Lia Levi nasce a Pisa il 9 novembre 1931. La famiglia, di origini
piemontesi, si trasferisce di nuovo nella regione di appartenenza quando
Lia è ancora piccola, prima ad Alessandria e poi a Torino. Al nucleo
famigliare si aggiungono presto altre due sorelle, e la vita di Lia
trascorre serena e senza problemi fino all’avvento delle leggi razziali
in Italia: i Levi, infatti, sono di fede ebraica e in poco tempo il
datore di lavoro del padre è costretto a licenziarlo, seppur a
malincuore.
Nello stesso periodo per Lia è impossibile
continuare a frequentare la scuola pubblica, per questo inizia gli studi
a quella ebraica, ma neppure il tempo di ambientarsi che la famiglia si
trasferisce a Milano per il nuovo lavoro del padre. Nel capoluogo
lombardo trascorreranno poco tempo, perché Roma chiama i Levi, che si
stabiliranno nell’allora nuovo quartiere di Monteverde.
Lia è
una bambina estremamente timida, che va molto bene a scuola, soprattutto
nelle materie letterarie. Purtroppo, però, il suo carattere chiuso non
riesce a farla spiccare come dovrebbe. Questo non la ferma da avere
compagni di gioco e in fin dei conti anche a Roma conduce una vita
uguale a quella delle bambine della sua età.
Lia e la sua famiglia non sono le uniche ebree che le suore hanno preso a cuore e nascondono, quindi la sua fede ebraica continua a essere professata, anche se la vicinanza al cattolicesimo fa vacillare la ragazzina, che pensa di convertirsi, seppur ostacolata dalla madre.
L’idea di un Dio buono e amorevole la tranquillizza, soprattutto da quando all’edificio accanto si sono trasferiti dei soldati tedeschi che le ragazze cattoliche più grandi non esitano a frequentare. La Levi, abituata a un Dio vendicativo, che punisce ogni errore, vive costantemente con l’ansia che le altre facciano la spia e a nulla servono i vari tentativi delle suore di distrarla, anche con recite natalizie dove sogna di interpretare la Madonna.
Tornata alla vita di sempre, Lia riprende a frequentare la scuola pubblica e lo fa iscrivendosi al liceo classico Virgilio. Anche se – o forse dovremmo dire proprio perché – ha vissuto in prima persona il dramma della Seconda Guerra Mondiale, Lia non si sente ancora pronta a riprendere i contatti con la sua comunità ebraica, almeno fino agli anni Cinquanta, quando iscritta alla facoltà di filosofia all’Università, frequenta il Centro Giovanile Ebraico di via Balbo, dove inizia a collaborare alla redazione di un bollettino.
Durante l’estate, invece, è incaricata di seguire i bambini nella colonia OSE (Organizzazione Sanitaria Ebraica) di Riccione. È proprio grazie a tutte queste esperienze che Lia torna con entusiasmo alla sua fede.
Nel corso del tempo inizia a lavorare – quasi sempre gratuitamente – al settimanale “Israel” di Carlo Alberto Viterbo. Nello stesso tempo collabora anche con “La voce della comunità”, dove ne diventa direttrice e nel 1967 si unisce al mensile “Shalom”, sempre sotto la sua direzione.
La rivista diviene in breve tempo il maggior mezzo di comunicazione per le comunità ebraiche di tutta Italia.
È il 1994 quando sente di dover mettere per iscritto quella che è stata la sua vita, nasce così la stesura di “Una bambina e basta” – a oggi con venti ristampe – che vince nello stesso anno il Premio Elsa Morante come opera prima. Questo non solo la aiuta a guarirla emotivamente, ma le apre anche le porte della narrativa per ragazzi.
Sono veramente tante le opere della Levi, che abbiamo deciso di citare solo quelle premiate.
Nel 2001 vince il Premio Grinzane Cavour, nella sezione saggistica per “Che cos’è l’antisemitismo?”.
Nel 2005 vince il Premio Andersen libro dell’anno per “La portinaia Apollonia”.
Nel 2008 vince il Premio Rodari per “Un cuore da Leone”.
Nel 2010 vince il Premio Via Po per “La sposa gentile”.
Nel 2011 vince il Premio Moravia per “L’albergo della magnolia”.
Nel 2012 vince il Premio Pardès per la letteratura ebraica 2012.
Nel 2015 vince il Premio Rapallo per “Il braccialetto”.
Nel 2018 vince il Premio Strega Giovani per “Questa sera è già domani”.
La scrittura della Levi sembra essere di getto, ed è proprio per questo che riesce a tenere incollati i lettori. Seppur carente di descrizioni dettagliate, sa come far arrivare al lettore le emozioni fondamentali, perciò leggendo si ha la vera e propria impressione di guardare uno schermo.
Noi siamo certi che arricchiremo la nostra libreria con altri dei suoi titoli, e voi?
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