Da oggi in sala arriva il commissario Maigret, i cui panni sono indossati da Gerard Depardieu. Il personaggio nasce dalla penna di Georges Simenon e la pellicola è liberamente tratta da “Maigret e la giovane morta”. La trama è delle più semplici per un giallo: viene ritrovato il corpo di una giovane ventenne per il centro di Parigi, successivamente alla segnalazione fatta alle forze dell’ordine in maniera anonima.
In questo giallo, il commissario cerca dunque di scoprire le verità sull’omicidio della donna, ma prima ancora di cercare il colpevole sarà necessario ricostruire la sua identità. La drammaticità della narrazione viene proprio conferita dalla mancanza d’indizi sul cadavere. Sembra quasi che ella fosse un fantasma e tutto il film si concentra sul tentativo di comprendere le ragioni che hanno portato alla sua morte. In una lenta analisi dell’agire umano, Patrice Leconte (regista del film) si prende i suoi tempi per poter scandagliare la psiche e la fragilità dei suoi personaggi. Maigret si muove in un terreno lento e prolisso, ma che è in grado di manifestare un grande puzzle che si tinge di mistero e risoluzione.
Siamo davanti a un giallo che rispecchia molto della liturgia del genere. Non ci sono reali colpi di scena, si procede momento dopo momento in modo lineare e conseguenziale. Maigret procede lungo i piccoli indizi tracciando il percorso che si muove sempre più vicino alla verità. Una volta, infatti, ricostruita l’identità della giovane donna si può procedere alla comprensione del movente della sua morte. Si mette, così, a nudo la fragilità dello stesso Maigret, oltre che dei personaggi che gli si muovono intorno. Una fragilità che collima con la sua corpulenza e fisicità. Un uomo che riesce a guardare le compagini femminili con un occhio quasi paterno e denso di smarrimento.
Depardieu è perfetto in questo ruolo, i punti in comune con lo stesso attore sono evidenti (come lui stesso ha dichiarato in diverse interviste). La sua fisicità, perfetta per la descrizione che Simenon ha fatto del suo personaggio, collima con la delicatezza e delle sue espressioni. I dialoghi, inoltre, così come lentezza del tempo narrativo conferiscono a questo aspetto una maggiore profondità. L’emotività e la riflessività emergono proprio grazie ai singoli passaggi che vengono eseguiti momento dopo momento. La riflessione la fa da padrone perché si cerca di seguire l’emotività umana per la risoluzione del caso.
Per alcuni spettatori, però, bisogna ammettere che la lentezza di questa narrazione potrebbe essere una pecca. Le classiche formulazioni del giallo, infatti, potrebbero risultare un po’ noiose e pedanti; soprattutto se paragonato alla velocità di fruizione a cui gli spettatori oggi sono abituati. Maigret, con le sue pause, con i suoi silenzi, rischia di diventare prolisso. Quindi vi avvisiamo che potrebbe risultare un po’ noioso da guardare. Bisogna, inoltre, sottolineare che ci sono delle pecche anche dal punto di vista delle inquadrature. Ogni tanto, la telecamera zoomma sul primo piano degli attori in maniera quasi scattosa e non organica con il resto dei movimenti di camera.
Maigret è un classico giallo facilmente riconoscibile come francese: i colori, i toni, tutto fa pensare alla loro narrativa. Non si tratta solo del fatto che lo sfondo sia Parigi, ma proprio l’aria che si respira ci riporta a quella cinematografia.
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