La cinematografia di Guillermo Del Toro è entrata a far parte dell’immaginario collettivo di generazioni d’ogni età. Il regista messicano ha da sempre avuto la capacità di intrattenere un pubblico eterogeneo, riuscendo a usare un linguaggio adatto fin dalla più tenera età. Le sue favole dark, infatti, riescono a entrare nel cuore di molti e a parlare di tematiche importanti con un’assoluta leggerezza che però lascia spazio al rischio e alla durezza. Usando il mondo creato da Carlo Collodi, reinterpreta per Netflix un classico della letteratura per ragazzi riuscendo ad affrontare la tematica della perdita.
Pinocchio lo conosciamo tutti: una fiaba che cerca di porsi come monito per i ragazzi, ma anche come sprone sul raggiungimento dei propri obiettivi (e sì, stiamo trattando la storia di Collodi con estrema superficialità in questa sede). Del Toro sposta l’attenzione su tale tematica cercando di trattare non solo il dolore di un padre, ma soprattutto un contesto crudo costruito sul background storico che è stato dato all’intera storia. Siamo nell’Italia a cavallo tra il primo dopo guerra e l’inizio del regime fascista, un territorio dilaniato dalla fame e da un contesto sociale segnato dal dolore. Geppetto, a causa di un bombardamento, perde il figlio Carlo, la sua unica fonte di vita. La perdita è tale da spingerlo a lasciarsi andare in compagnia dei fondi di bottiglia. Una notte, perdendo totalmente il controllo sulle proprie emozioni, abbatte l’albero che copre la tomba del figlio e con quel legno intaglia e incide quello che diverrà Pinocchio. La magia scende in campo donando la vita a quel pezzo di legno, lo scopo è quello di colmare la pena di un padre con un figlio sul quale poter riversare il proprio amore.
La storia ha delle pieghe diverse da ciò che anche la Disney ha dato modo di conoscere al pubblico internazionale. Numerose sono state le rappresentazioni che nel corso del tempo hanno riportato in vita questa storia, persino sulla piattaforma di streaming della casa di Topolino è possibile vedere la versione Live Action della loro versione di questa storia. Forse, però, in nessuna delle rappresentazioni fatte finora vi è così forte presenza del contesto sociale. Se alcuni di voi conoscono la discografia di Edoardo Bennato, vi sarà possibile cogliere alcune similitudini con i testi dell’album “Burattino senza fili”, disco interamente dedicato alla storia di Collodi e alle sue molteplici letture. In particolare, in Del Toro non troviamo il paese dei Balocchi, ma al contrario possiamo vedere gli orrori nell’osservare un bambino che imbraccia un fucile per “giocare alla guerra”.
“Buffoni e burattini, la guerra non la faranno mai”, cantava Bennato e lo stesso porta in scena il nostro amato Guillermo. I giovani Balilla, infatti, la fanno da padrone: Lucignolo è figlio di un generale fascista che vuol approfittare dell’immortalità di Pinocchio per poterlo rendere un’arma del regime. I due ragazzi vengono messi l’uno contro l’altro in un’assurda versione di ruba bandiera nella quale gli uni possono sparare agli altri con dei fucili a vernice. La pace non è ammessa, la morte è l’unica via d’uscita. Un’eventualità fin troppo reale, se si pensa ai risvolti di molti paesi, nei quali i bambini non giocano normalmente, ma difendono la propria terra. Non è di certo la prima volta che il regista usa questa tematica all’interno dei propri film, basti pensare a “Il labirinto del Fauno”, o “La spina del diavolo”, ma anche il più contestualizzato “Hellboy”.
La durezza della guerra, però, viene comunque alleggerita dalle avventure che Pinocchio stesso vive. Non abbiamo il grande, grosso e giuggiolone Mangiafuoco, al contrario, il compito del “cattivo” è totalmente affidato al Conte Volpe. Il gestore del circo costruisce interamente uno spettacolo intorno alle abilità del vivente burattino. Uno show che verrà messo in scena per lo stesso Mussolini. Le musiche, i balli, e la stessa animazione contribuiscono all’intercettare anche un pubblico più giovane con il quale poter dialogare.
La perdita, il dolore, i toni cupi sono accentuati anche dalla caratterizzazione fisica dei personaggi: le rughe segnate, le espressioni grevi, la tristezza e la severità che emano gli adulti, sono in netto contrasto con la morbidezza del design dello stesso burattino. Pinocchio è un’anima innocente che ancora deve scoprire il mondo per poterne capire la sua reale oscurità. Un bimbo che cerca di dare tutto per poter salvare il padre, una bontà incontaminata che non conosce pregiudizio. Non vuol diventare un bimbo vero, ma vuole solo bene al suo Babbo.
La storia di Del Toro colpisce le sfere emotive del pubblico su diversi punti. Stringe la bocca dello stomaco, l’attanaglia con una grande tristezza, e commuove con il suo racconto spingendo l'animazione in stop motion su un nuovo livello.
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