I film su Disney+ stanno disegnando un nuovo modo di insegnare in grado di parlare alle nuove generazioni in maniera profonda. Una versione quasi paternalistica delle favole che hanno cresciuto la maggior parte di noi. Lo avevamo visto con Fresh, che con le tinte dell’horror è stata disegnata una nuova fiaba nella quale viene destrutturato il principe. Lo vediamo, adesso, con Not Okay; pellicola nella quale vengono sconsacrate le bugie e la valanga che si portano dietro.
Danni Sanders (Zoey Deutch) sogna di diventare una redattrice per il sito con cui collabora come photo editor. Tenta di scrivere alcuni pezzi, ma il tutto risulta essere vuoto e pieno di vittimismo. Proprio questo suo atteggiamento, al fine di conquistare le attenzioni che tanto ella desidera, decide di rendere la propria vita un po’ più interessante mentendo sul suo profilo Instagram. Sapendo usare Photoshop le è facile fingere di esser a Parigi per un seminario, bastano due foto e un paio di scenari per poter riuscire a creare una vita patinata. Cosa rende complicata la sua bugia? Parigi viene colpita da un attacco terroristico, da qui si apre per lei un bivio: dire di aver mentito o cavalcare l’onda.
È interessante notare quanto effettivamente possa essere facile mentire sui social. Ne siamo più o meno consapevoli, l’uso quotidiano dei filtri ci suggerisce la facilità con cui si può mentire in presa diretta sul proprio aspetto fisico. Pensare che sia proprio Disney a bacchettarci su un comportamento simile e a ricordarci quanto essi non siano altro che una sorta di vetrina delle nostre vite è davvero interessante. Un selfie e una foto da internet ci possono permettere di esser localizzati ovunque nel mondo, ma quanto realmente si deve essere insoddisfatti della propria vita per poter far ciò? Danni ce lo dimostra ampiamente nel corso degli eventi, ci mostra anche la superficialità che l’ha spinta ad agire in questo modo e soprattutto l’incapacità di pensare alle conseguenze delle proprie azioni.
La cosa più grave, di certo, non è la bugia in sé, ma le modalità secondo la quale ella decida di cavalcare l'onda. Pur di avere qualcosa da aggiungere alla sua mancata esperienza, la protagonista decide di attingere dal dolore degli altri tanto da "farlo proprio". Analizzando realmente questa scelta, ci si rende facilmente conto di quanto vittimistico sia il suo modo di affrontare la vita. L'hashtag sui social #NotOkay, nasce dal suo bisogno di esser vista, di essere amata, di essere al centro dell'attenzione e preferisce la via dell'umiliazione piuttosto che quella della verità.
Il problema non sono i social, ma il modo con cui essi vengono usati. E se si cavalcano le tendenze sociali non ci si può meravigliare dell’hating che ci si attira addosso. La storia di Not Okay è, infatti, ben strutturata e davvero coerente e mostra una realtà dannatamente verosimile. Non è improbabile che qualcuno menta su ciò che sta facendo solo per rendere più interessante la propria vita agli occhi dei propri conoscenti, in questa pellicola il tutto viene solo stressato verso l’estremo e la fama globale.
Quello che ne emerge è l’attenzione che dobbiamo dare al comportamento della nostra protagonista e alla facilità con cui ha ceduto alla bugia. L’insoddisfazione, lo abbiamo detto in moltissimi articoli con altre parole, ci spinge a fare cose di cui possiamo ben presto pentirci. La nostra sezione pensieri è piena di articoli che parlano della voglia di conoscere noi stessi e dell’importanza che questo ha sulla nostra individualità. Noi, in quanto esseri inseriti all’interno di un contesto, agiamo e le nostre azioni hanno delle conseguenze più o meno a valanga su ciò che ci circonda. Pensare a chi siamo e a cosa vogliamo è fondamentale per poter vivere al meglio le nostre vite. Not Okay ci ricorda una cosa fondamentale: è okay non essere okay, ma questo non vuol dire marciare sui nostri problemi. Al contrario dobbiamo imparare ad affrontare le difficoltà che la vita ci pone davanti, tanto da farle diventare un nostro punto di forza.
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