Nell’articolo “Non abbiamo armi” abbiamo parlato di quanto possa essere pericoloso il niente. Momenti di silenzio, di vuoto, di nulla, alla lunga ci uccidono, anche se in apparenza rimaniamo vivi. Ci trasciniamo come zombie, rischiando di diventare cinici e insofferenti, o talmente frustrati da sentire il bisogno di commentare in maniera negativa qualsiasi post sui social. Ammettiamolo: lo abbiamo fatto tutti, o comunque potremmo farlo.
Mentre stavamo scrivendo l’articolo sulla canzone di Ermal Meta, ci è tornata in mente la frase di Marco Masini: “Bisogna imparare ad amare anche il niente”, perché in effetti i momenti di niente arrivano, e forse l’unico modo per passarli indenni è proprio quello di imparare ad amarli.
Ecco perché oggi vogliamo parlarvi di questo brano, Il niente, appunto, scritto assieme a Giancarlo Bigazzi e Giuseppe Dati. È contenuto nell’album “Malinconoia”, pubblicato nel 1991. Un album già di per sé forte, lo si evince dal titolo, che unisce i due termini: “malinconia” e “paranoia” e in effetti ogni testo presente ci fa scavare meglio nel nostro dolore, proprio per trovare la cura adatta alla nostra vita.
P.s. per entrare meglio nel brano, vi consigliamo la lettura durante il suo ascolto, perché la musica aiuta a percepire meglio i cambi d’umore qui presenti. Ovviamente il tutto è una nostra interpretazione.
Mentre stavamo scrivendo l’articolo sulla canzone di Ermal Meta, ci è tornata in mente la frase di Marco Masini: “Bisogna imparare ad amare anche il niente”, perché in effetti i momenti di niente arrivano, e forse l’unico modo per passarli indenni è proprio quello di imparare ad amarli.
Ecco perché oggi vogliamo parlarvi di questo brano, Il niente, appunto, scritto assieme a Giancarlo Bigazzi e Giuseppe Dati. È contenuto nell’album “Malinconoia”, pubblicato nel 1991. Un album già di per sé forte, lo si evince dal titolo, che unisce i due termini: “malinconia” e “paranoia” e in effetti ogni testo presente ci fa scavare meglio nel nostro dolore, proprio per trovare la cura adatta alla nostra vita.
P.s. per entrare meglio nel brano, vi consigliamo la lettura durante il suo ascolto, perché la musica aiuta a percepire meglio i cambi d’umore qui presenti. Ovviamente il tutto è una nostra interpretazione.
Mi alzo ma è meglio se torno a dormire
mi metto a studiare ma senza capire
col vuoto che avanza e ti stritola il viso
un Dio che ti scaccia dal Suo Paradiso.
Non vado neanche a cercarmi un lavoro
a fare i concorsi e poi vincono loro
è tutto veloce, violento e incosciente
ci provo a capire e mi perdo nel niente, il niente, il niente, il niente…
mi metto a studiare ma senza capire
col vuoto che avanza e ti stritola il viso
un Dio che ti scaccia dal Suo Paradiso.
Non vado neanche a cercarmi un lavoro
a fare i concorsi e poi vincono loro
è tutto veloce, violento e incosciente
ci provo a capire e mi perdo nel niente, il niente, il niente, il niente…
Crediamo che la intro del brano sia favolosa, riusciamo facilmente a entrare nel punto di vista di un ragazzo poco più adolescente, forse nel suo primo anno dopo il liceo, che si sta svegliando. Quando prende coscienza di un nuovo giorno, inizia da subito a essere irrequieto, impaziente. Si alza di scatto, lo “vediamo” passare da un’attività all’altra in pochissimo tempo, ma qualsiasi essa sia, la abbandona ancora prima di iniziarla effettivamente.
La sua energia però non si calma, dopotutto quando è tanta in qualcosa bisogna pur incanalarla, ed ecco che possiamo solo immaginare quante altre azioni abbia svolto: sono veloci, violente, incoscienti. Forse c’entrano con l’alcol o la droga, forse con relazioni tossiche, nella “realtà” non lo sa neanche lui, prova a capire, potrebbe volersi fermare, ma non trova il modo.
La sua energia però non si calma, dopotutto quando è tanta in qualcosa bisogna pur incanalarla, ed ecco che possiamo solo immaginare quante altre azioni abbia svolto: sono veloci, violente, incoscienti. Forse c’entrano con l’alcol o la droga, forse con relazioni tossiche, nella “realtà” non lo sa neanche lui, prova a capire, potrebbe volersi fermare, ma non trova il modo.
Mi alzo ed intorno è una tabula rasa
di amici, di affetti e mi barrico in casa
invece mio padre da bravo ragazzo
ci crede davvero a una vita del cazzo.
Ormai non parliamo e non stiamo più insieme
ma lui ci riesce a volermi anche bene
un bene invisibile che sembra assente
è un uomo capace di credere al niente, al niente, al niente, al niente…
di amici, di affetti e mi barrico in casa
invece mio padre da bravo ragazzo
ci crede davvero a una vita del cazzo.
Ormai non parliamo e non stiamo più insieme
ma lui ci riesce a volermi anche bene
un bene invisibile che sembra assente
è un uomo capace di credere al niente, al niente, al niente, al niente…
I giorni sconclusionati, dove tutto è confuso e va come una barca in un mare in tempesta, continuano. Ne inizia uno nuovo dove il protagonista della canzone è solo: non ha amici, relazioni, forse è passato del tempo, dove ha rovinato tutto quanto ed è rimasto da solo. Può solo chiudersi in casa, lo immaginiamo al buio, provando a incolpare la persona che più dovrebbe stargli accanto.
Non stiamo qui per giudicare una parte o l’altra, solo per interpretare la canzone. Il protagonista non ha dubbi sul bene che il padre prova nei suoi confronti, ma è molto ironico. Forse il padre gli ripete che gli vuole bene, eppure rimane assente nella sua vita. È un bene invisibile, perché non basta dirlo, le parole devono essere seguite dai fatti. Non può essere del tutto colpa del padre, probabilmente anche lui è cresciuto così, anche a lui non è mai stato dimostrato affetto…
Non stiamo qui per giudicare una parte o l’altra, solo per interpretare la canzone. Il protagonista non ha dubbi sul bene che il padre prova nei suoi confronti, ma è molto ironico. Forse il padre gli ripete che gli vuole bene, eppure rimane assente nella sua vita. È un bene invisibile, perché non basta dirlo, le parole devono essere seguite dai fatti. Non può essere del tutto colpa del padre, probabilmente anche lui è cresciuto così, anche a lui non è mai stato dimostrato affetto…
Mi alzo davvero una volta per tutte
da un letto di cose già viste, già dette
e prendo il passato, il futuro, il presente
li butto in un buco, nel buco del niente.
E incontro mia madre che è un anno che è morta
col solito grande sorriso dolente
mi dice: «Ti passa,» mi dice: «sopporta.
Bisogna imparare ad amare anche il niente, il niente, il niente, il niente...»
da un letto di cose già viste, già dette
e prendo il passato, il futuro, il presente
li butto in un buco, nel buco del niente.
E incontro mia madre che è un anno che è morta
col solito grande sorriso dolente
mi dice: «Ti passa,» mi dice: «sopporta.
Bisogna imparare ad amare anche il niente, il niente, il niente, il niente...»
Il cambio di musicalità tra queste due strofe ci mette sempre i brividi. Nella prima, è tutto così veloce che anche la voce di Marco è più dura, violenta, urla; seppellisce tutte le sue angosce passate, presenti e future nel luogo più interno di se stesso, quello dove i demoni non fanno paura perché pensiamo siano in trappola. Non comprendiamo ancora che gli unici in trappola siamo noi.
Nella seconda la calma fa intravedere una luce, una speranza. Ha circa diciannove anni quando la madre è morta da un anno, forse era sua consigliera anche in vita. Il ragazzo vuole fuggire da quel niente, vuole caricarlo di cose (alcol, droghe, sesso…) non vuole pensare al vuoto che ha dentro di sé, ma la madre gli ricorda che è tempo di amarlo, di starci dentro. La musica si placa, possiamo immaginarlo come avvolto in una carezza materna, tranquillo. Si rilassa, il cuore si calma, ma ben presto la parte conscia, quella che non sa come andare avanti, torna ad avere la meglio.
Nella seconda la calma fa intravedere una luce, una speranza. Ha circa diciannove anni quando la madre è morta da un anno, forse era sua consigliera anche in vita. Il ragazzo vuole fuggire da quel niente, vuole caricarlo di cose (alcol, droghe, sesso…) non vuole pensare al vuoto che ha dentro di sé, ma la madre gli ricorda che è tempo di amarlo, di starci dentro. La musica si placa, possiamo immaginarlo come avvolto in una carezza materna, tranquillo. Si rilassa, il cuore si calma, ma ben presto la parte conscia, quella che non sa come andare avanti, torna ad avere la meglio.
Mi alzo da questo lenzuolo di sale
sei tu nel deserto la mia cattedrale
eppure da tempo ben poco ci unisce
e i nostri segreti diventano angosce.
Si annaspa nel letto ma siamo lontani
abbiamo di tutto, ci manca il domani
e per la paura si viene e si mente
ma il sesso da solo è l’amore del niente, il niente, il niente, il niente…
sei tu nel deserto la mia cattedrale
eppure da tempo ben poco ci unisce
e i nostri segreti diventano angosce.
Si annaspa nel letto ma siamo lontani
abbiamo di tutto, ci manca il domani
e per la paura si viene e si mente
ma il sesso da solo è l’amore del niente, il niente, il niente, il niente…
È un nuovo giorno, torna l’angoscia, tornano quelle relazioni intraprese solo per non rimanere da soli. Vediamo l’altro come l’ancora a cui aggrapparci quando abbiamo totalmente paura di noi stessi, quando non ci fidiamo della forza dentro noi, non perché non ci sia, semplicemente perché non l’abbiamo mai vista e conosciuta. Ricordate i demoni che abbiamo rinchiuso? Loro hanno la chiave della nostra certezza e finché li ignoriamo, non sapremo mai chi realmente siamo.
“Abbiamo di tutto, ci manca il domani”. Certo, può essere interpretato come una mancanza di stabilità, ma anche come una sfiducia nel rapporto, la netta sensazione che chi abbiamo davanti per noi non sia abbastanza, eppure non riusciamo a lasciare andare perché abbiamo paura di scoprire che non abbiamo mai amato e che di conseguenza, non siamo mai stati amati.
“Abbiamo di tutto, ci manca il domani”. Certo, può essere interpretato come una mancanza di stabilità, ma anche come una sfiducia nel rapporto, la netta sensazione che chi abbiamo davanti per noi non sia abbastanza, eppure non riusciamo a lasciare andare perché abbiamo paura di scoprire che non abbiamo mai amato e che di conseguenza, non siamo mai stati amati.
Ci aspetta una guerra di fame e macerie
la terra che sputa le nostre miserie
e in mezzo al rumore di feste violente
c’è sempre qualcuno che canta il niente.
Eppure c’è ancora qualcosa che vale
la voglia di andare incontro alla gente
la vita è un ragazzo che urla il giornale
invece il silenzio è la voce del niente, il niente, il niente, il niente.
la terra che sputa le nostre miserie
e in mezzo al rumore di feste violente
c’è sempre qualcuno che canta il niente.
Eppure c’è ancora qualcosa che vale
la voglia di andare incontro alla gente
la vita è un ragazzo che urla il giornale
invece il silenzio è la voce del niente, il niente, il niente, il niente.
Anche qui, come poco prima, le due strofe sono divise musicalmente. La prima annuncia un avvenire disastroso, un futuro dove soffriremo e tutto ciò che abbiamo verrà distrutto. È solo il naturale flusso della vita, è capitato a chiunque: arrivare a una certa età e scoprire che ciò che abbiamo, non è più ciò che vogliamo. Ecco che per stare bene bisogna “distruggere” tutto, ricominciare da capo. Certo, non è facile, ma non a caso sta davvero bene solo chi è coraggioso.
L’ultima strofa, la finale, ci dà di nuovo un senso di speranza. È vero, la vita può distruggere tutto, può farci soffrire, ma vale la pena viverla per un qualcosa che ci spinge ad andare incontro alla gente. “La vita è un ragazzo che urla il giornale”, fin dai primissimi ascolti l’abbiamo sempre interpretata come: la vita dà il bene, così come dà il male, ma qualsiasi cosa dia, bisogna avere la forza di urlare a pieni polmoni ciò che abbiamo vissuto.
Il silenzio è abuso, e lo abbiamo sempre sostenuto. Serve a noi stessi per farci strada nel nostro interno, così come a volte serve per educazione e per non incappare in un’ennesima discussione futile.
Ma non serve quando la vita ci prende a botte. Lì bisogna reagire. Ecco, forse il niente dove si rifugiava il protagonista delle prime strofe era una sorta di rassegnazione, il periodo vittimista – che tutti abbiamo avuto o in caso contrario lo avremo – che ci fa subire il male del mondo perché: “Le cose belle accadono solo agli altri”. Per diventare il ragazzo che urla il giornale, la notizia va comunque letta, quindi certi periodi servono per capire chi siamo. Cerchiamo solo di non rendere un’intera vita così.
L’ultima strofa, la finale, ci dà di nuovo un senso di speranza. È vero, la vita può distruggere tutto, può farci soffrire, ma vale la pena viverla per un qualcosa che ci spinge ad andare incontro alla gente. “La vita è un ragazzo che urla il giornale”, fin dai primissimi ascolti l’abbiamo sempre interpretata come: la vita dà il bene, così come dà il male, ma qualsiasi cosa dia, bisogna avere la forza di urlare a pieni polmoni ciò che abbiamo vissuto.
Il silenzio è abuso, e lo abbiamo sempre sostenuto. Serve a noi stessi per farci strada nel nostro interno, così come a volte serve per educazione e per non incappare in un’ennesima discussione futile.
Ma non serve quando la vita ci prende a botte. Lì bisogna reagire. Ecco, forse il niente dove si rifugiava il protagonista delle prime strofe era una sorta di rassegnazione, il periodo vittimista – che tutti abbiamo avuto o in caso contrario lo avremo – che ci fa subire il male del mondo perché: “Le cose belle accadono solo agli altri”. Per diventare il ragazzo che urla il giornale, la notizia va comunque letta, quindi certi periodi servono per capire chi siamo. Cerchiamo solo di non rendere un’intera vita così.
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