a questo mondo si starebbe tutti meglio"
(Dargen D'Amico, V V)
Domande. Solo domande. Altre domande. Domande su domande. Una mole tremenda di punti interrogativi seppelliscono il mio essere facendolo sprofondare nel nulla più relativo. E da qui parte la filosofia in genere e la filosofia del niente.
???: "Come stai?"
???: "Ti interessa davvero?"
"Chiedi e ti sarà dato"
(Matteo, 7,7-11)
Ma spero di poter chiedere senza usare il punto di domanda alla fine.
???: "Posso avere...?"
???: "Voglio avere...!"
Ed è così che mi accorgo che la punteggiatura crea problemi. Il punto interrogativo è schizofrenico. Il punto esclamativo è narcisista.
???: "Questo è il motivo per cui nessuno ti chiede come stai: dici la verità".
E poi ci sono quei punti di domanda subdoli, manipolativi come certi silenzi.
Quei punti di domanda che cercano la conferma di una menzogna, la rassicurazione su una bugia che ad ambe le parti conviene tenere in piedi.
E allora chiedo al destino già il mio copione. Avanti, fato, dimmi cosa devo dire e cosa non devo dire davanti ai punti di domanda.
Dammi il copione da dover recitare, sarebbe più semplice, sarebbe più comodo.
Ogni giorno potrei svegliarmi e trovare davanti gli occhi un foglio di carta con tutte le parole da dire e con la dovuta punteggiatura. Conterei i punti interrogativi delle domande, ma ancora più importante conterei i punti interrogativi delle risposte.
Una maieutica infinita verso un ciclo eterno di rimandi.
Si crea il dubbio, il nodo inestricabile di una risposta che non può essere data.
Violenza alla fine della frase, violenza nel tono di voce nel porre quella domanda che diventa interrogatorio.
Quanti drammi possiamo costruire con un segno di punteggiatura? Quanti drammi possiamo costruire con un segno di punteggiatura...
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