Che di Knives Out se ne voglia fare una saga di successo è ormai chiaro. Netflix ha, difatti, strappato dalle mani del suo principale competitor questa produzione per poter cercare di creare il suo universo giallo (a ben dire considerato l’enorme successo del primo capitolo). Rian Johnson, nel creare la seconda storia sul detective Blanc, voleva cercare di ridurre al minimo il riferimento con ciò che aveva già realizzato. Si voleva, quindi, quasi azzerare l’effetto Poirot così da poter continuare con la critica sociale che era stata già intavolata. Glass Onion, dopo un primo e rapido approdo alla sala cinematografica, è arrivato sulla piattaforma di streaming e ha raccolto pareri piuttosto discordanti da parte della critica.
Del resto, la satira non sempre piace… soprattutto quanto questa si prende molto gioco del suo pubblico.
La chiave di lettura di Glass Onion risiede, infatti, nella sua natura disvelatrice: è tutto sotto gli occhi del pubblico che, però, guarderà distrattamente il film e per tanto non avrà modo di rendersi conto dell’opulenza. Per quanto Johnson abbia provato a distaccarsi dal primo caso risolto dal commissario, gli elementi in comune sono ben presenti e facili da rintracciare. Dall’autunno del New England ci spostiamo al caldo sole greco, in un tempo post-pandemia in cui ancora sono ben presenti le mascherine e le cause della reclusione domestica. Benoit Blanc (Daniel Craig) è totalmente annoiato, privo di stimoli, trascorre tutto il suo tempo all’interno della propria vasca da bagno giocando ad Among us, un passatempo comune ai più durante gli anni che abbiamo appena trascorso. Quando, infatti, gli si presenta l’occasione di partecipare a una cena con delitto organizzata da un ricco genio informatico, non può lasciar scappare la possibilità di metter in moto il proprio ragionamento.
La ricezione dell’invito mette in moto la narrazione, così uno a uno i protagonisti di questa cena con delitto si ritrovano sul molo diretti sull’isola di Miles Bron (Edward Norton). L’uomo è così egocentrico da sembrare l’incrocio scemo tra Mark Zuckerberg, Jeff Bezos ed Elon Mask; la sua caratterizzazione e i suoi dialoghi mettono immediatamente in luce tutto il suo individualismo. Del resto, come abbiamo già detto, è tutto sotto gli occhi del pubblico, bisogna solo prestare la giusta attenzione per poter capire che ogni singolo personaggio è quasi una parodia a una qualche categoria esistente. Abbiamo gli influencer, le modelle in decadenza, i ladri di idee, personalità che criticano la nuova “riccanza” di questo secolo; esattamente come Knives Out criticava la media borghesia di qualche decennio fa. Duke (Dave Bautista) è lo streamer misogino che continua a farsi lavare le mutande da mamma; Claire (Katheryn Hahn) è la politica corrotta; Whiskey (Madelyn Claire) una modella un po' fuori di testa che per poter cavalcare l’onda della fama appoggia le idee misogine di Duke; Birdie (Kate Hudson), stilista in cerca d'autore più la sua assistente Peg (Jessica Henwick). Infine, chiudono il cerchio dei possibili sospettati il socio del miliardario, Lionel (Leslie Odom Jr.) e la ex e indesiderata socia Andi (Janelle Monae), che tra tutti sembra quella col segreto più grosso.
Il caso messo in scena, però, viene risolto con fin troppa rapidità dal detective, quindi le reali indagini iniziano quando il morto scappa per davvero. Gli elementi più classici del giallo sono tutti inseriti in un quadro ben definito, una consapevolezza che ha chi ama davvero questo genere, esattamente come il regista. Ma il tutto viene rapidamente ribaltato per cercare di distrarre anche lo spettatore che non sta facendo altro, oltre al guardare lo schermo. Come dicevamo, infatti, Johnson gioca con la consapevolezza del fatto che lo spettatore di oggi è distratto e vive costantemente spinto da continui input provenienti dagli schermi del cellulare. Critica, in un certo senso, il proprio pubblico attraverso il giallo e attraverso le caratteristiche dei suoi personaggi.
Glass Onion è un gioco stupido, per giocatori stupidi. Un film che basa tutta la sua narrazione su ciò che è palese, ma che però è considerato nascosto da quegli individui così pieni di sé da considerarsi migliori rispetto alla media. Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, esattamente come non c’è peggior stupido di chi si crede intelligente. La distrazione, quindi, come se fosse un gioco di prestigio, la fa da padrone e guida il successo di questa satira.
P.S. L'omonima canzone dei Beatles è stata inserita nei titoli di coda!
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