Ovviamente lui ha parlato così in riferimento alla sua relazione con Jane Asher, ma l’autrice si è presa la libertà di andare oltre.
Attenzione: il titolo del film è puramente inventato dall’autrice.
Un cinema, nulla di più. Perché mai un cinema dovrebbe essere un
problema? Il buio. Le poltrone. L’atmosfera fumosa, l’aria mai cambiata,
tutto è fatto per entrare con piacere in un’altra realtà, a meno che il
film non sia noioso, in quel caso l’attenzione può spostarsi su altro.
Un brivido lungo la schiena. No. Non è così che funziona. Lui
è un ragazzo, e dovrebbe pensare alle ragazze. E in effetti lo fa, ne
ha avute già un po’. Forse è merito della musica, o dell’essere mancino e
riuscire a suonare lo stesso la chitarra, chissà. Fatto sta che ha
quindici anni e già ha avuto le sue esperienze con il gentil sesso. E
gli è piaciuto. Oh sì, gli è decisamente piaciuto.
E allora
perché avverte una fitta allo stomaco, una specie di solletico ai reni e
ha il battito accelerato quando pensa che andrà al cinema con John?
Fossero solo questi i problemi, ma deve ammettere a se stesso, perché
non potrebbe mai farlo con nessun altro, che non riesce più ad
addormentarsi facilmente come prima. Fissa il muro e ripensa a tutte le
volte in cui John l’ha guardato, come l’ha guardato. Può giurare persino
che l’altro trovi ogni pretesto per parlargli e il tono che usa con lui
non l’ha mai sentito con nessuno.
“E anche se fosse?” Si
dice accelerando il passo in direzione del cinema. Muove la testa, come
per scrollarsi qualcosa di dosso, ma non sa neanche lui cosa. Un’idea?
Un’illusione? Una speranza?
Qualsiasi cosa faccia, però, non
gli riesce perché la mente torna alle battutine degli altri, presi
dallo schernire John perché tratta Paul come un nuovo capo: con lui non
alza mai la voce, non gli dà ordini, passa il tempo ad ascoltarlo,
nonostante Paul parli veramente tanto. Eppure a John non danno fastidio
quelle prese in giro, anzi. Sorride, e lui può giurare che lo guarda
anche più intensamente, come se in realtà aspettasse una sua reazione.
Solo che lui rimane fermo, inerme, immobile. Sa che prova qualcosa, ma
non può e non vuole definire il tipo di sentimento che sta nascendo.
John, invece, è più libero. Paul scommette che se cominciasse a
urlare per le vie di Liverpool che a lui piacciono gli uomini, nessuno
avrebbe molto da dire. Forse commenterebbero con: “Tipico di Lennon”,
senza prenderlo troppo sul serio.
John studia ogni dettaglio attorno a lui: quattro coppie innamorate, un gruppo di cinque amiche che confabula e ride poco distante, un uomo di mezza età con un mazzo di rose in mano, sicuramente in attesa del suo primo appuntamento con una che non rivedrà mai più, almeno spera per lei: quale persona sana di mente decide di presentarsi al cinema con un mazzo di fiori?
Non è su di loro che deve concentrarsi, comunque. Paul potrebbe arrivare a momenti e lui vuole godersi l’attimo in cui lo vedrà apparire. Si appoggia al muro, fissando alla sua destra.
Ha calcolato tutto: l’appuntamento è per lo spettacolo delle sei di sera, la prima sala proietta il film che andranno a vedere: “Quel che sappiamo del V.” un titolo criptico, per un film definito d’azione intriso di mistero.
Gli altri ne hanno parlato a lungo e John ha fatto in modo di non andarlo mai a vedere, inventandosi scuse su scuse, speranzoso che neanche Paul si accodasse a loro. Quando sono rimasti effettivamente gli unici due a non averlo visto, John ha preso la palla al balzo, buttando il tutto con leggerezza, tanto che nessun’altro oltre a Paul ha sentito l’invito, evitando così che il piano andasse in fumo in caso qualcuno di loro fosse desideroso di rivedere la pellicola una seconda volta.
Lo vede arrivare e in un gesto veloce butta la sigaretta a terra. Non si è tolto gli occhiali e spera lui lo noti. Anche Paul ha le mani dentro le tasche, anche se indossa un cappotto pesante e lungo. Il passo è veloce, ma dannatamente sensuale. È come se saltasse sull’asfalto, come se i suoi piedi non posassero mai veramente a terra. Gli sembra un angelo, o comunque una creatura non di questo mondo. Gli sorride, passandosi la lingua sulle labbra quando nota che Paul si è accorto di lui.
Paul sorride e John sente stringersi la gola. Ama quel sorriso.
«Potevi vestirti più pesante, sai, è inverno e stiamo a Liverpool.»
«Ci penserò la prossima volta, mammina.»
John fa l’occhiolino a Paul ed entrambi entrano di corsa al cinema, il loro trucchetto per non pagare l’ingresso inizia ufficialmente: devono andare verso i bagni per entrare in sala da una porta riservata solo agli addetti ai lavori che il signor Konwell, colui che si occupa degli spettacoli serali durante la settimana, lascia sempre aperta. Konwell è convinto che se non ammette a se stesso di stare invecchiando, allora il corpo si manterrà giovane. L’orgoglio gli ha imposto quindi di rinunciare a portarsi dietro il mazzo di chiavi che non capirà mai quale appartiene a cosa.
Il calare della vista, comunque, è il problema minimo per un cinema che cade a pezzi, nonostante abbia le sale sempre strapiene.
«Hey, mettiamoci nell’ultima fila.» John passa davanti Paul, la sua non è una domanda.
«Perché?»
«Ho dimenticato il finto biglietto a casa e Konwell non controlla mai oltre metà sala, è pigro, o ha le ossa rotte, o entrambe le cose.»
Con una smorfia che sa di accenno, Paul accetta il volere di John e si siede, non sa neanche lui perché così rigido.
Le ultime file sono per chi vuole fare di tutto, tranne che guardarsi il film, si guarda attorno, in leggero imbarazzo, chiedendosi che tipi di persona si siederanno accanto a loro.
John affonda il suo corpo sulla poltrona di velluto rosso che sa di polvere, noccioline e chiuso da almeno qualche decennio. Ha pensato a tutto: di venerdì sera nessuna coppia affiatata da anni opterebbe mai per un film d’azione e quelle che devono ancora conoscersi, non lo faranno di certo in una sala che trasmette un film che è sulla bocca di tutti.
Come volevasi dimostrare, il resto delle poltrone rimane vuoto, alcuni si appostano solo a metà, ma sono per lo più persone di mezza età, gruppi di amici o coppie sposate da pochi anni ma che già vedono nel cinema un modo per evadere dal silenzio imbarazzato delle cene.
Paul sembra essere totalmente rapito dai personaggi, come un bambino entrato totalmente in sintonia con l’irreale e dimenticatosi dell’ambiente circostante.
“Chissà cosa sta pensando”, si chiede John, guardandolo con la coda degli occhi. Improvvisamente sente un impulso che con una donna non avrebbe mai frenato, ma che con Paul accanto è costretto a combattere.
Ha scelto l’ultima fila per poterlo osservare senza dare nell’occhio, ma adesso tutto ciò che vorrebbe è prendergli la mano e stringergliela. L’azione gli sembra quasi impossibile, anche perché Paul non è solito rimanere fermo sulla poltrona, anzi, è proprio la sua leggerezza e la passione per tutto ciò che è arte che lo sta facendo innamorare e anche adesso si sta dimostrando la persona che lui vorrebbe al suo fianco.
John fissa lo schermo, ma non sta più seguendo la trama, ciò che sta avvenendo nella sua mente è una lotta tra ciò che vorrebbe fare e ciò che è lecito. In ogni volta vince la seconda, per non mettere a disagio Paul, per non dargli pressione e fretta. Perché lo sa, è più che certo, che anche lui prova esattamente le stesse cose.
Se ne è accorto ogni volta in cui lo guarda e arrossisce, abbassando lo sguardo. O ogni volta che John parla con una donna e Paul fa finta di nulla. E proprio grazie a questi pensieri, che una voce in lui irrompe prepotente: “Perché dovrebbe essere diverso con un uomo? Se Paul fosse stata una donna, non ci avresti pensato due volte, perché tenersi per mano è così sbagliato?”
E quella voce, arrogante o forse solo spazientita dal rimanere inascoltata, prende ancora di più il sopravvento, fino a comandare il cervello.
Con una scossa John si ravvede e prende coraggio, assieme alla mano di Paul in un tocco delicato.
Nessun commento:
Posta un commento