo espediente Dante può mostrarci la facilità con cui i nostri Ego riescono a mentirci spudoratamente. Nel prossimo canto ci offrirà anche il modo per passare oltre, ma per adesso osserviamo con attenzione il suo lavoro subdolo…

Allor li fu l’orgoglio sì caduto,
ch’e’ si lasciò cascar l’uncino a’ piedi,
e disse a li altri: «Omai non sia feruto».

E ‘l duca mio a me: «O tu che siedi
tra li scheggion del ponte quatto quatto,
sicuramente omai a me ti riedi».

Per ch’io mi mossi e a lui venni ratto;
e i diavoli si fecer tutti avanti,
sì ch’io temetti ch’ei tenesser patto;

così vid’io già temer li fanti
ch’uscivan patteggiati di Caprona,
veggendo sé tra nemici cotanti.

I’ m’accostai con tutta la persona
lungo ‘l mio duca, e non torceva li occhi
da la sembianza lor ch’era non buona.

Ei chinavan li raffi e «Vuo’ che ‘l tocchi»,
diceva l’un con l’altro, «in sul groppone?».
E rispondien: «Sì, fa che gliel’accocchi».

Ma quel demonio che tenea sermone
col duca mio, si volse tutto presto
e disse: «Posa, posa, Scarmiglione!».

Malacoda sembra acconsentire alle parole di Virgilio, che prontamente consente a Dante di uscire dal proprio nascondiglio, pur rimanendo titubante. Gli altri demoni, vedendo una figura insicura e intimorita, ringhiano verso la sua persona e la minacciano, acquietandosi solo sotto l’ordine di Malacoda, come se fosse un loro ufficiale.

È da notare, ancora una volta, come all’Ego piaccia farsi spazio tra le piaghe della nostra sfiducia e non vale solo per quello personale, bensì anche per gli altri. Vi sarà infatti capitato di litigare con qualcuno che ha saputo toccare esattamente i vostri tasti più dolenti.
È quando l’Ego vede una piega che attacca, sbrana, ci soffoca, ci graffia, ci fa credere che non possiamo alzare la testa… e anche quando sembra tutto calmo è sempre lì, in attesa di prendere il comando.

Ancora, non spaventatevi: vi assicuriamo che nel prossimo canto avremo la soluzione a tutto.

Poi disse a noi: «Più oltre andar per questo
iscoglio non si può, però che giace
tutto spezzato al fondo l’arco sesto.

E se l’andare avante pur vi piace,
andatevene su per questa grotta;
presso è un altro scoglio che via face.

Ier, più oltre cinqu’ore che quest’otta,
mille dugento con sessanta sei
anni compié che qui la via fu rotta.

Io mando verso là di questi miei
a riguardar s’alcun se ne sciorina;
gite con lor, che non saranno rei».

Malacoda comincia ad attuare il suo piano. Come ogni mentitore sa che per farsi credere la sua bugia deve essere intinta con una buona dose di verità; comunica così ai due Poeti che dalla crocifissione di Cristo – Dante, come molti all’epoca, era convinto fosse morto a trentaquattro anni – il grande terremoto che ha colpito la Terra, descritto da Matteo 27, 51-52, ha distrutto l’altra parte del ponte, e quindi si è impossibilitati a procedere attraverso di esso. Malacoda li rincuora confermando che c’è un’altra possibilità di cammino, e incarica alcuni demoni di fare loro da scorta.

«Tra’ti avante, Alichino, e Calcabrina»,
cominciò elli a dire, «e tu, Cagnazzo;
e Barbariccia guidi la decina.

Libicocco vegn’oltre e Draghignazzo,
Cirïatto sannuto e Graffiacane
e Fanfarello e Rubicante pazzo.

Cercate ‘ntorno le boglienti pane;
costor sian salvi infino a l’altro scheggio
che tutto intero va sovra le tane».

Proviamo adesso ad analizzare insieme il nome dei demoni che accompagneranno Dante e Virgilio verso la bolgia successiva, che non a caso è dedicata agli ipocriti:

- Alichino viene dal francese Hellequin, ed era un personaggio popolare dedito a commettere i più gravi dei misfatti. Molto probabilmente è l’antenato della maschera di Arlecchino, che se vogliamo utilizzare un termine alla “Supernatural” o legato alla mitologia, può essere definito trickster (possiamo tradurlo come imbroglione, truffatore);

- Calcabrina potrebbe significare letteralmente “calpestare la brina”. La brina è simbolo della Grazia Divina, quindi è un demone che simboleggia la corruzione d’animo;

- Cagnazzo è semplicemente il dispregiativo di “cane”, a indicare un demone molto più bestiale e impulsivo degli altri;

- Barbariccia potrebbe essere un nome abbastanza simbolico: all’epoca la barba arricciata era simbolo di fraudolenza, in quanto le persone per bene erano soliti radersi e lasciarsi il volto pulito;

- Libicocco è l’unione di due venti: il libeccio e lo scirocco, a dimostrazione di un demone veloce sia nei movimenti, sia nella sua aggressività;

- Draghignazzo riprende il termine di “grande drago”;

- Cirïattosannuto deriva dal greco chóiros, che vuol dire: “porco”. Il suo diminutivo “atto” lo fa diventare un dispregiativo;

- Graffiacane è il nome dal significato più lampante, in quanto questi demoni hanno il compito di graffiare i dannati che osano tornare in superficie alla ricerca di un po’ di sollievo;

- Farfarello potrebbe derivare o dal francese “farfadet”, o dal toscano “farfanicchio”, in entrambi i casi il significato da attribuirgli è quello di folletto. Abbiamo già visto nell’articolo dedicato al dolore come queste creature possano essere orribili e crudeli;

- Rubicante pazzo potrebbe derivare da “rubor”, “il rosseggiante”, facendoci comprendere come potesse essere carico di ira.

I nomi non ispirano di certo fiducia, e in effetti vedremo come Dante tendi a non credere ai loro buoni propositi.

«Omè, maestro, che è quel ch’i’ veggio?»,
diss’io, «deh, sanza scorta andianci soli,
se tu sa’ ir; ch’i’ per me non la cheggio.

Se tu se’ sì accorto come suoli,
non vedi tu ch’e’ digrignan li denti
e con le ciglia ne minaccian duoli?».

Ed elli a me: «Non vo’ che tu paventi;
lasciali digrignar pur a lor senno,
ch’e’ fanno ciò per li lessi dolenti».

Per l’argine sinistro volta dienno;
mai prima avea ciascun la lingua stretta
coi denti, verso lor duca, per cenno;

ed elli avea del cul fatto trombetta.

Dante, come accennato, è davvero poco fiducioso nei loro confronti perché tutto: dal loro aspetto, dal modo in cui si stanno comportando, da come digrignano i denti e soprattutto dal loro sguardo è indice di come stiano macchinando qualcosa.

Il buon vecchio Dante ci mostra come il corpo abbia un suo linguaggio che va ben oltre alle parole dette. Piccolo consiglio dal team di 4Muses: non credete mai alle parole, ma a come queste vengono dette.

Virgilio, comunque, lo rassicura ancora, dicendogli che i demoni non hanno nulla contro loro due, ma si comportano così per le anime che hanno in affidamento.

Dante conclude il Canto con una nota di comicità volgare quanto popolare, perché il segnale che i demoni si danno, sì, esatto, la “trombetta”, è indice della loro poca elevatezza intellettiva.

Se questo canto risulta scarno di significato esoterico è perché è una vera e propria introduzione, il bello – e il lato più divertente – arriverà sicuramente dopo... Non perdetevi quindi l’appuntamento con il canto XXII il mese prossimo.

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